La sala è elegante. Pavimenti di marmo lucidato a specchio, lampadari sfaccettati di cristalli. In fondo un lungo bar con il banco in granito nero che prende metà della parete. Tende rosse alle finestre che creano un’atmosfera di notte permanente, anche se adesso non ce n’è bisogno.
Fumo, tanto, che gli aspiratori a tutto regime non riescono ad eliminare.
Al centro della sala un tavolo isolato, con sei sedie. Il panno verde sborda leggermente, fissato con dei fermatovaglia d’acciaio. Le carte sono pronte in un angolo.

«Quei due» disse Alfio al suo amico, «sono industriali del nord est. Ricchi come il mare, ma dicono di essere qui solo per sport».
Jordan seguì i due uomini che erano entrati nella sala. Uno si diresse subito al tavolo e prese posto, si tolse gli occhiali scuri e li ripose in un astuccio che infilò nel taschino, poi estrasse una scatola di sigari, ne spuntò uno e l’accese.
L’altro si era fermato al bar, scambiò qualche parola con il barman e giunse al tavolo con un calice di champagne in mano.
Le donne arrivarono insieme qualche minuto dopo.
«Ecco, vedi, quella alta, ingioiellata, è Ursula von Reich».
«Non la conosco. È una ereditiera?».
Alfio lo guardò come se fosse pazzo:
«Ma scherzi? È una delle CEO dell’Audi!».
«Scusa se non leggo il Sole 24 Ore!».
«L’altra che è entrata credo sia la figlia di qualche boss della malavita».
«Quella lo so io chi è: Christie Macaluso!».
«È per lei che sei qui?».
Jordan spazzò con un gesto quel pensiero:
«Sono qui solo per vedere una partita a poker».
«Magari per imparare qualcosa».
«Magari, ma certi tavoli sono fuori della mia portata».
«Quello invece chi è?».
L’uomo indicato da Jordan era un arabo di mezza età, anche lui con gli occhiali scuri e una sigaretta in bocca. Era accompagnato da due gorilla che fermò con un gesto ad alcuni metri dal tavolo.
«Non ne ho idea, deve essere uno dei tanti principi sauditi».
«Mai che si porti dietro l’harem, eh?».
Alfio sospirò.
«Le donne saranno in giro a fare shopping con tutto il seguito, figurati se le porta in una sala da poker. E poi che c’entra? È merce proibita!».
«Lo so, cazzo, scherzavo!».
«Ah, ecco l’ultimo: È Mark Ellstrom, lo svedese».
«Ma non è un professionista?».
«Questi tavoli sono aperti a tutti. Zitto, stanno per cominciare!».

I giocatori avevano preso posto al tavolo. Il padrone del casinò aveva fatto il giro per vedere se tutto era a posto. Due telecamere bene in vista riprendevano tutta la scena.
«Qualcuno desidera un drink? Della musica?».
La von Reich fulminò con lo sguardo l’uomo con il sigaro:
«Credevo che qui fosse vietato fumare» disse.
«Di norma lo è» si scusò il direttore» ma questa sera è stata fatta una eccezione: gli aspiratori sono tutti per voi».
«Un gentiluomo dovrebbe avere rispetto per le signore» brontolò ancora la tedesca.
«Signore? Io vedo solo giocatori» rispose il fumatore, senza spegnere il sigaro.
«Visto che l’atmosfera è già abbastanza calda, perché non cominciamo a dare le carte?» intervenne Ellstrom.
«Per me va bene. A quanto mettiamo i bui?».
«Cinquecento e mille euro, va bene?».
«Andrebbe bene se giocassimo all’asilo» disse l’altro industriale, seduto a sinistra del dealer «diecimila per lo small blind».
Ursula von Reich coprì il big blind.
Il dealer, un dipendente del casinò con il completo scuro e il farfallino, distribuì due carte a ciascun giocatore.
L’uomo che aveva parlato spinse delle fiches al centro del tavolo:
«Centomila di bet, se a voi va bene».
L’arabo non disse una parola e si alzò.
«Forse è solo un erede minore» ghignò Alfio.
Gli altri giocatori si limitarono al call e coprirono la puntata, concentrati sul gioco
Il dealer scartò la carta in cima al mazzo e distribuì il flop: un asso, un sei, un sette.
Ora Christie aveva la sua coppia.
L’industriale sorseggiò una boccata di champagne, posò il bicchiere e puntò altri centomila euro.
Il suo compagno col sigaro esitò, poi buttò le carte e si alzò dal tavolo. Ursula von Reich sibilò una bestemmia nella sua lingua e lo seguì. Ellstrom indugiò ancora un attimo, poi posò le carte anche lui.
«È una idiozia!» disse, e si allontanò sdal tavolo.
«E lei signorina, cosa intende fare?».
Christie Macaluso non badò alla provocazione.
«Call» disse, guardando nel vuoto davanti a sé.
Il dealer distribuì il turn, la carta successiva, una donna di cuori.
«Il piatto è di settecentotrentamila euro» disse.
L’industriale guardò la ragazza:
«Prego, ti lascio la parola».
«Centomila».
Sorpreso, la soppesò qualche istante, poi scosse la testa e coprì la giocata.
«Il piatto è di novecentotrentamila euro» scandì il dealer, e scoprì il river, l’ultima carta.
«Asso di fiori!».
Adesso i due giocatori rimasti avevano entrambi una coppia d’assi.
«Hai un buon kicker nascosto là sotto?» la incalzò l’uomo.
«Se vuoi punta e vieni a vedere» rispose la ragazza.
«Non è che poi il tuo paparino si arrabbia?».
«Al tavolo ci sono io, mio padre non c’entra un cazzo di niente».
«Come non detto» L’uomo esitò un istante:
«Check».
«Altri centomila per vedere, signor Narduzzo» lo pungolò Christie,gettando altre fiches e chiamandolo per la prima volta per cognome.
L’uomo sobbalzò.
«Non ti spaventi facilmente, vero?».
«Centomila euro per vedere, signor Narduzzo» intervenne il dealer.
«A quanto siamo arrivati?».
«Se vede il piatto è di un milione e centotrentamila euro, signore».
L’industriale fissò la ragazza con cattiveria.
«La partita della vita, eh? Volevi completare la mano con il river, vero? Peccato che non sia successo».
Prese altri centomila euro in fiches e li gettò sul tavolo.
«Vedo il tuo bluff» disse, scoprendo un asso e una donna, «devi battere una doppia coppia, assi e regine!».
«Basta questo?» disse Christie, mostrando il suo asso coperto. «Un tris signor Narduzzo, mi spiace per lei».

«Come l’ha presa?» chiese Alfio a Jordan?.
«Bene. Ha smesso di giocare perché si sentiva stanco, ma le ha stretto la mano e augurato buona fortuna».
«Adesso entri in gioco tu, vero?».
«Certo, ma questa è un’altra storia: Christie Macaluso è mia, adesso come prima di entrare a giocare».