Il sole batte sulla strada polverosa, nuvole di terra si mescolano in una danza informe, cercando di posarsi sulle lunghe frange che dondolano ad ogni passo del cowboy. Ha le spalle piegate sotto il peso dei rimorsi, l’incudine di una solitudine durata troppi anni. Vaga tra case strette e fatiscenti, tra moltitudini distratte; è solo, disperatamente solo, anche di più, in mezzo alla gente.

Un negozio dai colori accessi vende frutta che un po’ ricorda una possibile gioia, ed è proprio da lì che esce Marisol: i capelli scuri, raccolti in uno chignon blu come la notte. Decine di teste distratte si torcono al suo passaggio odoroso di miele.

«Marisol!», saluta il postino, «Marisol!», si inchina lo sceriffo. Lei camminava con grazia e morde una mela, ed è l’unica a notare il forestiero, perché tutti gli altri guardano soltanto Marisol.

Due sguardi si incrociano in un giorno di fuoco, e il resto scompare, e il tempo si ferma. Marisol lancia la mela, sono dieci metri ma il cowboy l’afferra, la porta alla bocca, ne gusta il sapore, insieme a quello di Marisol. Dolce, ma anche acido, proprio come è la vita.

Nuvole di terra si mescolano in una danza assolata e informe, le spalle piegate sotto il peso dei rimorsi, incudine di solitudine durata troppi anni.
Vaga l’uomo, tra case strette e fatiscenti, tra moltitudini distratte sotto i cappelli dalle falde larghe.
Un negozio vende frutta che ricorda una possibile gioia. Esce Marisol: capelli scuri in uno chignon blu come la notte. Decine di teste distratte si torcono al passaggio che sa di miele.
«Marisol!», saluta il postino, «Marisol!», si inchina lo sceriffo. Lei con grazia morde una mela e sorride.
Due sguardi si incrociano in un giorno di fuoco, il tempo si ferma come prima di un duello. Marisol lancia la mela, il cowboy l’afferra, la porta alla bocca: il sapore di Marisol é dolce e acido come la vita.
«Alla Tana dell’Orso», sussurra passandogli vicino, poi scorre via, scompare, inghiottita in un orizzonte assolato, per dare modo al tempo che resta di riprendere il corso, lasciando in sospeso il suo invito.

Nel saloon più popolare della città, Marisol è la star. La sua voce riempie l’aria con un fiore trai capelli, sfiorando i sensi degli uomini con soavi canzoni per cercatori d’amore, mentre un raggio di luna filtra e illumina il profilo incantato della dea dai capelli corvini.
«Che coincidenza!», ride l’oste, «Raggio di Luna era il suo nome!»
Marisol, l’indiana, la più bella mai vista in città.
Tornano a pungere le cicatrici di guerra del forestiero, asfissia i ricordi l’odore delle capanne infuocate, risuona il pianto della donne e dei bambini, é un incubo di suppliche uccise, senza pietà.
Sopravvivere alla vergogna, si può? Da anni, ormai, non riesce più a deglutire, pensa il cowboy toccandosi la gola. Si diserta dall’esercito, ma non da sé stessi.
Forse Marisol… Che sia lei la salvezza, che possa essere per sua mano, la redenzione?

Nella soffitta che profuma d’incenso giunge una notte di confessione.
«Ora sai, Marisol, chi sono, e potrai dirmi se esiste un perdono. E se esiste, con queste mani lavorerò fino a farle sanguinare. Per te. Per darti una casa che sia dimora per i nostri figli, e per gli avi della tua gente. Scegli tu, Marisol, scegli tu per me, Raggio di Luna…».
In ginocchio, petto scoperto, braccia aperte, nella mano destra una pistola, nella sinistra le chiavi di una casa da costruire.
Nella destra un anelito di vendetta, nella sinistra la speranza di un perdono impossibile.