È che voi mi avete fatto tornare la voglia di leggermi dentro, come quando a scuola scrivevo poesie, e mi soffermavo per comprendere cosa mi stesse capitando.

Cosa accompagnava il dolore di sentirsi esclusi, incompresi, e sempre estranei?
Cosa accompagnava il fastidio di sentirsi esclusi, incompresi, e spesso estranei?
Cosa accompagnava l’accettazione di sentirsi esclusi, incompresi, insomma estranei?

Quando è arrivata l’accettazione ho smesso di scrivere. Poesie ma anche altro, a dire il vero.
Ho smesso, dandogli il nome di uno sfogo passeggero, che non aveva ormai più motivo d’essere.

Le poche volte che mi era ricapitato, un po’ per caso, di prendere la penna in mano, era stato evidente, o meglio mi era stato evidente: avevo un mondo da svelare, ma forse nessuno lo avrebbe davvero capito, difficilmente voluto.
E così passava il tempo, ed io avevo un mondo da reprimere, che tanto nessuno lo avrebbe capito, di certo non voluto.
E infine un mondo dimenticato, che nessuno mai avrebbe più avuto occasione di capire, figuriamoci volere.

Il fatto è, che è tutta colpa mia. Io non ho mai creduto in me. Io ho sempre aspettato un segnale da altri, e quando c’è stato, perché c’è stato, l’ho anche ignorato.

Non ho creduto in me abbastanza da voler investire sui miei talenti quando avrei potuto farlo. Non abbastanza da prendermi i rischi di un inevitabile rifiuto.

Inevitabile? Sì, io lo sentivo tale.

Perché c’era sempre una moltitudine più capace intorno a me. Non ho mai creduto potesse trovare una collocazione la mia voce. E allora restavo in silenzio, ad osservare, timida, la vita che scorreva.
Restavo ai margini, come molti altri intendiamoci, nel fiume delle occasioni sprecate, delle storie irrisolte, a non fare mai del tutto parte della mia stessa esistenza.

Un giorno magari qualcuno, con l’animo più sensibile, con lo sguardo più curioso, avrebbe letto in me qualcosa di speciale.

Avrebbe guardato un po’ oltre l’artistoide estroverso, un po’ più a sinistra del genio della ribalta, un po’ più a destra dell’oratore di professione, subito prima della soubrette con le gambe chilometriche, all’esatto estremo rispetto a quel frontman che pare la reincarnazione di Jim Morrison, due passi indietro rispetto all’ammaliatrice di serpenti, qualche metro più giù… e in un angolo avrebbe incontrato me.

Poi un giorno è successo. È successo che dopo decenni, in una giornata più piovosa e repellente delle altre, così, per caso, io mi sia ritrovata tutta zuppa e senza ombrello al solito angolo. E questa volta, un po’ per pietà, un po’ per gioco, mi sono accolta. Dopo essermi asciugata per non prendere il raffreddore, cosa davvero strana, mi sono persino un po’ capita.
E in quell’angolo, come succede a volte a chi un po’ di luce propria inizia anche a brillare, uno ad uno, ho attirato qualche altro timido sguardo. E da quell’angolo, così, con delicatezza, qualcuno ha attratto il mio.

Questo per dirvi che da un paio d’anni qualcosa è cambiato. E che con voi mi sento più forte, e quindi oggi non aspetto più.

Ho iniziato a lanciare i miei segnali di fumo ed ho creato un luogo, e non mi sento più ai margini, anzi ho tanta voglia di fare, di dire, di creare e progettare. Di scrivere! Poco tempo, ma tanta tanta voglia.
E tutto questo è anche  grazie a voi.