L’approdo
…per un breve istante, una luce turchina illuminò l’oscurità ermetica in cui il cielo, completamente offuscato da nubi, impenetrabili e nere, era piombato. Quel bagliore aleatorio fu però sufficiente a svelarmi la rassicurante consistenza della terraferma, tanto da indurmi a passar la notte, che pur l’avevo immaginata insonne, a pochi passi da quel relitto che una volta era stato un solido vascello, e dove speravo poter recuperare l’avanzo di qualche mio bene scampato alla voracità dei marosi.
Così, al riparo di una roccia, m’avvoltolai nei miei umidi panni, sfinita, predisponendomi ad una notte di veglia

Il sogno
…invece, ad onta delle mie pessimistiche previsioni, accadde che m’addormentai e sognai della mia casa di Roma, dell’aereo terrazzo spalancato sul verde luminoso del Gianicolo, con le lenzuola stese, che la dolce brezza di ponente andava gonfiando come vele auriche, pronte a dispiegar la rotta al segnale convenuto dallo sparo del cannone di Castel Sant’Angelo, mentre la mia Capitolina, una lupa irascibile a stento trattenuta da un robusto guinzaglio che lei aveva già in parte dilaniato, abbaiava furiosa, apertamente ostile a quella mia partenza.
Avessi dato retta alla sua furia me ne sarei rimasta tranquilla al mio lussuoso affaccio a raccogliere il malizioso omaggio dello stornellatore che m’avrebbe, fra quelle stesse lenzuola, di li a qualche ora, incoronata sua sposa
Ma aborrivo assoggettarmi al guinzaglio, sia pur d’oro, di una fede nuziale, e al pari della mia lupa Capitolina avrei dilaniato l’amorevole mano che me l’offriva.
Per sfuggire al mio destino di sposa non ebbi altra scelta se non quella del mare aperto.

Il risveglio
…ed ecco, al risveglio, accogliermi un’alba di porcellana sotto l’egida di un sole benevolo, cosicché seppur ancora frastornata dalle vicissitudini del recentissimo naufragio, avrei potuto godere di quell’ottima meteorologia, col favore della quale avrei più serenamente espletato il miserevole, ma necessario, lavoro di recupero delle reliquie scampate alla tempesta.
Solo dopo avrei potuto dedicarmi all’esplorazione del mio fortunoso approdo.

La Cattedrale
…ma, se malamente  inciampando non fossi ruzzolata lungo il pendio, non avrei notato l’imponente struttura scavata nella roccia viva che, magistralmente mimetizzata nelle trasparenze saline di quel paesaggio di vetro, imbaldanziva vero l’alto, nascosta dalle nebbie ardenti del mezzogiorno.
No, mai avrei scorto, in quel rosso baluginio, la fantasmagorica Cattedrale con l’ultima ogiva che terminava in gloria al centro della vetta, e al cui interno un’aquila dalla testa bianca aveva nidificato.
Così passai il resto della giornata, incurante della fame e del caldo straziante, ad ispezionare il terreno alla ricerca di quel passaggio, che avrei scommesso sulla mia vita, dovesse esserci.
Una così mirabile opera, non poteva esser stata creata col solo intento di una scenografia compensativa per i giri di ronda delle aquile calve.

La porta
…così trascorsi la mia prima giornata di naufraga alla ricerca fallita di un varco d’accesso a quella fiabesca dimora, fino all’ora in cui dovetti cedere agli imperativi del buio e della stanchezza, determinata, però, a replicare per tutto il tempo della durata di quel mio soggiorno forzato.
Decisi di trascorrere la notte nel posto stesso in cui ero e da dove avrei ripreso, col chiarore del giorno, i miei giri ispettivi.
Esausta, mi raggomitolai in un incavo di roccia, già predisposta alle persuasioni del sonno, quando un bagliore turchino divampando dalla cima della cattedrale, eruppe in verticale coi filamenti stellari di un fuoco d’artificio, ad illuminare, con l’intensità di dieci lune, la porta mimetica della Cattedrale.

CAPITOLO 2
Nel ventre asciutto della Cattedrale
…e ciò che vidi all’interno del portale non ha eguale in nessun’altra regione del mondo, che pure io, viaggiatrice di comprovata esperienza ed avvezza a non stupirmi di nulla, rimasi esterrefatta, per un lungo momento smarrita nella mia consapevolezza di naufraga  alla mercé di miraggi fraudolenti e terribilmente pericolosi, quanto più appaiono veri ed affascinanti.
La stanchezza, la debilitazione e la solitudine, in sinergia hanno il potere di portare alla superficie follie latenti, partorire spettri e resuscitare fantasmi…perché lì, nel ventre asciutto della Cattedrale andava in scena il più strabiliante dei deliri o il più grandioso dei miracoli: la materializzazione di una realtà parallela.

