Per favore, fammi entrare.
Invocava la sconosciuta da dietro la porta.
Ho aperto e lei è entrata.
Perchè l’ho fatto?
Non potevo uscire dalla stanza perché quella porta prima non c’era (o almeno io non l’avevo notata), fin quando lei ha chiesto di entrare, ed ecco che, con stupore, ne scoprivo l’esistenza.
Ovvio che se avessi aperto per uscire avrei permesso a lei d’entrare, ma quello era l’unico modo per fuggire dal mio incubo.
Il mio benvenuto più caloroso a chiunque fosse venuto a prendere il mio posto.

E’ entrata, e la porta si è richiusa.
Sentivo la sua presenza ma avvolta dal buio non riuscivo a vederla. Nessun contorno da mettere a fuoco, solo lievi spostamenti d’aria secondo che lei muovesse una mano o si toccasse i capelli.
Come in un sogno, la stanza, diventata oblunga, aveva ora pareti altissime e un sottile spiraglio dove prima c’era la porta.
Allungavo le mani come una cieca, tastando il buio, cercando tracce della sua presenza.
Ma la stanza era assolutamente vuota.
Per favore, fammi entrare.
Implorava ancora dall’esterno dello spiraglio.
Ed io, allora, tentavo di allargare l’esile fessura con la disperazione delle mani.
Pareti invalicabili e sempre meno spazio per muovermi.
Per favore, fammi entrare.
E la leva è scattata appena le mie dita l’hanno sfiorata, ed un passaggio si è aperto sul buio del pianerottolo.

E’ entrata, ed il passaggio si è richiuso.
Sentivo la sua presenza ma avvolta dal buio non riuscivo a vederla. Nessun contorno da mettere a fuoco, solo lievi spostamenti d’aria secondo che lei muovesse una mano o si toccasse i capelli.
Come in un mostruoso incubo la stanza ora sembrava uno stretto cunicolo, e lo spiraglio una sottilissima crepa.
Muovevo le braccia in uno spazio sempre più minimo, fendendo le ombre, cercando indizi della sua presenza.
Ma la stanza era assolutamente vuota.
Per favore, fammi entrare.
Implorava ancora dall’esterno del passaggio.
Con le mani cercavo di respingere le pareti che inesorabilmente mi avrebbero schiacciata.
Per favore, fammi entrare.
E i calcinacci grattati via dalla furia delle mie dita diventavano macerie di una crepa sempre più grande all’interno del muro.
Poi ci sono caduta dentro.

E’ entrata, e la crepa ha iniziato a richiudersi.
Sentivo la sua presenza ma avvolta dal buio non riuscivo a vederla. Nessun contorno da mettere a fuoco, solo lievi spostamenti d’aria secondo che lei muovesse una mano o si toccasse i capelli.
Come in un film horror ero imprigionata nella voragine che si stava ora richiudendo su di me.
Il mio ultimo, inutile sforzo, è stato quello di tendere una mano affinché lei potesse afferrarmi.
Ma la stanza era assolutamente vuota.