IN UN GIORNO MENZIONATO SU NESSUN CALENDARIO
A quel balcone da cui nessuno s’era più affacciato, essendo l’antico palazzo padronale ormai disabitato e mezzo caduto in rovina, era d’improvviso apparsa, in un giorno menzionato su nessun calendario, una donna intenta a spazzolarsi i capelli.
Capelli neri con una frezza bianca che originava nitida sul lato destro della fronte, come la traccia di una cometa in un cielo notturno.
La donna al balcone l’avevano vista i pescatori al rientro dalla loro battuta di pesca notturna, e quelli che s’apprestavano a quella diurna; i contadini che s’avviavano ai campi; il dottore e il prete che insieme tornavano dopo aver trascorso parte della notte al capezzale di un moribondo.
L’avevano vista a quell’affaccio, che credevano disabitato, spazzolarsi i capelli, che nella luce ancora incerta dell’alba altri particolari non erano riusciti ad intravedere.
Vestita di scuro, qualcuno asseriva.
Vestita di rosso, qualcun altro ribatteva.
Chi poteva essere quella donna al balcone di una dimora disabitata se non un fantasma inquieto, insofferente alle pene del limbo?
…così, più d’uno s’era fatto il segno della croce, e affrettato il passo.

In quel giorno menzionato su nessun calendario, Maria Verena Valduga, aveva fatto la sua comparsa (apparizione, qualcuno avrebbe detto), a quel balconcino dismesso, scatenando da subito la fantasia dormiente degli abitanti, che di novità non ne capitava quasi nessuna in quel borgo profondamente incassato tra le montagne e il mare, difficilmente intercettabile dagli sguardi umani e da quelli divini, da poterlo considerare un piccolo pianeta all’interno di un pianeta più grande.
…eppure quella comparsa inaspettata aveva sortito la capacità di mettere in moto meccanismi caduti in disuso come, ad esempio, quello della memoria, esercizio che i vecchi avevano da lungo tempo dimenticato e i giovani assolutamente non conoscevano, essendo abituati da sempre a vivere in un’immobilità temporale dettata dai ritmi delle stagioni e scandita dalle regole comunitarie.
Nascevano e morivano così come fanno le piante e gli animali, senz’altro scopo che quello di trascorrere in un qualche modo gli anni intermedi tra i due eventi.

NEI MEANDRI DELLA MEMORIA
Ambiziosa, quanto sfortunata, la famiglia dei Valduga, nobili senza blasone, a cui invano avevano da sempre aspirato, una contea o una baronia, più facili d’acquisire con l’arte dell’ossequio e dell’adulazione, che al principato, invece, solo con un matrimonio si sarebbe potuto accedere.
…seppure a quello c’erano andati davvero vicino, con la nascita di Maria Verena, promessa sposa al principe Giovanni Cuza Sigmaringen, il cui destino, però, fu quello di non arrivare all’età dell’adolescenza, prematuramente ucciso da una malattia di languore.
Dopo di che nessun’altra richiesta di matrimonio, di così alto lignaggio, era pervenuta a Maria Verena, che superati i vent’anni, ancora nubile, vedeva profilarsi l’ombra sinistra del convento, da preferirsi a quella di un apparentamento di basso profilo.
Meglio badessa che zitella.
Questo il sunto di un destino segnato, deciso dalla famiglia, che lei, dopo esser stata quasi principessa, non avrebbe potuto accontentarsi di qualcosa di meno.
Eh si che bella lo era.
Particolare, di certo, con quella ciocca bianca che ancora giovinetta le conferiva una parvenza già adulta, e forse, a vent’anni, già di donna matura.
Era anche per questo, nel suo destino, la sorte del convento.
Così cercavano di convincerla i famigliari, che per vincere il suo disappunto adducevano ragionamenti assurdi, tentando di persuaderla che quella ciocca bianca, nel folto velo corvino dei capelli, rappresentasse il soggolo con cui Dio la designava sua sposa.
…e la morte prematura del giovane principe Giovanni Cuza Sigmaringen, ne era la conferma.

