Mentre la policia era impegnata ad eseguire i primi rilievi, le due vetture si avviarono sbuffando verso la residenza di Garcia Fernandez, dove entrarono superando una robusta cancellata di ferro. Girarono intorno ad una fontana e si fermarono di fronte all’ingresso del palazzo.
Qui Leandro fu fatto scendere e accompagnato sotto scorta all’interno, per essere lasciato in una stanza del primo piano. Lo scatto della serratura e la presenza delle inferriate alle finestre erano un chiaro segno che doveva considerarsi prigioniero.
La stanza non era una cella, ma una semplice camera da letto con annesso un piccolo bagno, probabilmente un alloggio della servitù adattato per l’occasione. Leandro ne approfittò per rinfrescarsi e riordinare le idee: dove l’aveva portato il suo gesto istintivo? E soprattutto: cosa poteva aspettarsi adesso?
Nell’attesa fece un giro nella stanza e studiò la serratura. Non era niente di speciale, non sarebbe stato difficile forzarla, ma sicuramente il corridoio doveva essere sorvegliato. L’inferriata sembrava robusta, certamente installata a scopo difensivo e non detentivo, ma il risultato era lo stesso. Maggiori possibilità davano le due lampade a petrolio, ma era prudente appiccare un incendio in un luogo da cui non era sicuro di poter uscire? Nel dubbio decise di attendere gli sviluppi della situazione, si tolse le scarpe e si sdraiò sul letto.
Doveva essersi addormentato, perché la stanza era in penombra e stavano bussando alla porta. Ancora assonnato, Leandro si alzò ed andò ad aprire. Nel corridoio ben illuminato c’era un cameriere accompagnato da un uomo del servizio di sicurezza.
«Il signore è atteso nel salone padronale. Posso chiedere se necessita di qualcosa?»
L’allusione ai suoi abiti era evidente, ma Leandro non aveva voglia di cerimonie.
«Non mi serve niente, grazie» rispose con affettazione, «vuole farmi strada?»
Il cameriere e la guardia lo accompagnarono per lunghi corridoi e una doppia rampa di scale, quindi lo fecero entrare in una vasta sala al cui centro troneggiava una tavola apparecchiata a cui era già seduto Vasco Garcia Fernandez. Questi si alzò con fare compito e lo invitò a sedersi.
«Mi perdoni per le precauzioni che ho dovuto prendere, ma purtroppo gli attentati in questo Paese fanno parte della vita di ogni uomo politico» disse, prendendo un tovagliolo. «Quello che è successo è evidente, come è evidente che senza il suo temerario gesto avrei corso seriamente il rischio di essere rapito o ucciso. Di questo la ringrazio.»
«Non c’è di che» rispose Leandro, guardingo.
«Nel frattempo mi sono permesso di prendere qualche informazione sul suo conto. Non è stato difficile: lei, señor Soria, è molto conosciuto in certi ambienti di Buenos Aires.»
«Lo ero, señor Fernandez, lo ero.»
«Suvvia, non sia modesto. Immagino che la sua fama non fosse immeritata, anche se non del tutto limpida, ma non è mai stato un assassino politico.»
«Visto che sa già tutto di me, le farò io una domanda: come sta la signora che è rimasta ferita?»
«La señorita sta bene, la pallottola è uscita senza ledere alcun organo interno ed è già stata medicata. Presto si unirà a noi, ma non ho avuto il piacere di sapere le sue generalità. Forse mi può aiutare lei.»
«Cosa le fa credere che io le sappia?»
«Señor Loria, abbiamo visto tutti come si è precipitato in suo soccorso. E poi, come mai era lì proprio in quel momento? Ammetto che il suo intervento è stato provvidenziale, ma non le sembra che le coincidenze siano un po’ troppe?»
Leandro rifletté un istante.
«Il suo nome è Anita. Anita Ribeiro Da Silva» disse, spiando le reazioni dell’altro.
Garcia Fernandez non diede segno di conoscerla.
«Un cognome brasiliano» mormorò, pensieroso, «chissà perché ce l’aveva con me.»
«Non crede di saperlo?»
«E perché mai dovrei? Io non so mai… ma ecco la señorita, lo chiederò direttamente a lei.»
Leandro si voltò e vide che Anita stava entrando. Si era cambiata gli abiti da popolana e ora indossava una lunga gonna scura e una camicetta chiara, con una fascia rossa in vita che ne evidenziava le forme. Aveva un braccio al collo e sembrava sofferente.
«Spero che i miei medici siano riusciti a curarla per il meglio» disse Garcia Fernandez, vedendo la sua espressione, «ma se avesse bisogno di antidolorifici non ha che da chiederli.»
Anita lo fulminò con lo sguardo. «Tratta sempre così i suoi prigionieri, maledetto assassino? Cura le sue vittime prima di torturarle a morte?»
Garcia Fernandez sembrò sorpreso. «Cosa le fa pensare ad una atrocità del genere?»
«Tutti i crimini che ha commesso in Brasile e che il mio popolo conosce bene!»
Il politico spalancò gli occhi, rosso in volto.
«Señorita, le assicuro che io in Brasile non ho mai messo piede!»
«Non mi aspetto certo che lo ammetta, porco…»
Leandro aveva osservato la scena con interesse, e fermò l’irruenza della donna trattenendola per il braccio ferito.
Anita gemette e si voltò verso di lui. «Anche tu, traditore! Quanto ti ha pagato per metterti al tuo servizio?»
Garcia Fernandez si alzò in piedi di scatto. «Spero che qualcuno mi voglia spiegare cosa è tutta questa storia!»
«Se la chiamassi Francisco Franco capirebbe?» sibilò Anita.
«Francisco Franco? Chi sarebbe? Ah, vuole dire il dittatore del Brasile? Ma è morto anni fa!»
«Il cadavere non è mai stato trovato» osservò Leandro.
Garcia Fernandez si fece pensieroso. «No, questo no… ma cosa c’entro io con tutto questo?»
«Non è forse lei Francisco Franco, il caudilho?» lo accusò Anita.
Questa volta il politico scoppiò in una risata. «Io? Questa è proprio buona!»
«Un amico della señorita» spiegò Leandro «mi ha mostrato dei dagherrotipi con la sua immagine e quella del dittatore, sostenendo che siete la stessa persona dopo un intervento di chirurgia che le ha cambiato i connotati.»
«E perché proprio io?»
A questa domanda diretta Leandro non seppe rispondere. Era un dubbio che lo tormentava da giorni, ma non voleva ammettere di essere stato ingannato in modo così stupido. Fu Anita a toglierlo dall’imbarazzo.
«Mi dimostri che non siete la stessa persona!»
Garcia Fernandez rise ancora, scuotendo la testa. «Per la verità dovreste essere voi a dimostrarmi che lo sono, ma forse posso aiutarvi» disse.
A quelle parole Leandro ed Anita restarono in attesa, mentre l’altro sussurrava alcuni ordini in un tubo che sprofondava al piano inferiore.
Dopo alcuni istanti la porta si aprì.
«Ecco» disse Fernandez facendo un ampio gesto verso le persone che erano entrate, «se proprio non posso convincervi io, spero che riescano a farlo mia moglie e i miei tre figli.»