Il primo incontro era stato una mattina che Sara, dinamica signora di una certa età…

(ehy tu, ti ho autorizzata a raccontare questa storia non a spifferare in giro gli affari miei)

Questa tra parentesi è la voce di Sara, che pure ha un certo caratterino e non le manda mica a dire, è molto permalosa, quindi mi toccherà fare attenzione a quello che scrivo

Sara, quella mattina, era alla guida della sua vecchia utilitaria color ciliegia (unica macchina al mondo di quel colore), quando all’improvviso era balzato fuori dalle grate di un cancello un gatto nero con in bocca un pezzo di pane, di certo rubato alla credenza di qualche casa.

(ehy tu, brutto ladruncolo, per poco non mi mandi fuori strada)
Sara aveva l’abitudine di appellare tutti con un “ehy tu” perfino il marito, pluridecorato colonnello in pensione, non lo chiamava mai per nome ma “ehy tu, colonnello”, e sempre in questo suo modo aveva gridato inviperita alla volta di quel gatto nero che le aveva tagliato la strada, costringendola ad una brusca frenata, ma che lesto, però, se l’era filata prima ancora che lei terminasse l’invettiva.

Il secondo incontro era stato quando Sara, aprendo la portiera della macchina per andare a fare la spesa, il diabolico felino ne era schizzato fuori, cogliendola di sorpresa e facendola quasi cadere.

(ehy tu, diavolaccio, chi ti ha dato il permesso di bivaccare nella mia macchina? Trovo la tua padrona e gliene dico quattro!)
Ma quello di nuovo, senza darle ascolto, s’era eclissato con la velocità di un fulmine.

Il terzo incontro fu il più sorprendente, quando Sara tornando dal consueto the pomeridiano con le amiche, era rimasta sbalordita nel sentire il colonnello dialogare con qualcuno. Davvero strano, perché lui da quando s’era ammalato aveva interrotto i rapporti col mondo e viveva una vita solitaria, da recluso.

(ehy tu, colonnello, con chi stai parlando?)
Gli aveva chiesto entrando in casa, curiosa di vedere l’ospite di suo marito ed offrirgli un caffè, perché il colonnello soffriva di un tremore alle mani che gli impediva di afferrare le cose e di tenerle senza farle cadere, e così non gli riusciva di fare quasi più niente.

– Sara, guarda chi è venuto a farci visita!
Le aveva risposto allegro. Un evento questo, perché lui se ne stava triste e silenzioso, sulla sua sedia a rotelle, perso dietro a qualche  ricordo che però non condivideva con lei. Sara cercava di distrarlo, d’interessarlo alle vicende del mondo, d’incuriosirlo e farglielo riscoprire, ma lui non si mostrava interessato, e allora lei smetteva di parlare. In silenzio passavano le ore, lui a fissare una parete, lei a lavorare all’uncinetto o sfogliare una rivista. Per questo era rimasta sorpresa da quella sua allegria.

Ma ancora più sorpresa quando scoprì che il motivo di quella felicità era proprio quel gatto randagio che ultimamente pareva perseguitarla e che ora beatamente stava dormendo sulle gambe del marito.
Ma alla voce della donna, però, s’era svegliato e istintivamente era scattato verso la porta per darsi alla fuga, ma quella era chiusa e l’unica altra via era data dalla finestra da cui era entrato, e che lui con un salto acrobatico era riuscito a scavalcare, guadagnando l’uscita.

(ehy tu…)
Ma stavolta la minaccia all’indirizzo del felino, Sara non l’aveva neppure terminata perché aveva visto il colonnello ridiventare di nuovo triste e una lacrima brillare nei suoi occhi, e allora lo aveva abbracciato, gli aveva preso fra le sue quelle sue mani che tremavano forte, e dopo avergli dato un bacio sulla fronte lo aveva rassicurato: vedrai che torna o altrimenti te lo vado a cercare io.

