Maddalena e Nicodemo abitavano in campagna, in una graziosa casetta in mezzo al bosco e avevano due figli adolescenti, Stefano di quattordici anni e Maurizia di sei.
Non va dimenticato Manfredi, lo Jack Russell che da quattro anni faceva parte della famiglia.
Di stazza medio – piccola, con il pelo bianco e crespo e le orecchie nere, era un discendente del noto e famoso Montmorency, personaggio del libro di Jerome K. Jerome “Tre uomini in Barca (per non parlar del cane)”, cacciatore abilissimo di topi, volpi e tassi.
Quindi non era un cane qualsiasi, era un cane di razza, da tana e questo comportava alcuni piccoli problemi.
I padroni, erano costretti a tenerlo in casa, o sul grande terrazzo dietro la casa e, se era fuori sul piazzale, rigorosamente legato perché, in caso contrario, Manfredi partiva come un razzo a caccia di prede e, quando tornava, era veramente conciato per le feste.
Per fare un esempio, una notte, scappò nel bosco, e, nonostante i richiami di Nicodemo che lo inseguiva, non fu possibile trovarlo.
Il mattino seguente, Maddalena, preoccupata della sua scomparsa, lo vide comparire tutto sporco e insanguinato:
«Oddio, Nicodemo, corri, vieni a vedere, è tornato Manfredi; deve essere ferito, poverino, avrà lottato con qualche cinghiale», esclamò.
Non era così, era sì sporco e insanguinato ma non perché fosse ferito, aveva lottato e ucciso addirittura un tasso, come scoprirono in seguito.
In un’altra escursione notturna, attaccò un cinghiale azzannandolo sulla nuca e, pur non uccidendolo, lo mise in fuga.
Questa erano le prodezze notturne di Manfredi, ma i suoi padroni, non approvavano questa sua abitudine.
Nei confronti dei i suoi simili aveva un atteggiamento ambivalente: con i cani della sua stazza o più piccoli, si comportava come uno schizzinoso e altero lord inglese e li ignora con studiata indifferenza ma, con quelli più grossi di lui, bisognava tenerlo a freno, con il guinzaglio ben fermo, perché diventava aggressivo con l’intenzione di aggredirli.
Il buffo è che quelli, lo squadravano con indifferenza come a dirgli:
«Che vuoi, piccoletto, non sai che se apro la bocca ti mangio in un boccone?»
Per questi motivi, non bisognava lasciarsi ingannare dalla sua aria ingenua e dolce, né dalla stazza minuta, bastava aprirgli la bocca e guardare i suoi canini che erano aguzzi e taglienti come rasoi.
Questo non significava che fosse pericoloso, con la sua famiglia, gli amici, i loro conoscenti e specialmente con i bambini, era veramente dolcissimo e affettuoso.
Nonostante il suo atteggiamento spavaldo, aveva paura dei temporali, abbaiava furioso a ogni tuono e nessuno riusciva a calmarlo.
Una sera, durante un temporale, Nicodemo, stanco di sentirlo abbaiare, gli spalancò la porta e gli disse:
«Vuoi andare a combattere contro il temporale? Allora vai!»
Manfredi si precipitò fuori con fare spavaldo ma, al primo tuono, tornò indietro come un razzo guaendo, con la coda tra le zampe e si rintanò nella sua cuccia.
Per il resto della notte rimase in silenzio, rizzando le orecchie e tremando.
Un giorno Stefano cadde dalla bicicletta, prese una brutta distorsione e dovette tenere la caviglia fasciata per alcuni giorni.
Manfredi dimostrò di avere un cuore d’oro e quanto volesse bene ai suoi padroncini: rimase accucciato affianco all’infortunato per tutto il tempo, si muoveva soltanto per bere e mangiare e lo leccava, guaiva e lo guardava come a dire:
«Come stai?»
«Senti dolore?»
Un pomeriggio, Nonna Federica andrò a trovarli.
