«Ehi, Tom, cosa ti è successo? Sembra che ti abbiano zompato addosso dieci persone!».

Avevo appena messo piede nella taverna della vecchia Sally – che si chiamava appunto La vecchia Sally – e non avevo ancora chiuso la porta che mi ero trovato davanti il brutto muso di Lambert, e credetemi che quando dico brutto muso intendo brutto muso sul serio!
«Se dovessi raccontarti quello che mi è successo» risposi «ti stupiresti di vedermi in così buona salute».
In un posto normale gli altri avventori dopo un simile scambio di battute ci avrebbero almeno degnati di un’occhiata, ma dalla vecchia Sally no: lì ognuno si faceva i fatti propri e alcuni scalpi appesi proprio sopra al bancone del bar ricordavano ancora che qualcuno un tempo aveva contravvenuto a quella regola aurea.

Entrai zoppicando, chiusi la porta alle mie spalle prima che qualcuno mi sbraitasse dietro di farlo e mi lasciai cadere su uno sgabello scalcagnato vicino al camino. Dopo un istante mi trovai addosso Nelly, che sarebbe la figlia di Sally se non fosse che è tanto brutta che è difficile distinguere l’una dall’altra e tutte e due da delle vecchie capre.
«Cosa prendi, Tom?» mi chiese, senza neanche lasciarmi tirare il fiato.
La guardai dal basso in alto.
«Cosa avete?».
«Birra e stufato».
«Allora birra e stufato» feci, rassegnato.

Immagino che quasi tutti conosciate le specialità della vecchia Sally – cioè, birra e stufato – ma per chi non lo sapesse dirò che la birra ha lo stesso sapore del piscio di vacca tenuto a fermentare e lo stufato… be’, se nello stufato non trovate a galleggiare i ratti con cui è stato fatto è solo perché le parti migliori dei roditori se le sono mangiate nelle cucine.
Dopo un attimo, comunque, mi trovai davanti la mia schifosa cena e peggio ancora il grugno di Lambert a mezzo metro di distanza. Accennai al piatto: «Hai mangiato?» chiesi.
«Sono a posto, grazie» disse, declinando la mia offerta.
«Allora cosa fai ancora qui?» lo rimbeccai con tutta la gentilezza di cui ero capace.
«Aspettavo che mi raccontassi».
Lo guardai per cercare di capire se mi stesse prendendo in giro, poi lo riguardai ancora una volta per vedere se avesse dei segni di una botta in testa, ma sembrava normale, per quanto potesse essere normale Lambert, naturalmente.

