Mentre raccontavo quei fatti, e le spiegavo le mie sacrosante ragioni, Cloe era lì, nuda sotto al lenzuolo, che ben poco lasciava all’immaginazione.
Si tirò su scoprendo per un attimo il fianco e il seno candido; poi veloce e scattosa infilò la maglietta e i jeans che io le avevo sfilato e lanciato la sera prima sul pavimento, a fianco del suo lato del letto.
Era molto nervosa.
La voce un po’ rigida lo rese indubbio, palese; ma già la rapidità con la quale aveva celato a me la sua nudità era stato un chiaro segnale di disappunto. Avevo sbagliato qualcosa?

«Quindi tu vorresti farmi credere che Anneke do-po essere tornata indietro, per te, se ne sia andata senza averti neanche dato dello stronzo… non una scenatina? Dai, smettila».
«… Ma… ».
«Mi chiedo spesso cosa ti spinga a mentire, specie a te stesso. Mi chiedo perché ti ostini a ridisegnare gli episodi della tua vita fino a privarli del senso originale.
E non mi riferisco ai tuoi mille animali guida, o agli oggetti parlanti, sia chiaro, ma a tutto il resto».
«… Non saprei… non capisco esattamente a cosa tu ti riferisca… Ho paura che poi, magari… sparirebbero».
«Gli animali guida? Gli oggetti parlanti? Questo ti preoccupa? Non ha senso, te ne rendi conto?».
«… Eppure è così, sono consapevole di essere pazzo, ma la loro presenza mi è di conforto».
«Tu non sei pazzo. O quantomeno, la tua follia è… lucida! Tu piuttosto ti nascondi. Per paura. Ma non credo che, come invece vorresti farmi credere, la tua paura sia quella di deludere o fare del male. Tu hai paura di essere deluso e di subire del male».
«Cosa te lo fa pensare?».
«Non vuoi dirmi che vuoi restare con me per sempre, quando, perdona la mia presunzione, è evidente. Mi ami, mi cerchi, sono anni che hai bisogno, anzi che letteralmente ti aggrappi a me. Ma hai pau-ra che io possa ferirti. Perché qualcuno ti ha ferito e molto. La domanda è: Chi?».
«Io… ».
Mi sentii davvero messo alle strette.
«Inizialmente avevo pensato a Rossana, la madre di Martina, colei che ti ostini a chiamare Barbie o, in modo davvero esagerato, La Mantide… questi no-mignoli farebbero pensare che sia stata lei in qualche modo a esasperare il tuo desiderio di rivalsa verso le donne… ».
«Rivalsa? Ma cosa dici? Io le adoro. Io non potrei vivere senza».
«Ma allo stesso tempo le temi. Ti rifiuti di andare oltre».
«… No è che… non con te, Cloe».
«… Non con me…?».
Vidi Cloe per la prima volta indossare una espressione quasi esasperata. Non mi credeva. Sembrava trattenere un pianto astioso. Stava per esplodere, o peggio implodere. Mi sentii terrorizzato dall’idea di perderla e mi decisi. Le avrei raccontato tutto. Pur di trattenerla, ero pronto a tutto. Cloe riusciva davvero a farmi compiere azioni contrarie alla mia natura. Mi affascinava e un po’ mi spaventava la sua influenza.
«D’accordo, ti amo da secoli. L’ho sempre saputo. La statuina quella sera, quella che veicolava la voce di mia madre, non ha fatto altro che costringermi ad ammettere l’ovvio: che ti amo, ho bisogno di te. Che sono geloso dell’aria che respiri, figuriamoci di quel fotomodello trentenne che era pronto a chiederti in moglie».
Finalmente l’arco del suo corpo iniziò a disten-dersi. Si sedette comoda, con la schiena appoggiata alla spalliera del letto, mentre la luce del mattino fil-trava dalle tende illuminando di fuoco i suoi capelli sconvolti.
«Ti ascolto».
«Hai ragione. Barbie, La Mantide… non merita il mio disprezzo. Non l’amavo. Semplicemente, io non l’amavo».
«Ma ci hai fatto una figlia».
«Sì, perché credevo prendesse la pillola».
«Ma è terribile! Ci credo che…».
La fermai, ero in ballo, volevo essere sincero fino in fondo, e quindi non volli quella facile pietà che avrebbe forse disteso gli animi.
«Sì per un attimo mi sono sentito incastrato. Ma quando ho capito che lei non mi avrebbe costretto a nulla…».
«Non direi a nulla. Ti ha costretto a diventare pa-dre».
«È vero solo in parte… Rossana era una donna splendida, ma non più giovane, che aveva avuto per una vita come compagno il suo impresario, Ken… e non avevano avuto figli. Non erano mai arrivati quei figli.
I due si erano trasformati nel tempo in una strana coppia. Più colleghi che amanti. Entrambi avevano relazioni sentimentali parallele.
Ma Rossana desiderava moltissimo diventare madre.
Non mi ha chiesto di restare. Sono io che ho deci-so di provare ad essere un padre per Martina… per-ché non avevo niente. Nient’altro. Rossana lo aveva capito. Ma presto capì anche che Martina era l’unica ragione della mia permanenza. Che per quanto si sforzasse non le avrei mai dato tutto me stesso. Mi mandò via di casa. E quando lo fece io non mi feci pregare… Né rivendicai il mio diritto alla paternità. Fu una triste, tristissima, liberazione. Rossana tornò a stringere il suo antico sodalizio con Ken.
