L’altro rimase seduto.
«Vogliamo ricominciare tutto da capo?» disse, guardando i due che si fissavano in cagnesco.
«Per me…» rispose Leandro versandosi un altro bicchiere di Flecha.
Anche la donna si risedette. «Perdoni il mio scatto, señor Soria, sono molto nervosa e stanca.»
«Perdonata» concesse Leandro, «sono stato un cafone, lo so. Siete venuti in treno da Buenos Aires?»
«Sì, c’era un altro modo?»
«In questa stagione i venti sono favorevoli e c’è chi fa il viaggio in Zeppelin.»
Anita rabbrividì. «Non mi piacciono quei mostri volanti. E se il gas esplodesse?»
«Pare che adesso non usino più l’idrogeno, ma l’elio. È un gas inerte» disse Leandro, «ma non ne so molto di più.»
«Comunque siamo arrivati. Abbiamo mangiato fumo per quasi cinquecento miglia.»
«Allora dovevate avere davvero un buon motivo per venire fin qui. Peccato che…»
«Anita, diglielo!»
Leandro guardò Miguel. «Dirmi cosa?»
«Il motivo per cui l’abbiamo cercata.»
«Spiacente, ma qualsiasi…»
«Franco» sussurrò la donna.
«Franco? E chi sarebbe?»
Leandro aveva appena finito di parlare quando un’intuizione lo fulminò. «Franco? Francisco Franco il Caudillo, volete dire?»
«Proprio lui!»
«Non è possibile! Franco è morto da anni, da quando il suo regime in Brasile è stato rovesciato.»
Anita sospirò. «Forse lei non conosce tutta la storia.»
«Forse no» ammise Leandro portandosi il bicchiere alle labbra.
«Quando Franco fuggì dalla Spagna dopo il suo fallito colpo di stato e riparò in Brasile…»
«Fin qui ci arrivo anche io» la interruppe Leandro, «vada avanti.»
«Come faccio ad andare avanti se non so fino a quando è informato?»
Leandro si accarezzò pensieroso la rada barba che gli copriva mento e gote.
«So che aveva preso il potere sfruttando quel nuovo mezzo…»
«Sì» confermò la donna, «si era portato dalla Teutonia un ingegnere che era riuscito a blindare un carro a vapore e a montarci sopra un cannone che poteva ruotare, un autentico mostro.»
«Questo non lo sapevo, doveva essere davvero spaventoso.»
Anita si portò le mani davanti al volto e rabbrividì. «Incredibile! Come un drago che sputasse fiamme e morte tutto intorno a lui. Dieci di questi mostri hanno sbaragliato l’esercito lealista.»
«Da come ne parla deve averli visti da vicino.»
«Più che da vicino: ero con dei compagni all’interno di una casa abbandonata e ce la siamo visti crollare addosso. Ci siamo rifugiati nella cantina e abbiamo sentito il rumore di quei carri mentre ci passavano sopra la testa.»
«Però poi è stato rovesciato anche lui.»
«Sì, due anni dopo, quando il suo regime è annegato nel sangue le stesse truppe si sono rivoltate e l’hanno deposto.»
«Non conoscevo i particolari, ma avevo sentito che Franco era morto tra le rovine del suo palazzo.»
«Questa è la versione ufficiale» disse Miguel, «la stessa che nega l’esistenza dei carri… armati. Ma il suo cadavere non è mai stato trovato, e il palazzo pullulava di passaggi segreti.»
Leandro aveva ascoltato il racconto con attenzione. «Tuttavia sono passati più di dieci anni…»
«Già, e lui è ricomparso.»
«Ricomparso? Come? Non è possibile!»
«È possibile, purtroppo. Certo, non sembra lui, si è fatto cambiare il volto da un chirurgo, ma ha fatto un errore.»
«Quale errore?»
«Ha eliminato il chirurgo subito dopo l’intervento, ma alcun immagini gli sono sfuggite, e per caso un nostro amico le ha ritrovate.»
Leandro sollevò le sopracciglia, scettico. «Per caso?»
Anita fece una piccola smorfia. «Il nostro amico era un ladro, e nella fretta ha portato via dalla casa della vedova del dottore tutto quello che ha trovato in cassaforte, tra cui le foto.»
«Non penserete davvero che creda a questa storia!» sbottò Leandro.
«Non è importante che ci crede, l’importante è che Franco è ancora vivo e ne abbiamo le prove» disse, tirando fuori dalla borsa alcuni dagherrotipi e disponendoli sul tavolo.
«Prima e dopo la cura.»
Leandro studiò le immagini: quelle di destra rappresentavano un uomo di circa trent’anni con le sopracciglia marcate e il naso affilato che si allargava in punta, le labbra ben disegnate e le palpebre mezze abbassate. Poteva essere Francisco Franco, per come se lo ricordava. Le altre erano di uno sconosciuto, che aveva ben poco a che vedere con quello di prima, se non per l’espressione fredda degli occhi.
«E dove sarebbe adesso?»
Anita ebbe una pausa. «A Buenos Aires. Si fa chiamare Vasco Garcia Fernandez.»
Stavolta fu Leandro a sbiancare in volto e a rischiare di soffocarsi con il vino.
«Fernandez? Il candidato alla Presidenza della Repubblica del Norte?»
«Proprio lui. Adesso capisce perché abbiamo fatto tutta questa strada per venire da lei?»