Assaggiai una cucchiaiata di brodaglia, poi desistetti, buttai giù un lungo sorso di birra, ruttai e mi apprestai a raccontare, altrimenti non si sarebbe mai tolto di lì.
«Dunque» dissi «come ogni Halloween ero andato a fare il mio giro, sai, il solito».
«Sì» assentì lui, comprensivo «conosco questa tua abitudine».
«Non c’è niente di male!» mi difesi «se c’è una notte in cui puoi girare tranquillamente per le strade è questa».
«Anche il trentun dicembre, e il sei gennaio, e…».
«Vabbe’, a me piace Halloween, va bene?».
«Ok, ok, non ti scaldare!».
«Volevo fare il solito giro» ripresi «sai, nelle periferie, dove ci sono tanti bambini poveri che girano per cercare di far su qualche dolce almeno una volta all’anno…».
«Già, conosco».
«Be’, per farla breve mi sono detto: Perché questa volta non cambio ambiente e non giro per i quartieri bene?».
«Ahia! Ma quella non è la zona di Giosefat?».
«Ho capito, ma una volta all’anno cosa vuoi che sia? E poi ero curioso!».
«Vai avanti» mi disse Lambert.
«Vuoi un po’ di birra?».
Fece una smorfia: «Solo un sorso, grazie» disse, prendendo il boccale e svuotandolo.
«Tutto era cominciato bene. Ho guardato i palazzi dove passavano i gruppi di bambini, ho lasciato passare una mezz’ora e ho fatto il mio giro. I primi che mi hanno aperto sono stati due del terzo piano. Giuro che ho fatto un salto indietro: lui era vestito da vampiro – tu sai quanto odio i vampiri, con quella puzza di brillantina che dà la nausea! – lei da cappuccetto rosso sexy, ma avrà avuto settant’anni! Be’, quando mi sono ripreso ho detto “Dolcetto o scherzetto?” ma lei mi ha guardato storto: “Non hai paura ad andare in giro da solo?” mi ha detto “non c’è come in queste notti che girano tipi pericolosi!”.
E io cosa sono?  Comunque lui – il vampiro – ha in parte rimediato: “Grosso com’è chi vuoi che gli faccia del male?” ha risposto alla moglie, e mi ha mollato tutto un sacchetto di dolci.
«Che palle!».
«Lo so» sospirai «ma i dolcetti mi servivano. E poi mi piacciono. Sono uscito e mi sono messo in caccia. Non è stato difficile, c’erano bambini dappertutto, bambini tutti belli, con maschere nuove, appena comprate, puliti…»
«Mhmm».
«Già. Mi sono messo in un punto poco illuminato e ho cominciato a fare lo scemo per attirare l’attenzione. Quando un bambino si è fermato e mi ha guardato sorridendo mi sono detto: È fatta! Gli ho sorriso a mia volta, poi ho tirato fuori una manciata di caramelle e ho fatto per dargliele. Lui si è avvicinato, io tenevo il sacco pronto e…».
«E?».
«E mi sono saltati addosso un nugolo di poliziotti, sembravano vespe impazzite. Mi hanno gettato a terra e ammanettato, poi mi hanno portato alla loro Centrale».
«Però, che fregatura! Il bambino era d’accordo con loro?».
Ci pensai un attimo.
«Non lo so, può darsi, come può darsi che mi seguissero da un po’. Comunque mi hanno portato lì e cominciato ad interrogarmi».
«Poliziotto buono e poliziotto cattivo?».
«Più che altro poliziotto cattivo e poliziotto cattivissimo. Continuavano ad urlare e mi picchiavano sulla testa con un elenco del telefono».
«Immagino la scena» disse Lambert sogghignando.
«Due palle che non ti dico: la serata rovinata. Per fortuna che non sentivo niente».
«Però non hai aspettato la mattina…».
Guardai la zuppa: per un attimo mi era sembrato di veder muovere qualcosa, ma no, era solo un’impressione: figurati, mai carne fresca!
«No» ripresi «per dire la verità mi apprestavo a fare il solito gioco: aspettare la mattina, quando mi avrebbero messo in cella, quindi sparire con i primi raggi del sole, come sempre…».
«E perché non l’hai fatto?» chiese Lambert incuriosito.
«Io stavo sonnecchiando sulla seggiola degli interrogatori, quando ad un certo punto uno dei poliziotti ha fatto un’uscita strana».
«Cioé?».
«Mi ha detto: “Adesso hai finito la tua carriera, sporco podofilo!”».
«Sporco podofilo?» esclamò Lambert sbalordito.
«Sì, be’, non sono sicuro, forse ero sporco pedofilo o qualcosa del genere. Mi sono incuriosito: che non mi trovassero pulito era normale, lo sai, sporco è bello, ma quell’altra parola… “Pedoche?” ho chiesto».
I poliziotti si sono guardati.
«Questo è un minorato» si è lasciato scappare uno. Poi, rivolto a me: «Pe-do-fi-lo, uno che fa brutte cose con i bambini, cose di sesso!».
A questo punto non ci ho più visto: ho strappato le manette, preso i due per la collottola, uno per mano, e gli ho fracassato la testa uno contro l’altro, quindi ho steso a unghiate i poliziotti di guardia e sono uscito indignato e tutto coperto di sangue, tanto che due bambini che passavano di lì si sono fermati e mi hanno chiesto «Che bello il tuo costume da troll sanguinario, signore, dove l’hai comprato?».
«Ah ah ah» rise Lambert «di certo non hai speso molto per il costume! Però che strani questi esseri umani!».
«Già» concordai amaramente «sono perversi. Fare cose sporche con i bambini, ma ti rendi conto? Cose da pazzi! Io i bambini li mangio!».
Come colti dallo stesso pensiero guardammo entrambi la zuppa di ratti davanti a noi, pensando a come avrebbe potuto essere la serata. Ma l’anno prossimo…