Il vero padre di Martina alla fine è stato un attore fallito, sempre abbronzato, con la dentatura esagera-ta. Per molto, troppo tempo sono stato incapace di far parte della vita di mia figlia».
Cloe mi guardò indagatoria. Sì, qualcosa le era stato svelato. Ma ancora non abbastanza da spiegare la mia tendenza ad evitare quel tipo di coinvolgi-mento che rende troppo vulnerabili.
«Strano… il tuo primo racconto senza animali o oggetti parlanti. Parlami di Anneke. Tutta la storia».
Bingo. Pensai.
«Tornò. Proprio come ti ho detto. Non andai neanche a prenderla in aeroporto. Mandai Angela, un’amica, un’animatrice allegra che l’avrà riempita di parole inutili per tutto il viaggio fino al campeggio o villaggio o quello che era.
La immaginavo chiedersi come mai non fossi lì per lei.
Quando arrivò ovviamente mi cercò».
Cloe si sentì in qualche modo complice di quella versione anni luce più giovane e inesperta di se stes-sa. Si alzò e prese una sigaretta da un cassetto. Fu-mava molto di rado. E quel momento lo meritava, a quanto pare.
«Continua».
«Lei mi cercò ed io la evitai.
Vedevo il suo sguardo sgonfiarsi della residua speranza di riuscire a darsi una spiegazione sensata e plausibile, momento dopo momento.
Occhi di cielo che per un processo di abbassamen-to costante e graduale della temperatura si trasfor-mavano in ghiaccio.
No, nessuna scenata. Evidentemente non era il tipo. Io non ci capivo più nulla. La desideravo ma ero terrorizzato. Donne così sanno di assoluto. Non ero pronto per lei forse, o forse c’ero quasi. Dovevo ca-pire. Sconfiggere quel terrore. La vidi confabulare con Ken…
Il giorno dopo lui annunciò che Anneke faceva parte del team».
«Ah, quindi non partì».
«No, non subito».
«Inutile dirti che Anneke, la splendida olandesina, divenne nel giro di un giorno la ragazza più ambita dallo staff e dagli ospiti. Lei giocava con tutti senza accontentare nessuno. Almeno io così volevo crede-re. E la desideravo come non mai».
«Perché ti sembrava di non essere più il centro del suo mondo… Sei consapevole però che lo eri ancora, vero?».
«Non lo so. So solo che stavo impazzendo. Ma a quel punto subentrarono nuove paure. La paura di un suo rifiuto ad esempio… quindi non feci nulla. Ma se era lì, mi dicevo, sì… che doveva essere per me».
«È proprio vero che la vendetta è un piatto che va gustato freddo».
«… una sera mi sorrise. Dopo giorni non mi igno-rò come al solito… e allora trovai il coraggio».
«Anneke possiamo parlare?».
«Ma certo honey».
«Io sono stato uno stupido».
«Ok. Va bene così».
Le presi la mano e la feci accomodare al bar. Allo stesso tavolo del nostro primo causale appuntamen-to.
«No, no non va bene! » dissi trafelato.
«Cosa vuoi dire me honey, ti ascolto…».
«Sono pronto. Ora sono pronto. Se mi vuoi anco-ra…».
Si alzò dal nostro tavolo.
«Sì, credo tu pronto. Peccato. Non è più importan-te».
Si alzò, si guardò in giro e davanti ai miei occhi increduli andò da Ken, lo abbracciò e lo baciò sulle labbra.
«Grazie di tutto. Domani parto. Io a casa.» gli dis-se.
Non uno sguardo. Per me non ci fu neanche uno sguardo. E in fondo, perché guardare. Anneke lo sapeva bene che stavo bruciando vivo. Ken invece, lui sì che mi guardò. Aveva lo sguardo di mille trionfi.
Fu solo allora che Anneke partì per sempre. Solo allora. Avevo avuto quello che meritavo.»
Cloe mi guardò intenerita. E forse un po’, sì sono quasi certo che ammirava la determinazione mostra-ta da Anneke nel dolore, nella delusione.
«Ti ha fatto credere di essere stata con quell’uomo che tu trovavi insopportabile: la tua antitesi… E così ha raso al suolo il valore della vostra prima volta. Ha voluto distruggere il ricordo di voi…
Sì, direi proprio che ce l’hai fatta a farti odiare, honey…!
Come riesce a fare solo chi si ama in modo appas-sionato.
Ma, credimi, una così non mi pare tipo da buttarsi via. Ken è stato al gioco. Aveva anche lui i suoi buoni motivi per fartela pagare.
Non credo che tra loro sia mai accaduto nulla. E se l’amavi davvero, sono certa che avresti potuto co-munque tentare di ottenere il suo perdono.
Ma in fondo avevi ottenuto quello che volevi».
«Ma come quello che volevo? Cosa intendi?».
«Una nuova ragione per aggiungere distanza tra te e il resto del mondo».
Restai in silenzio e iniziai a suonare la chitarra. Quella chiacchierata mi aveva sfiancato.
Allora lei si avvicinò, e finalmente mi accarezzò, mi infilò le mani nei capelli e mi baciò con quelle labbra di miele, e rapida come un gatto rosso mi spogliò, avvolgendomi del suo profumo, dei suoi umori agrodolci.
Era immensa Cloe.
Aveva la capacità di espandersi e riempire ogni vuoto, come un fluido.
Lei avrebbe potuto colmare, finalmente, anche quella distanza.