La chiamavano tutti Trottolina perché quando era su quella sedia e iniziava a girare per la classe, non la riusciva a fermare nessuno. E se poi si giocava a pallacanestro, Trottolina era davvero una furia.

Quel giorno d’autunno, mentre era incantata dal colore cangiante delle foglie cadute in giardino, pensò che le sarebbe piaciuto raggiungere il Popolo Bambino. Gliene aveva parlato suo nonno tanti anni prima spiegandole che era un posto fantastico, dove tutti i bambini del mondo stavano insieme e si capivano, e giocavano insieme, e si divertivano e imparavano.

Il fatto è che quando Trottolina aveva parlato del popolo bambino ai suoi amici, nessuno le aveva saputo dire dove andare. Nessuno ne aveva mai sentito parlare. Ma Trottolina non si dava mai per vinto e così, trotterallando trotterallando un bambino che come lei credeva nel popolo bambino lo aveva trovato.

Si chiamava Giacomo, ma tutti lo chiamavano Picchio perché se si metteva in testa una cosa non c’era verso di fargli cambiare idea. E adesso, neanche a dirlo, il suo chiodo fisso era diventato accompagnare Trottolina dal Popolo Bambino.

Camminarono e trottarono e quando la stanchezza divenne troppa si dovettero fermare a prendere fiato. Picchio e Trottolina si addormentarono stanchi ai piedi di un albero e senza accorgersene si risvegliarono in una terra che non avevano mai visto prima ma dove sapevano di stare bene.

La prima cosa che notarono era l’assenza di strade. Si guardarono intorno e non vedevano adulti fin dove l’occhio poteva arrivare. Soltanto bambini. Bambini e ragazzi ovunque che si spostavano da un posto all’altro scivolando e rotolando in questi enormi scivoli.

Scivolarono seguendo le indicazioni per arrivare al palazzo. Un’enorme costruzione dai colori gelatinosi che faceva venire l’acquolina in bocca. Lì c’era un bambino, un po’ più piccolo degli altri, che tutti consultavano per risolvere i problemi.

Capirono subito che si trattava del Sindaco del Paese del Popolo Bambino. Finalmente erano arrivati nel posto che tanto avevano cercato. Il Sindaco abbracciò Picchio e Trottolina come se non li vedesse da tempo, ma come se li conoscesse da sempre. Li fece accomodare in giardino dove c’erano delle sedie disposte in cerchio. Spiegò loro che siccome era un po’ più piccolo degli altri ma gli piaceva guardare tutti negli occhi, aveva pensato di far sistemare tutte le sedie del Paese in cerchio. Pare che l’avesse fatto anche Re Artù prima di lui e questo fatto rendeva particolarmente attraente la soluzione.

Però non c’erano cavalieri, cavalli, re e regine. In quel Paese c’erano soltanto bambini, tutti uguali. Anche le decisioni del Sindaco, quelle più importanti per intenderci, dovevano seguire una consultazione di tutti i bambini. Ognuno aveva sempre tempo e modo di dire la sua prima che della scelta finale.

Siccome in quel paese non c’erano adulti, non potevano esserci nemmeno le famiglie come Trottolina e Picchio erano abituati ad averne. Però potevano avere una squadra, era un loro diritto lì. Potevano avere cioè una squadra di bambini con cui scambiare informazioni e servizi e con cui trascorrere il tempo libero.

Il Sindaco spiegò loro in parole semplici che la squadra è importantissima per organizzare la giornata. Per esempio quando si va a scuola, la squadra deve entrare tutta insieme. E se c’è qualcuno che scivolando e rotolando perde il ritmo, bisogna aspettarlo e poi metterlo a guidare la carovana così che non ci siano più ritardatari.

Trottolina che aveva qualche problema a muoversi con la sua sedia con le rotelle, trovò quella soluzione geniale e s’impegnò dal primo giorno a non fare mai tardi, perfezionando la tecnica del rotolamento. E se qualche volta restava indietro, sfruttava l’occasione per mettersi in testa al gruppo e con l’aiuto di Picchio sfrecciare verso la scuola.

Non bisogna però pensare ad una scuola di quelle normali dove si studia sui libri. Lì c’erano libri ma ognuno diverso. Proprio così, ognuno diverso, tanto avevano visto negli anni che alla fine del periodo scolastico tutti i componenti di una stessa squadra erano in grado di leggere, scrivere e contare allo stesso modo.

Il Sindaco aveva messo soltanto una regola sulla frequenza scolastica: che non passasse giorno senza che tutti i bambini fossero soddisfatti perché, superando quotidianamente un piccolo limite, i ragazzi avevano la possibilità di conoscere più cose ed essere felici.

Nella scuola del Popolo Bambino si facevano tanti giochi e la cosa bella è che siccome era un diritto di tutti giocare, non esistevano delle regole che non potessero essere cambiate per far sì che nessuno ne restasse fuori. Se per esempio la squadra di Trottolina voleva sfidare quella di Picchio a pallavolo e Trottolina, dalla sua sedia, trovava la rete troppo alta, la rete doveva essere abbassata così Trottolina, ma anche tutti i bambini più piccoli, potevano prendere parte al gioco. E per ogni gioco valeva lo stesso ragionamento.

Il Paese del Popolo Bambino accoglieva tutti. Tutti i bambini di tutto il mondo. Fin dall’inizio s’era capito che parlando tante lingue diverse, ci sarebbero stati tanti problemi legati alla poca comprensione degli altri e agli equivoci possibili tra genti che arrivavano da ogni dove. Akram, un bambino arabo, aveva trovato la soluzione: un vocabolario.

In pratica tutti quelli che non sapevano spiegarsi e non sapevano dare un nome alle cose, potevano consultare il vocabolario, controllare se qualcuno prima di loro aveva avuto lo stesso problema e poi inserire la propria parola. A quel punto la convenzione diventava condivisa e l’incomprensione perdeva senso. Tutto si poteva dire e scrivere tutto si poteva leggere ed interpretare.

I ragazzi che crescendo dovevano lasciare il Popolo Bambino facevano un patto con il Sindaco e con tutti gli altri cittadini: nel mondo dei grandi avrebbero parlato loro della bellezza di questo paese speciale per invitare sempre più ragazzi a farne parte.

Per arrivare a quella soluzione, c’erano voluti tantissimi anni, anzi, tantissimi decenni, ma da allora il Paese dei piccoli è talmente entrato nelle vite di tutti che è il punto di riferimento per calcolare il Big “Cheese”, l’indice che spiega quanto un popolo è felice e sorridente. Il popolo bambino definisce il top al quale tutti gli altri paesi provano ad avvicinarsi. E ci riescono soltanto nella misura in cui riescono ad abbattere le barriere di ogni tipo, esattamente come il popolo bambino ha saputo fare.