Il mio tatuaggio l’ho voluto visibile, in primo piano sulla mia faccia, e scioccante come un urlo, perché non sono di quelle che pensa che un tatuaggio deve essere discreto o segreto.
Né tanto meno silenzioso.
A cosa serve un opera d’arte se non può esser vista?
A cosa serve un’opera d’arte se non trasmette alcun messaggio?
Il mio urlo, di voce e di gola, si sarebbe alla fine perso tra le mille altre grida che azzittiscono il mondo, quando invece la mia insondabile angoscia implorava l’eterna visibilità della maschera.
Pierrot ha per sempre impressa la sua tristezza in quella lacrima nera, indelebile nel suo viso di biacca,  la mia disperazione esistenziale…qualcosa di  molto più grande e profondo, che ha prodotto il tatuaggio di questa cicatrice frastagliata che mi taglia la faccia e muore all’angolo della bocca con una goccia rossa di sangue.
Una lacrima vivida che mai, per tutto il resto della mia vita, si rapprenderà.

Eppoi, un giorno, ho ricominciato a sorridere nonostante quel fulmine nero che m’attraversa il volto.
Quando sorrido i miei estimatori vanno in estasi , meravigliati dalla particolarità inedita di quella linea sottile che demarca il confine tra la bellezza e l’orrore.

Sei bella, nonostante questo.
Il mio ammiratore ha accarezzato con dita lievi la cicatrice, timoroso che sfiorandola potesse farmi  male.
Apprezzava me e non l’opera del tatuatore.
Se Pierrot ha per un’unica volta sorriso deve essere stato allora.