Una strabiliante realtà parallela
…e cosi benissimo può accadere, senza grande meraviglia, che soffiando troppo forte un vento d’aliseo possa temporaneamente deviare l’aerea nube dorata su cui Dante Alighieri è assiso a prendere appunti su quella commedia, umana e tragica prima ancora che divina, da cui trarrà immortalità e gloria, alle falde del Monte Cicala, dove un giovane frate domenicano, di nome Giordano Bruno, ancora lontano dallo scempio del rogo, è intento meditare “su, aldilà di ogni apparente limite, vi è sempre qualche cosa di altro”.
E così alza gli occhi e vede Dante che a sua volta lo ha scorto, l’uno già assurto da secoli ai fasti del paradiso l’altro, invece, condannato nel suo futuro prossimo, all’inferno degli incompresi, ma che al presente è solo un giovane frate permeato dallo spirito inquieto del libero pensiero, ed ancora ignaro di quanto la filosofia possa rivelarsi per lui mortale.
Si sorridono, scambiandosi opinioni fugaci che da quella zattera celeste, su cui l’Alighieri è per l’eternità delegato a circumnavigare gli oceani delle umani passioni, si trova a maledire l’altezza irraggiungibile a cui la gloria lo ha collocato, impedendogli di fatto la possibilità di un ormeggio e di un dialogo.
Ma eccoli ora, da secoli di distanza, intenti a conversare, il giovane filosofo ed il sommo poeta, che se l’uno fosse nato nel secolo dell’altro forse la storia, chissà, sarebbe stata diversa, seppur ho il sentore che, in ogni caso, il fraticello aveva insito nel suo destino l’inappellabilità del rogo.

“Su, al di là dell’apparente limite, vi è sempre qualcos’altro”
…così è che l’assioma aristotelico ” su, al di là di ogni apparente limite, vi è sempre qualcos’altro” trova incontrovertibile conferma qui, all’interno di questo portale, dove le epoche s’intersecano attraverso convergenze illusorie, e cosi come è possibile che Dante possa conversare con Giordano Bruno, è altrettanto plausibile che Gustave Effeil abbia potuto chiedere a Leonardo da Vinci consigli d’architettura per la sua Torre di Parigi, e d’ingegneria per l’interno della Statua della Libertà a New York, altrettanto reale è la corte, discreta ma assidua, di Shakespeare a Eleonora Duse, che la vorrebbe tra le sue muse ispiratrici, eleggerla “unica e divina”, portandola via a quel D’annunzio che non l’ha saputa nel giusto modo amare.
Nell’interno di questa straordinaria Cattedrale, da oggi assurta a “tempio della memoria viva”, l’assioma filosofico di Aristotele pienamente, e felicemente, si conferma come realtà oggettiva e non più solo come affascinante concetto metafisico che, declinando nel teorema matematico de “la meccanica del (corpo) continuo”, è in ultimo traducibile nella tridimensionalità moderna dell’ologramma.

L’umana commedia
…e già fuori la notte schiariva nella luce ialina di un’alba di sale mentre invece all’interno andava esaurendosi quel giorno fatato, calando il buio, come un morbido sipario di velluto a celare la magnificenza del palco, ma solo per il tempo di una breve pausa tra un atto e l’altro, che poi l’umana commedia sarebbe ripresa esattamente dal punto dove s’era interrotta, logica e scorrevole, seppur la trama, a tratti spregiudicata, concedeva un po’ troppo alla fantasia, ma pure  il pubblico sarebbe stato disposto a perdonare gli eccessi e le eccentricità dell’autore se ad interpretar la storia c’erano, in qualità d’attori, Dante Alighieri e Giordano Bruno,  Gustave Effeil e Leonardo da Vinci,  William Shakespeare con Eleonora Duse e Gabriele D’annunzio. E la partecipazione straordinaria del grande Aristotele.

Omaggio, infine, ai sognatori felici, che con gusci di noce improvvisano vascelli
Applausi a scena aperta, non per me che ho scritto la trama ma per gli attori chiamati alla recita e che, magistralmente interpretando se stessi, hanno rivestito di lustro questa piccola storia, il cui unico scopo è quello di render omaggio a tutti coloro che hanno brama di libertà e di conoscenza, e rifuggono qualsiasi tipo di catena, che possa essere una fede nuziale o l’imposizione di una dottrina. A coloro che con l’ombrello del proprio ingegno puntano direttamente al cielo, e a quelli che lo sovrastano con la magnificenza della loro arte. Omaggio, infine, ai sognatori felici che con gusci di noce improvvisano vascelli e con quelli si spingono oltre le Colonne d’Ercole, travalicando i confini del mondo conosciuto alla ricerca di nuovi.