Una promessa è sacra, e mai Sara in vita sua ne aveva disattesa una, figuriamoci questa fatta al colonnello che lei amava teneramente, perché nonostante quei suoi modi bruschi, Sara era una donna molto dolce e…

(ehy tu, smettila con queste sdolcinature, piuttosto bada a raccontare per benino questa storia senza perderti in chiacchiere)
Su questa sua sollecitazione riprendo il filo del racconto ripartendo da quella sua promessa fatta di ritrovare il gatto transfugo, che pure aveva riportato un momento di gioia nella vita del marito, e così aveva disseminato il cortile di ciotole colme di leccornie feline, e quando usciva lasciava sempre porta e finestre aperte, caso mai quello avesse voluto fare di nuovo visita al colonnello. Pure i finestrini della macchina lasciava abbassati, anche nei giorni di pioggia (anche se poi le toccava sempre asciugare sedili e tappezzeria, ma non se ne lamentava, perché era per una buona causa), semmai avesse avuto bisogno di un riparo come era già accaduto una volta. Aveva allertato anche le amiche a tenere gli occhi aperti ed avvisarla se nei loro paraggi circolava un gatto nero dall’aria malandrina. Una descrizione vaga, verrebbe di pensare, che i gatti neri si somigliano tutti, ma quello era un piccolo posto dove tutti si conoscevano e quel gatto, di certo, non apparteneva a nessuno: un clandestino all’interno di quella comunità.

(ehy tu, per caso ti è capitato di vedere gironzolare da queste parti un gatto nero vagabondo?)
Era questa la domanda che Sara poneva a tutti quelli che incontrava, ma nessuno lo aveva visto. Sparito nel nulla. Volatilizzato. Eppure un effetto positivo quel gatto lo aveva prodotto perché il colonnello ora non fissava più una parete ma guardava la finestra nella speranza di vederlo arrivare. Poi, un giorno, addirittura s’era spinto, con la sua sedia a rotelle, nel cortiletto: era passato così tanto tempo dall’ultima volta che lui era uscito che a Sara quello era parso un miracolo.

(ehy tu, colonnello, che ne dici se lo andiamo a cercare insieme?)
A questa sua proposta Sara s’era aspettata un rifiuto, e invece lui aveva detto si. E così s’erano incamminati insieme, lui sulla sua sedia a rotelle, e lei a spingerlo, verso quell’avventura condivisa. Avevano camminato tanto e ancora avrebbero continuato a farlo, spinti dalla speranza di ritrovare quel gatto speciale che aveva operato il miracolo di restituire suo marito al mondo, se non che stava facendo buio ed iniziava a piovere.

(ehy tu, colonnello, non essere triste, domani riprendiamo la ricerca)
Sara aveva dato alla sua voce un tono incoraggiante per non cedere, lei stessa, al pessimismo, consapevole che le possibilità di ritrovarlo diminuivano col passare dei giorni. Così erano tornati a casa, zuppi di pioggia e di tristezza, e Sara prima ancora di togliersi gli abiti fradici era corsa a serrare porte e finestre per impedire un probabile allagamento, quando aveva intravisto il gatto al riparo sotto la pergola del cortile, e così la finestra del salotto l’aveva lasciata aperta, lasciandogli la possibilità d’accesso. Poi s’era infilata un trench ed era uscita, lasciando però aperta anche la porta d’ingresso.

(ehy tu, colonnello, vado a controllare se ho chiuso i finestrini della macchina. Torno subito)
Sara sapeva che quei due si stavano per ritrovare e chissà quante cose avevano da raccontarsi, e forse la sua presenza sarebbe stata di troppo. Era certa, anzi certissima, che il colonnello lo avrebbe convinto a rimanere, perché era sempre stato un uomo molto persuasivo, soprattutto nel campo degli armistizi, e avrebbe fatto in modo di stabilire, fra lei e il gatto, una tregua, il tempo necessario per conoscersi ed apprezzarsi.
E non ce ne sarebbe voluto molto, che Sara, a quel gatto miracoloso, già voleva un bene immenso.