Nella grande sala da pranzo, illuminata da enormi lampadari a goccia, siedono a tavola i parenti di Sir Howard Pinkett, ricchissimo uomo d’affari. Ognuno di loro ha ricevuto un biglietto d’invito dove non si specificava il motivo ma era chiaro, almeno così speravano loro, che si trattasse di notizie sull’eredità, essendo Sir Pinkett ormai anziano. La cena si svolge in apparente cordialità.
Improvvisamente, dopo aver sorseggiato del vino, Pinkett scatta in piedi, porta le mani alla gola, strabuzza gli occhi e cade a terra esanime.
L’Ispettore Capo Japp, giunse a Villa Pinkett con due Agenti e l’immancabile Hercule Poirot, di cui si avvaleva nei casi di omicidio complicati.
L’INDAGINE
Mentre l’Ispettore Capo interrogava i parenti di Sir Pinkett, Hercule Poirot si dedicava alla servitù; si fece assegnare un salottino dove poter, uno per volta, interrogarli.
Il giovane giardiniere Gerard, e lo stalliere Daniel, in servizio da troppo poco tempo alla villa, non furono di molto aiuto. Quando entrò la governante, Miss Pauline, Poirot le fece un gran sorriso, la fece accomodare e le chiese a bruciapelo:
“Lei sa chi ha ucciso Sir Pinkett?”
Presa alla sprovvista dalla domanda, la donna trasalì e rispose balbettando:
“N… no… naturalmente no! Come posso saperlo?”
“Mi scusi Madame, sono stato troppo brusco. Lei è al servizio dei Pinkett da molto tempo immagino”.
“Infatti, da ben 20 anni” – rispose con orgoglio.
“Complimenti, quindi saprà se qualcuno della famiglia poteva odiare Sir Howard tanto da volerlo morto”.
“Beh, so che c’erano litigi ogni tanto, ma mai così violenti da far pensare all’odio”.
“E della servitù che mi dice?”
“Posso dire solo bene di quelli che lavorano qui da molto tempo, come la cuoca e la stiratrice, persone di assoluta fiducia. Delle due cameriere, Emily e Carolyne so solo quello che c’era scritto nelle referenze, sono state assunte da pochissimo, non so nulla di loro, così pure dello stalliere e del giardiniere”.
“La ringrazio Madame Pauline, mi mandi per favore una delle cameriere, e dica loro di portare la lettera di referenze, grazie”.
Per prima entrò Emily, una ragazzina timida e timorosa. Consegnò la lettera di referenze.
“Si accomodi Mademoiselle Emily – disse sorridendo Poirot – non abbia paura. Da quanto tempo lavora qui?”
“Due mesi Signore” – risponde la ragazza.
“Quali sono le sue mansioni?”
“Servivo la colazione in camera a Sir Pinkett, e i cibi a tavola a pranzo e cena”.
“La preparava lei personalmente la colazione?”
“No Signore, è la cuoca che prepara il vassoio”.
“Molto bene, grazie Mademoiselle, può andare”.
Fu la volta di Carolyne; Poirot le sorrise e la fece accomodare:
“Mademoiselle Carolyne, vuole favorirmi le sue referenze? Grazie. Quali sono le sue mansioni a Villa Pinkett?”
“Servo le bevande ai pasti, ed ogni volta che mi vengono richieste durante il giorno”.
“Prepara lei personalmente le bevande?”
“Sì certo – rispose la ragazza con un po’ di apprensione – perché?
“Oh nulla, è solo una domanda, non si preoccupi, e si trova bene? Le piace il suo lavoro?”
“Sì, sono tutti gentili con me. Sono qui solo da un mese”.
“Vedo che ha un bellissimo anello appeso al collo, posso vederlo?”
La ragazza, un po’ stupita, glielo consegnò.
“E’ un ricordo di mia madre, lo tengo al collo durante il lavoro”.
Poirot, rigirò l’anello fra le mani, osservandolo da vicino, poi lo riconsegnò alla ragazza:
“Molto bello davvero. Un ricordo di sua madre… forse è…”
“Sì, – rispose Carolyne mestamente – è morta anni fa, era molto malata”.
“Oh mi scusi, mi dispiace davvero. Grazie Mademoiselle, può andare”.
Uscita la ragazza, Poirot studiò le referenze delle due cameriere. Dopo aver riflettuto a lungo fece una telefonata.
L’Ispettore Japp lo raggiunse nel salottino:
“Ho interrogato tutti i parenti Poirot, francamente sembrano tutti colpevoli, ognuno di loro aveva un motivo per odiare Sir Pinkett. Questa è la mia impressione”.
Gli riferì l’esito degli interrogatori.
