La grande kermesse canora era cominciata.

Il vasto palco era come sempre addobbato di fiori sgargianti, alcuni dei quali forse veri, la pseudo-orchestra era al suo posto, appena alle spalle, mentre il direttore si apprestava a dare il la figurativo non appena la cantante avesse ricevuto il via dalle autotelecamere che le ronzavano intorno.

Prima di lei si erano già esibiti altri artisti, due solisti e tre gruppi, il presentatore aveva intrattenuto gli spettatori con le sue sagaci battute e le sue splendide accompagnatrici avevano sparso glamour dappertutto, soprattutto negli schermi televisivi dei milioni di utenti che avevano la possibilità di sbirciare nei loro decolleté, sapientemente sagomati dai chirurghi e messi in evidenza da vestiti semplicemente appesi a seni granitici, anche se sarebbe stato più esatto dire siliconici.

Tutto stava andando alla perfezione, l’orchestra suonava divinamente gli spartiti preregistrati e la cantante seguiva con attenzione il playback in cuffia, mentre nella sala e in televisione andava in onda una versione assolutamente perfetta della canzone, quella che ognuno poteva teoricamente comprare online già da quella sera.

Forse l’unica cosa vera erano gli spettatori in sala: non perché fossero necessari, ma perché era troppo importante per ognuno di loro dimostrare che faceva parte della ristrettissima elite degli invitati.

Ovviamente si annoiavano, ma il drink offerto prima dello spettacolo aveva provveduto ad ubriacarli tanto da farli sembrare attenti, e l’unico pericolo era che si addormentassero. Ma a quello aveva provveduto la cocaina.

Ora la cantante aveva terminato la sua esibizione e una delle vallette le aveva offerto un mazzo di sintofiori. Un tocco di classe era stato far ronzare un po’ degli insetti meccanici utilizzati per l’impollinazione artificiale da quando era stato deciso che api, vespe e calabroni erano troppo pericolosi per essere lasciati liberi in natura, ma purtroppo la gente si era tanto abituata a quei piccoli capolavori della tecnica da darli per scontati. Sic transit gloria mundi, come si dice.

Adesso toccava a un altro gruppo, piuttosto numeroso, che stava disponendosi sul palco con i propri strumenti. Naturalmente nessuno suonava per davvero, ma la presenza dei finti musicisti dava un tono di realtà alle esibizioni, ed era molto apprezzata, specialmente tra i giovani.

Mentre il presentatore faceva le domande di rito, il commentatore televisivo si soffermava ad osservare la doppia sezione ritmica, la presenza degli ottoni e degli archi. Dieci persone non erano poche, ma neanche inusuali: spesso si ricorreva a questa tecnica per dare l’impressione di “riempire” il palco, se la canzone si fosse rivelata deludente.

Ormai tutto era pronto, il direttore aveva la bacchetta in mano, gli ologrammi degli orchestrali stavano per attaccare l’introduzione della canzone, che secondo la scaletta doveva chiamarsi “Pensando a te”, un genere neo-rock-melodico che aveva avuto un certo successo negli ultimi anni.

Ma stava succedendo qualcosa: il direttore d’orchestra girava le pagine dello spartito in maniera sempre più affannosa, mentre il filmato non partiva. Nello stesso tempo sei del gruppo, tre ragazzi e tre ragazze, avevano lasciato i loro posti e spostato i microfoni proprio sull’orlo del palco, vicino agli spettatori. Ognuno teneva in braccio una chitarra acustica a dodici corde. Nella sala cominciò a diffondersi un ritmo cadenzato, quasi una marcia, scandito dalla batteria e dai tamburi etnici sul retro. Le chitarre cominciarono a suonare – suonare!  – e l’onda d’urto, amplificata dai microfoni realmente funzionanti, era inusuale e impressionante.

Il commentatore si guardò intorno: come mai non erano intervenuti i filtri, i dispositivi automatici anti intrusione, i blocchi di sicurezza? Con orrore scoprì che i suoi monitor erano bloccati. Si voltò verso il capotecnico, chiedendo spiegazioni, ma quello allargò le braccia, sconsolato:

«Un attacco hacker» – disse «un rootkit sta bloccando tutto, ha ridiretto i comandi all’esterno, vede che anche le telecamere sono bloccate?»

Era vero: le sofisticatissime camere che dovevano seguire ogni movimento erano diventate semplici telecamere da ripresa, e inquadravano il gruppo che stava per attaccare le prime note.

Signori della gente, l’aria è cristallo puro,
si stagliano nettissime le ombre sopra il muro,
però non dite niente, temete di restare,
non sapete neanche quest’aria respirare.”

 Il pubblico in sala si guardava intorno, interdetto, ma la musica continuava, senza che nessuno potesse interromperla

“Signori della gente, quando l’ombra si china,
s’allunga e poi sparisce fino alla mattina,
e la notte si prende la sua metà di vita
di voi ogni traccia sapete che è sparita.”

 Adesso tra i responsabili era scoppiato il panico: le forze dell’ordine erano incerte, sapevano di dover intervenire ma nessuno si arrischiava a dare l’ordine durante la diretta: e se i telespettatori l’avessero visto? Era necessario che prima si fermasse la trasmissione, ma sembrava che nessuno fosse in grado di farlo. Le telecamere trasmettevano al centro di controllo automatico, blindato per sicurezza, e di lì il filmato andava sul satellite senza altri passaggi.

“Signori della gente, schiavi di voi stessi,
servi di tutti i gioghi che vi siete messi:
lavoro, casa, figli, sport, TV , giornali,
nell’inutile ricerca di essere normali…”

E condurre via una vita di tante crudeltà,
fuggendo sempre il peso che ha la verità;
inventando nuove leggi e chiamando criminale
chi ha solo il coraggio di non volersi uguale.”

Era il terrore. Nessuno riusciva ad intervenire, si poteva soltanto attendere la fine della canzone, mettere la pubblicità e arrestare quei terroristi, ma ormai il danno era fatto. La platea era silenziosa, come drogata (ok, era drogata), ma qualcuno alla televisione avrebbe potuto farsi delle domande, i media non avrebbero potuto ignorare quello che era successo, non fino alla prossima crisi. Un disastro.

“E la terra, il cielo e il mare porteranno ancora i segni
degli uomini che c’erano e non ne son stati degni,
finche il tempo ridurrà in fine polvere la storia
e di voi si perderà finalmente la memoria…”

Finalmente era finita! I ragazzi posarono le chitarra e guardarono fieramente il pubblico e la televisione, senza chinare la testa per applausi che non c’erano e non erano richiesti. Polizia e carabinieri si prepararono ad irrompere sulla scena.

Fu in quel momento che si spensero le luci.