Io di orsacchiotti ne avevo due, ma non perché fossi viziata o pretendessi giocattoli a iosa. Fu mia madre, maniaca dell’igiene, avendo capito il mio amore sconfinato per l’animaletto peloso, a decidere che uno era quello con cui avrei dormito e l’altro invece lo avrei portato a spasso.

Il nome, però, era lo stesso: Rocco. Per distinguerli il nome completo fu modificato: quello da passeggio era Rocco Tattà, dal mio modo di dire “andiamo a tattà” per significare “andiamo a passeggio”, mentre il notturno era Rocco Dodò per lo stesso motivo, “andare a dodò” era derivato da una ninna nanna in francese che mi cantava mia mamma dove si diceva “faire dodo”, andare a nanna.

I miei due amici pelosi erano abbastanza diversi. Quello da giorno era più smilzo e di pelo più scuso con una salopette rossa, mente quello “da notte” era più cicciotto e indossava un camicino ricamato che era stato mio da neonata.

Certo, erano due personalità diverse. Rocco Tattà era curioso e impavido, a volte anche un po’ spericolato come quella volta che mi cadde in una pozzanghera davanti a un pescivendolo e mia madre era propensa a buttarlo. Io mi opposi ferocemente con strilli e strepiti stringendo tra le braccia il povero puzzolente orsacchiotto che aveva ormai contaminato il mio cappottino. Mia madre cedette e il malcapitato fu steso al sole per diversi giorni nel tentativo, non perfettamente riuscito, di eliminare la puzza di pesce. Erano anni in cui gli orsacchiotti non erano lavabili come oggi. Avevano il corpo di paglia ricoperto da un pelo lanoso e se immersi in acqua andavano incontro a morte certa, perciò mia madre lo smacchiò alla meno peggio e dopo i bagni di sole tornò tra le mie braccia pronto a nuove avventure.

Rocco Dodò invece era pulito e lindo, custode dei miei sogni e dei miei segreti che gli raccontavo prima di dormire, un amico fidato e amatissimo. Amavo entrambi dello stesso sconfinato amore, il mio cuore era perfettamente diviso a metà tra i due pelosetti che furono per anni i miei fedeli, inseparabili compagni.

Non ricordo che fine fece l’avventuroso Rocco Tattà, probabilmente sparito in un trasloco, amo credere che scappò per girare il mondo senza di me dopo essersi assicurato che io fossi in grado di affrontarlo da sola, il mondo. Eh, caro Rocco, forse se mi fossi rimasto vicino la mia vita sarebbe stata diversa! Spero solo che la tua sia stata come la volevi e che chiunque ti abbia incontrato ti abbia amato, non come ti ho amato io perché questo è impossibile, ma abbastanza.

Invece Rocco Dodò prese il volo dentro un materasso che mia madre, in uno dei suoi impulsi di estrema prodigalità, regalò a qualcuno. Quando le chiesi dov’era il mio orsacchiotto, anni e anni dopo, quando l’adolescenza era quasi alla fine, lei mi disse: “Nello scantinato, in un materasso”. Scesi giù a cercarlo, ma del materasso non c’era traccia. Me la presi con mia madre e piansi per ore, per giorni pensando al mio orsacchiotto finito in mano a chissà chi, non abituato a interagire se non con me. Mi aggrappai alla flebile speranza che fosse stato trovato da una bimba o da un bimbo che lo considerasse un inaspettato regalo e lo trattasse bene e lo amasse, mai come lo amavo io, ovviamente!

Ecco, i miei due Rocco sono ancora con me, nel mio cuore sempre e per sempre insieme a quegli anni, belli, lontani, che presentivano già ciò che in seguito sarebbe arrivato: l’inevitabile perdita dell’innocenza e il passaggio nel tritacarne della vita. Ma nulla potrà mai cancellare la dolcezza dei momenti trascorsi con Rocco Dodò e Rocco Tattà tra le mie braccia che ogni tanto, come da una scatola magica, vado a ripescare.