“Lei che mi dice Poirot? Ha finito con la servitù?”
“Sì Ispettore Capo, le mie celluline grigie sono in fermento. Aspetto una telefonata che mi chiarirà un piccolo dubbio, poi le dirò le mie impressioni”.
Mezz’ora dopo arrivò la telefonata, Poirot parlò a lungo con il suo interlocutore, dopodiché chiuse la comunicazione. Nel suo sguardo c’era soddisfazione ma anche amarezza.
“Ispettore Capo Japp, so chi è il colpevole” – disse allo strabiliato poliziotto.
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I parenti del defunto sono seduti in semicerchio nel salone della villa.
Poirot li osserva sorridendo sotto i baffetti neri:
“Ora so chi ha ucciso Sir Howard Pinkett – dice con voce grave – il colpevole è tra di voi, signori”.
I presenti si guardano l’un l’altro con incredulità.
“Lei, Mademoiselle Mery, odiava suo zio, aveva smesso di esaudire le sue continue richieste di denaro. Anche lei Monsieur Charles, suo cognato non l’aveva accettato come socio nella sua azienda, e così Madame Angela, figlia del defunto, estromessa dal testamento perché troppo ribelle e spendacciona”.
Tutti protestano con veemenza:
“Lei è pazzo Poirot, nessuno di noi sarebbe mai arrivato ad uccidere! Non le permettiamo…”
“Calma, calma, lo so – li interrompe Poirot – non siete voi i colpevoli infatti. Solo una persona poteva avvelenare Sir Pinkett, una persona che lo odiava sopra ogni cosa…la sua figlia segreta!”
Sconcerto generale!
“Una figlia segreta? Ma che diavolo sta dicendo!”
Poirot volge lo sguardo verso un angolo del salone, dove la cameriera è in attesa delle ordinazioni.
“Non è così…Mademoiselle Carolyne?”
La ragazza lo guarda sgranando gli occhi per lo stupore:
“Io? Si sbaglia, non ho fatto niente”.
Poirot racconta:
“Sir Pinkett ebbe una figlia da una donna di servizio, molti anni fa. Quando rimase incinta, per evitare lo scandalo, Pinkett le diede del denaro e la mandò via. La donna purtroppo morì poco tempo dopo, lasciando la piccola Carolyne in balia degli zii, che la trattavano male. Decise così di farla pagare cara al padre, Sir Pinkett appunto, che le aveva abbandonate al loro destino. Si fece assumere come cameriera aspettando l’occasione giusta per vendicarsi”.
I parenti di Pinkett restano allibiti, mentre Carolyne piange in silenzio.
I due Agenti le si avvicinano per evitare che tenti la fuga.
L’Ispettore Japp, lo guarda allibito:
“Come ha fatto a capire?”
Poirot risponde:
“Ricorda la telefonata che stavo aspettando? Era il notaio che ha redatto il testamento di Sir Pinkett.
E’ una mia vecchia conoscenza, mi ha raccontato tutta la storia quella che vi ho esposto poc’anzi, appunto. Le sue parole hanno spazzato via i dubbi che avevo già da quando ho interrogato la signorina. L’anello che portava al collo come ciondolo e che mi sono fatto consegnare, aveva un lieve sentore di mandorle amare, tipico del cianuro di potassio. Ho notato che l’anello aveva una piccola cerniera, quindi si poteva aprire e nascondere il veleno all’interno”.
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Carolyne si scuote dal torpore e grida con tutto l’odio che ha represso negli anni:
“Per colpa sua la mia povera mamma si è consumata nel dolore e negli stenti, fino a morirne – racconta. Io, affidata ai miei zii che mi facevano pesare ogni tozzo di pane che mi davano.
Dovevo fargliela pagare, se tornassi indietro lo rifarei ancora”.
Poirot la guarda quasi con compassione, dicendo:
“Mademoiselle, il delitto non paga… mai! Il notaio mi ha detto anche un’altra cosa, che avrebbe cambiato tutto se lei non lo avesse ucciso. Sir Pinkett, sapeva che lei era sua figlia, per questo l’ha fatta assumere, nonostante le referenze fossero completamente inventate… sì, so anche questo.
Inoltre l’aveva inserita nel testamento, lasciandole una bella casa e una cospicua rendita. Sperava così di farsi perdonare del male che aveva fatto a lei e a sua madre. Se non fosse morto avrebbe rivelato durante la cena queste novità, aveva già deciso. Purtroppo adesso è troppo tardi”.
Carolyne scuote la testa: “No, no! Non è possibile“. Scoppia a piangere in preda alla disperazione.
I due agenti l’accompagnano alla macchina, L’Ispettore Japp e Poirot li seguono a testa bassa, pensosi.