Dopo aver concluso la sua esperienza con i film di James Bond (No Time to Die, in uscita, dovrebbe essere l’ultimo sia per il regista che per Daniel Craig), Sam Mendes si è dedicato a un progetto personale: trasporre i racconti di guerra di suo nonno – al quale il film è dedicato – in un lungometraggio. Il risultato è 1917, grande favorito per la vittoria come miglior film agli Oscar 2020, forse giustamente sconfitto da Parasite, ma certamente meritevole di essere nel novero dei potenziali vincitori e vincitore di molti altri importanti premi.

1917: durante la Grande Guerra, i caporali Blake (Dean-Charles Chapman) e Schofield (George MacKay) vengono inviati alla disperata ricerca del Secondo Battaglione inglese, intenzionato a sferrare un attacco ai tedeschi in apparente ritirata. Il comando inglese ha ricevuto infatti la notizia che i tedeschi stanno in realtà tendendo una trappola che costerà la vita a mille e seicento soldati, tra cui il fratello di Blake. Per raggiungere in tempo la prima linea, i due devono attraversare la “terra di nessuno” di notte, sperando di arrivare prima dell’attacco e di non cadere nelle trappole lasciate dai tedeschi in ritirata.

Rispetto ad altri candidati (Jojo Rabbit, Parasite, Marriage Story) 1917 è un film più classico, almeno nei contenuti: la missione quasi impossibile di un soldato, l’obiettivo militare e quello personale, la vicenda singola che si erge a paradigma di tutto l’orrore bellico. Niente di particolarmente originale, se non fosse che Mendes, oltre ad aggiornare il lessico dei war movies con scene di rara potenza visiva, sceglie di girare tutto in un unico piano sequenza. In altre parole, non c’è montaggio – almeno non evidente, non ci sono stacchi di inquadratura: dall’inizio alla fine, il film scorre praticamente in tempo reale, fatto salvo per un unico momento, funzionale alla storia. E’ proprio questo il valore di questa scelta di regia: non soltanto un’incredibile coreografia di movimenti di macchina, ma un mezzo per raccontare una storia in modo da far arrivare allo spettatore la stessa ansia e la stessa solitudine del protagonista, quasi senza filtro. Se inizialmente i virtuosismi tecnici tendono persino a distrarre dalla visione, una volta fatta l’abitudine e soprattutto nella seconda parte (dopo l’unico “stacco”), prevale l’aspetto emotivo e si finisce per scomparire nella storia e trattenere il fiato fino alla fine.
L’assenza del montaggio consente di non spostare mai il punto di vista dai due protagonisti e impedisce allo spettatore di avere una visione esterna, e quindi distaccata, su quanto si sta svolgendo sullo schermo. Il capolavoro di Mendes è riuscire a dare lo stesso effetto di una classica scena di battaglia senza ricorrere a nessun espediente cinematografico classico: lasciando l’inquadratura fissa su un personaggio e semplicemente muovendogli la macchina da presa intorno, forse per la prima volta sentiamo la paura e l’ansia di chi sente la morte a un passo e non ha altra scelta che correre verso il suo destino.

Meritatissimo il premio Oscar alla Fotografia: le scene in notturna, alla luce del fuoco degli incendi, sono incredibili, spettrali. Ho avuto il dubbio che tutto quel che stesse accadendo fosse un sogno e non la realtà, un incubo a occhi aperti da cui è impossibile svegliarsi.

Non ci sono tantissimi film sulla Prima Guerra Mondiale (a memoria mi vengono in mente solo La Grande Guerra di Mario Monicelli e Orizzonti di Gloria di Stanley Kubrick), quindi 1917 ha comunque un elemento narrativo – e il reparto costumi – che lo differenzia dai soliti film di guerra con americani e nazisti – anche se i tedeschi di Mendes non ci fanno certo una figura migliore, ritratti come uomini senza alcuna pietà, espressione di violenza e male assoluto. E’ forse l’unico difetto di un film molto emozionante – i “nostri” e i “mostri” sono divisi dalla trincea, in modo forse sin troppo scolastico, superato ormai da analisi più umane e profonde sulle miserie universali di conflitti bellici di tale portata.

1917 è un altro film che nell’epoca del “Netflix & Divano”, implora di essere visto e gustato sul grande schermo – possibilmente evitando le sale che ancora interrompono la proiezione per l’intervallo. Ce la possiamo fare senza refill, per una volta. Ne vale la pena.