Palma d’Oro a Cannes e primo film straniero a vincere nella categoria Miglior Film ai Premi Oscar. Ottimo biglietto da visita, anche se trovo piuttosto inutile parlare di premi, perchè non c’è alcun valore assoluto: Via Col Vento e Il Mago di Oz uscirono nello stesso anno, così il più bel musical di sempre si è ritrovato con un solo Oscar, mentre La La Land (forse il peggior musical di sempre), ne ha sei. E’ marketing, è tempismo, conta l’anno, conta il trend: l’arte conta pochissimo e pochissimo ne viene influenzata, per fortuna.

I film nominati per l’Oscar a miglior film nel 2020 avevano però tutti qualcosa di importante. Nessuno avrebbe vinto immeritatamente (forse Tarantino sì), quindi ben venga il premio a Parasite, che ne guadagnerà in risonanza a livello mondiale, in un periodo di scarsa originalità e coraggio del cinema mainstream. Noi occidentali non possiamo non essere spiazzati da un film del genere: alla indubbia originalità e qualità del film va aggiunto sempre in questi casi uno scarto culturale che probabilmente ci fa notare dettagli legati ai modi di fare e all’organizzazione sociale che arricchiscono la nostra esperienza cinematografica, aprendo ulteriori finestre su un mondo sempre molto lontano. Tutta la questione sull’odore delle persone povere è spiazzante, ma sono certo che la percepiamo in modo molto diverso dagli spettatori asiatici – e lo stesso si può dire dell’effetto che fa (soprattutto a noi italiani) sentire una canzone come “In ginocchio da te” di Gianni Morandi in un film coreano.

Bong Joon-ho (già regista di Okja e Snowpiercer, entrambi fortemente caratterizzati da elementi di critica sociale, seppur calati in contesti fantasy/Sci-fi) scrive e dirige un film in cui si trova tutto: commedia, horror, thriller, satira sociale, impegno. Il mondo di Parasite è chiaramente diviso in un mondo alto e uno basso, separati da ripide scalinate in una città che sembra più verticale che orizzontale.

La famiglia Kim prova a sconvolgere quest’ordine e annullare le distanze introducendosi con l’inganno nella vita della famiglia Park, rimpiazzando a uno a uno i vari domestici della famiglia. Sebbene il piano sia di difficile mantenimento (i quattro fanno finta di non conoscersi fra loro, ma più il tempo passa più la cosa si complica), le cose procedono come previsto, finché la precedente governante non torna a recuperare qualcosa che aveva dimenticato in cantina.

L’iconografia costruita da Bong Joon Ho è efficacissima: i poveri abitano quasi sottoterra, costretti a muoversi in spazi angusti e a difendere la dignità del proprio territorio, mentre la famiglia Park vive in una villa splendida (che nasconde parecchi segreti) con un giardino che sembra non avere fine, come la sua disponibilità economica: di fatto ogni membro della famiglia ha a disposizione un domestico personale.

La pioggia torrenziale che si abbatte sulla città nella drammatica serata in cui l’inganno sembra destinato a svelarsi è la vendetta del cielo contro la presunzione di chi osa pianificare la sovversione dell’ordine naturale delle cose, per di più con l’inganno. Nessuna purificazione manzoniana, anzi: per i ricchi, è l’occasione per godersi ancora di più la casa, per i poveri, la beffa ulteriore dell’inondazione, molti livelli sociali e urbani più sotto. La divisione tra le due famiglie è molto più che economica e sociale, ma i confini umani sono meno delineati. Non esiste una divisione netta tra personaggi positivi e negativi – e in questo Parasite riesce davvero a innestare su una trama ai limiti dell’assurdo caratterizzazioni molto realistiche di tipi umani, mostrando come spesso siano il caso o le condizioni sociali a determinare l’atteggiamento delle persone, che il bene e il male sono sempre entrambi dentro di noi e solo le circostanze fanno prevalere l’uno o l’altro aspetto della nostra natura. Chi sono i parassiti? I poveri che ingannano gli ingenui ricchi sfilando loro più soldi possibile o i ricchi che poggiano il proprio agio sui poveri, senza mai considerarli davvero alla stregua di persone reali? Nessuno può vincere in questa situazione e il convulso finale mostra proprio questo, seppur esasperando i toni – finché non c’è giustizia sociale, gli uomini potranno solo provare a trarre il massimo da ogni occasione, a costo di rinunciare alla propria umanità e alla solidarietà.

Il grande merito di Parasite, in ogni caso, è una trama costruita con grande attenzione, che fino alla fine riesce a spiazzare prendendo sempre la direzione meno prevedibile, non abbandonando mai l’elemento comico nemmeno nei momenti più drammatici e finendo per avere diversi piani di lettura, non ultimo quello del puro intrattenimento – senza mai scadere in luoghi comuni.