Parcheggiò l’auto sul piazzale davanti alla casa e non fece quasi in tempo a scendere che Manfredi le corse incontro festoso saltandole addosso; le fece le feste, le leccò le mani e uggiolò felice.
«Eccolo qui il mio “Nipote Peloso”», lo apostrofò Nonna Federica accarezzandolo con affetto.
«Ciao, nonna, lo sai che sei la mia preferita?», guaì Manfredi sdraiandosi per terra, ai suoi piedi, mentre assaporava le coccole.
Uscirono sulla porta Maddalena e i ragazzi.
«Ciao Nonna, ciao Mamma, vieni, ti preparo un caffè», la salutarono in coro mentre Stefano e Maurizia le andavano incontro per prendere la loro razione di baci.
Nicodemo era in casa che stava pianificando un viaggio in camper con la sua famiglia.
Avevano deciso di andare in Trentino per una settimana.
Nonna Federica si sedette e, mentre stava aspettando il caffè, ascoltò Maddalena che la informava sui preparativi.
«Non abbiamo ancora deciso se portare Manfredi con noi oppure lasciarlo qui; Nicodemo pensava di sistemarlo in una pensione per cani», disse la figlia.
«Nooo, una pensione per cani no, per favore», supplicò muto, con lo sguardo avvilito Manfredi che ascoltava preoccupato dalla sua cuccia.
«Perché non lo lasciate a me?», Nonna propose, «poverino, la pensione per cani mi fa tristezza.»
«Brava, nonna, tu sì che mi capisci, lo dicevo io, sei la migliore, fatti valere».
«Sii, sii», sospirò Manfredi guardandola con occhi dolci e scodinzolando la coda.
Nicodemo intervenne nella discussione:
«Perché vuoi dare dei problemi a tua madre, non mi sembra il caso.»
«Oh, oh, se interviene il padrone, qui, si mette male», pensò Manfredi mentre si avvicinava a Nicodemo leccandogli una gamba.
Entrarono i ragazzi che stavano giocando a palla sul piazzale e Maddalena li interrogò:
«Cosa ne pensate voi, che facciamo con Manfredi, lo portiamo in una pensione o con noi?»
«Vi prego ragazzi, io non conto niente? La mia opinione non interessa a nessuno?» disse lo sguardo supplichevole dell’animale, mentre girava il capo a guardare l’uno e l’altro con trepidazione.
Stefano e Maurizia si scambiarono un’occhiata ed esclamarono in coro senza esitazione:
«Con noi sul camper, che problema c’è, poverino, non vorrete lasciarlo davvero in una pensione per cani!».
«Lo sapevo, oramai sono della famiglia, sono il vostro cucciolo peloso, non lo dite sempre ragazzi?».
«Giuro che sarò il cane più buono che esista, non darò nessun problema, parola di cane», guaì Manfredi felice e speranzoso, rotolandosi per terra.
«Su, accontentate i ragazzi, portatelo con voi, cosa vi costa?».
«Brava Nonna, insisti, fatti valere, lo sai che ti adoro», scodinzolò festoso Manfredi.
«Eh, sia, va bene, andiamo tutti!», concesse finalmente Nicodemo,
«Evviva!» esclamarono in coro i ragazzi abbracciando Manfredi che si girò sulla schiena e agitò euforico la coda e le zampe.
«Urrah!, lo dicevo io che ho una famiglia fantastica, adesso mi sento euforico, ma che spavento, vado a bere, m’è venuta una sete terribile», zampettò il cane felice dirigendosi verso la sua ciotola.
Poi, si sdraiò nella cuccia, appoggiò il muso sulle zampe anteriori, chiuse gli occhi e si addormentò finalmente tranquillo, scivolando in qualche sogno avventuroso, forse immerso in una brumosa campagna inglese, intento a correre veloce dietro, appunto, a una furba volpe inglese, sognando il viaggio imminente in cerca di nuove avventure.
E poi chissà perché la chiamano “Vita da cani!”, pensò Nonna Federica.