Le foglie stormivano al vento, mentre i lunghi steli di grano si incurvavano fino a terra quando improvvise folate percorrevano i campi come passi di un gigante, per poi rialzarsi fieri subito dopo. All’orizzonte scuri cumuli temporaleschi preannunciavano l’arrivo della tempesta.
Sotto il sole del tardo pomeriggio Leandro Soria sembrava dormire, i piedi appoggiati sulla balaustra della veranda, mentre si dondolava cercando di non rovesciare il calice di Flecha che teneva nella mano destra. Di tanto in tanto il cappello gli scendeva sugli occhi, e allora lui staccava la sinistra dalla cintura di cuoio borchiato e lo rialzava per non perdere la vista sull’immensa pianura che si distendeva da lì fino ai confini del mondo.
«Leandro!»
Il richiamo lo ridestò da quella sua apparente apatia. Alzò gli occhi e vide Flavio, il grasso barista del locale, che incombeva su di lui con il suo grembiule di cotone grigio.
«Que pasa, Flavio?»
«Ci sono due persone che chiedono di te.»
«E cosa vogliono?»
«No se» rispose il barista, prendendo la bottiglia vuota e accennando ad andarsene. «Esta bien, non ti offendere» mormorò, «ma perché non senti cosa vogliono quei due?»
Leandro sbuffò. «Diles que vengan aquí.»

L’oste sparì nell’interno facendo oscillare i pendagli di canapa intrecciata che fungevano da zanzariera e poco dopo ritornò portandosi dietro i due di cui aveva parlato. Leandro non si era mosso, aveva spostato soltanto il cappello sulla tre quarti, in maniera di vedere chi stava arrivando.
Erano un uomo sulla quarantina e un altro dall’aria più giovane, vestiti entrambi da città, di feltro scuro. Stranieri.
«Buenas tardes» esordì l’uomo, «¿hablo con el señor Leandro Soria?»
«Parlo gringo» rispose Leandro, senza dar cenno di muoversi.
Il barista posò la bottiglia sul tavolo con tre bicchieri e si allontanò.
«Meglio così» disse l’uomo, «possiamo sederci?»
Leandro alzò le spalle, si allungò fino a raggiungere la bottiglia e si riempì il bicchiere, poi ritornò nella sua posizione e fece un gesto con la mano. «Prego.»
I due sedettero. Il secondo straniero prese la bottiglia, riempì a sua volta il bicchiere e lo passò al primo, che lo vuotò d’un fiato.
«¡Salud!»
Solo in quel momento Leandro si rese conto che si trattava di una giovane donna.
Reagendo ad un riflesso condizionato, sollevò a sua volta il calice e rispose al brindisi, poi levò i piedi dalla balaustra e raddrizzò la schiena.
«Señor Soria, a Buenos Aires abbiamo sentito parlare molto di lei» esordì l’uomo.
Leandro rivide in un attimo quella mostruosa città, le ciminiere che si alzavano sino al cielo, il fumo nero, i mostri metallici che sferragliavano per le strade rigurgitando sbuffi di vapore, le persone che correvano avanti e indietro per andare o venire da lavorare, fare la spesa, portare i bambini a scuola.
E poi la policia onnipresente che pattugliava le strade a cavallo, e le macchine meccatroniche sempre in movimento, mosse da lunghe cinghie di gomma in un fracasso infernale, i poveri che morivano di freddo nel tremendo inverno australe… mai più!
«Sono molti anni che ho lasciato Buenos Aires» disse.
«Ma alla Boca si ricordano ancora di lei.»
«Forse qualche vecchio a cui il freddo non ha ancora spezzato i denti» ammise, «ma non ho più niente a che fare con l’uomo che ero là.»
«Ne è sicuro?» intervenne la donna, «io vedo nei suoi occhi lo stesso Leandro Soria che comandava la Policia Privada de Boca e che non permetteva a nessuno di mettere piede nel suo quartiere.»
Leandro la guardò. I capelli corvini facevano da cornice ad un viso olivastro, leggermente allungato, in cui spiccavano due occhi nerissimi che lo fissavano infuriati.
«Allora saprà anche che nella Boca si racconta una storia, señora: c’era un tempo in cui la terra era verde e da queste parti non c’era steppa a perdita d’occhio, ma un mare d’erba. Buenos Aires era una città giovane e l’aria era pura, il clima era caldo e la Corriente de Brasil non portava il gelo sulle nostre coste.»
La donna alzò le spalle. «Leggende!»
«Anche l’uomo che ero è una leggenda» concluse Leandro, levando il calice e allungandosi di nuovo sulla sedia, «buenas tardes, señores.»
«Non vuole neanche sentire cosa abbiamo da proporle?»
«No, gracias» disse, tirandosi nuovamente il cappello sugli occhi.
L’uomo si rivolse disperato alla sua compagna. «Credo che abbiamo perso il nostro tempo, Anita.»
«Non sono fuggita dal Brasile per arrendermi di fronte al rifiuto di un rammollito!» esclamò la donna.
«Temo che…»
«Anita?» Leandro si era improvvisamente rialzato. «Anita Ribeiro…»
«Da Silva» concluse per lui la donna, guardandolo sprezzante.
«Cosa ha portato in questo buco il culo del mondo l’eroina della farroupilha
«Perché le interessa, se ha deciso di non ascoltare neanche cosa abbiamo da dirle?»
Il suo compagno la guardò allarmato, ma Leandro si lasciò andare sulla sedia e scoppiò in una gran risata. «Proprio tosta! Ma è vero quello che si racconta su di lei e il rosso italiano?»
Anita si alzò di scatto. «Andiamocene, Miguel, questo non è l’uomo che cercavamo!»