Fu così che quando in paese arrivarono gli zingari giostrai lei scappò con uno di loro.
Di lui si conosceva solo il nome, Django, e l’ombra buia nei suoi occhi.
Di lei non si seppe più nulla.
Di lei non si volle sapere più nulla.
Nessuna ricerca venne messa in atto, e per soffocare lo scandalo si accreditò la notizia della sua entrata in convento.

LA SFIDA
A quel balconcino dove s’era mostrata Maria Verena Valduga (che i più s’erano ormai convinti che fosse lei, rediviva) ora vi facevano bella mostra un vaso di gerani e uno di basilico, e una gabbietta per uccelli, vuota e con la porticina spalancata.
Elementi questi sufficienti a convalidare la tesi del ritorno della fuggitiva alla casa paterna.
…che di altro oramai non si parlava in paese, se non di questo straordinario evento.
La domenica s’era poi mostrata alla funzione della messa, con un’entrata scenografica scioccante: il volto coperto da un velo di pizzo nero, una mano vestita da un guanto, e al guinzaglio un superbo alano bianco.
Nel silenzio più grande aveva percorso il tragitto fino all’altare maggiore, col cane che da lei non si discostava di un passo. Poi s’era sfilata quell’unico guanto e lo aveva gettato, con disprezzo, in faccia al prete.
Senza una parola s’era avviata verso l’uscita, e quando uno dei fedeli s’era interposto a sbarrarle la strada, il ringhio minaccioso del grosso cane lo aveva convinto a farsi da parte.

«Sarà un fantasma.»
«Forse lei…ma il cane no di certo.» Aveva obiettato, con un qualche nervosismo, il coraggioso che aveva tentato di sbarrarle il passo.
«Allora è davvero tornata!»
«Tornata, e da dove?»
«Dovremmo chiederlo al prete: i preti sanno sempre tutto.»
«Oh si, loro sanno sempre tutto, ma raccontano solo quello che gli pare.»
« E quel guanto in faccia…una sfida o un avvertimento?»
«Un gesto così sprezzante può essere solo di sfida.»
«Eh già, uno schiaffo pubblico a cui don Rigamonti non ha reagito.»
«Reagire…reagire…si fa presto a dire, lo ha colto di sorpresa, cosa avrebbe dovuto fare?»

Queste, ed altre, le congetture che andavano maturando sul sagrato della chiesa alla fine della funzione terminata con anticipo, che l’officiante aveva saltato l’omelia domenicale e congedandosi con evidente premura, ad evitare qualsiasi spiegazione, s’era eclissato da una porta secondaria.
UN RACCONTO DESTINATO ALL’OBLIO
Spiegazioni che neppure gli anziani avrebbero saputo dare, perché della sorte di Maria Verena sapevano solo ciò che alla famiglia era convenuto dire, senza altri riscontri se non le testimonianze mercenarie dei notabili dell’epoca, tra cui lo stesso prete.
Non c’era poi molto da ricordare se non che la famiglia poco dopo s’era trasferita in un imprecisato nord, e di loro non s’era saputo più nulla.
Una storia senza un vero inizio e una vera fine, e neppure una vera trama, che se la verità ufficiale era quella dell’entrata in convento di Maria Verena, altre verità ufficiose, relegate nell’ambito del sospetto, parevano essere più plausibili di quell’unica conclamata.
…e mentre i Valduga emigravano verso i loro possedimenti al nord, la polizia irrompeva tra le tende degli zingari giostrai per caricarli su camionette, anche queste dirette a nord, ma verso i campi di concentramento.
Neppure di loro si seppe più nulla.

Un racconto senza interpreti e né testimonianze è destinato all’oblio
…e ancora più facilmente se nessuno, per le verifiche postume, si è assunto l’onere degli appunti: nomi, date, orari e luoghi.
Ci sarebbero allora state, all’occorrenza, conferme e non supposizioni, anziché il silenzio dei vuoti di memoria, reali oppure omertosi, che a piacimento si possono gestire in mancanza di riscontri.