Marta e Marco
(sesta ed ultima parte)
«Mi commuovete», disse Marta.
«Grazie per l’elogio, Marta,» disse Antonio «ma non ci hai ancora spiegato quello che ci hai fatto intuire prima. Qual è l’altro mistero? Dai, liberati, sprigiona, scarica», la incitò Antonio.
Marta si alzò in piedi e prese solennemente in mano il suo flute.
La sua bellezza attirò l’attenzione di tutti e spense il chiacchiericcio nel locale. Non si sentì volare una mosca e col loro flute in mano si alzarono in piedi anche Marco, Antonio e Cesare.
«Speriamo che ci aiuti tutti quanti» sussurrò Marta alzando il flute.
Girando su sé stessa col flute a mezz’aria, Marta si rivolse a voce alta agli altri avventori:
«Signori, questo è per me un giorno di felicità e di gioia. Brindo a un miracolo, brindo al mio amore, eccolo, signori, è lui, si chiama Marco. Brindo per me e per lui, per il mistero del nostro amore. Voglio coinvolgervi, signori! Voglio condividere con voi la mia gioia, voglio contaminare i vostri cuori, voglio che questa mia gioia sia anche vostra. A questo mio brindisi mi spinge l’amore per Marco e mi chiedo cosa mi spinge a manifestarvi la mia gioia ed ad augurarla pure a voi; la sola risposta che ho è che mi guida il mistero dall’Amore celeste, dell’Amore assoluto. Mi guida quel mistero che ci accalora invitandoci ad amare il prossimo, ad amarci gli uni con gli altri. Mi guida quel caldo mistero, signori. Quel mistero mi dice che sono piccola, debole e fragile e che solo riconoscendo la mia debolezza posso accomunarmi a tutti voi amandovi, che solo riconoscendo la mia piccolezza posso invocare il soccorso della grandezza divina. Ecco cosa mi guida. Mi guida una grazia ricevuta dal cielo, una grazia che mi rende umile e che per questo mi rende felice. Signori, mi auguro che questa grazia guidi anche voi. Brindate perciò tutti quanti con me, vi prego! Brindiamo per me, brindiamo per Marco, brindiamo per noi che siamo a questo tavolo, brindiamo per tutti noi che siamo in questa sala, brindiamo per l’intera umanità, facciamolo con gioia; facciamolo però con umiltà, facciamolo con la riconoscenza che dobbiamo al cielo per i doni che ogni giorno il cielo ci manda, per il sole che sorge, per il fiore che sboccia, per l’amore che nasce e si realizza. Signori, brindiamo augurandoci gioia, felicità e grazia, brindiamo a tutti gli amori e ringraziamo il cielo per tanta bellezza».
Molte persone nel locale si alzarono in piedi applaudendo.
Marta sollevò il flute in segno di brindisi e tutti presero i loro bicchieri e la accompagnarono.
«Auguriamoci grazia, amore e gioia, signori, ringraziamo il cielo per l’amore terreno che ci manda. Diciamo grazie all’Amore divino per il dono dell’amore terreno. Diciamo grazie a quell’Amore che muove il Sole e le altre stelle, ringraziamolo per la bellezza che ci dona in infinite forme. Grazie Signore per avermi donato Marco e grazie Signore per avermi donato l’amore per il prossimo; per quell’amore io vi amo, amo tutti quanti voi, Signori. Senza l’amore del Signore e senza l’amore per tutti voi io ora non sarei qui a cantarvi felice la mia gioia per l’amore che provo per Marco. Auguriamoci ogni amore per tutti quanti noi, signori. Cin cin, signori!»
Brindarono e ci furono applausi e gridate di elogio.
«Grazie Signori, grazie a tutti», disse Marta.
Dopo aver assaggiato lo champagne, Marta posò il flute, si sedette, si rilassò ed abbassò lo sguardo verso il pavimento mentre Marco le dette un bacio sulla guancia.
«Grande Marta! Ce l’hai fatta a vincere. E grande Antonio, sei stato bravo ad aiutarla ed hai vinto pure te, complimenti. Grazie a tutti e due», disse Cesare.
«Ah, ah, ah, e io? Oh! Embè? E io non avrei fatto nulla secondo te?» disse Marco.
«Beh, vabbe’, bravino pure te vah, facciamo sto sacrificio», disse Cesare.
«Ah, ah, ah, tu sei solo invidioso, caro Cesare».
«Embè? E che c’è de male? Chi nun lo sarebbe de fronte alla fortuna che hai? Beh, mo vedi de esse bravo sinnò te meno! Ora Marta è la mia regina e dovrà dormire sonni tranquilli, non so se mi spiego».
«Ah, ah, ah, grazie per gli elogi Cesare» disse Antonio, «grazie, anche se qua di davvero brava credo ci sia soltanto Marta. Sei straordinaria, Marta. Rivolgendoti alla fede hai fatto una bella cosa e, lì, hai fatto tutto da sola, io non c’entro più nulla».
Marta ringraziò ma sembrava spaesata, sembrava altrove, come se non stesse più ascoltando. Con lo sguardo perso a fissare il pavimento, si mise le mani nei capelli.
Marco si alzò, andò dietro la sedia di lei e la abbracciò da dietro appoggiando la testa sulla spalla destra di lei.
«Grazie amore, sei gioia pura» le disse da dietro nell’orecchio.
«Marco, non abbiamo finito di lottare e non finiremo mai di lottare».
«Eh, figurati! Mi hai sorpreso Marta, non credevo che la tua tensione spirituale fosse così alta. È splendido ma… ora? Cosa c’è che non va?»
«Marco, sì, c’è qualcosa che non va. Durante il brindisi dicevo una cosa e ne pensavo un’altra. È stato come farmi un esame di coscienza. Ora siamo felici, Marco. Finora abbiamo lottato come leoni per la nostra felicità e l’abbiamo ottenuta ma ora mi chiedo come continuare a meritarcela. Le parole durante il brindisi mi sono uscite dal cuore non so come e, però, mentre parlavo mi chiedevo pure come e quando sarei passata dalle parole ai fatti. Sai che noi abbiamo ancora tanti altri nostri problemi da risolvere; riusciremo a pensare anche a quelli altrui? Questo è, Marco. Ci riusciremo? Perché se aspettiamo di risolvere tutti i nostri problemi prima di pensare a quelli altrui, beh, le mie belle parole rimarranno soltanto belle parole. Penso che non custodiremo la nostra felicità se ora non ci dedicheremo pure agli altri, a chi soffre, a chi è infelice».
«Certo amore, l’aiuto, il soccorso, l’amore che hai augurato a tutti. Son cose facili a dirsi e meno facili da tradurre in opere. Ma noi lotteremo per noi e per gli altri, amore, non essere triste. Lottare solo per noi sarebbe egoismo che inquinerebbe la nostra felicità, quello che noi potremo fare per gli altri non basterà per sanare il mondo ma il nostro contributo dovremo darlo altrimenti la nostra felicità non la tratterremo, spalanchi una porta aperta, amore, stai tranquilla. Lavoreremo insieme per questo altrimenti sarà tutto un po’ grigio».
«Marco, sempre, fino alla fine».
«Lotteremo insieme fino alla fine, amore. Ci ameremo e ci aiuteremo ma ameremo ed aiuteremo anche chi ha bisogno perché questo significa mantenere davvero la schiena diritta, non c’è dubbio; è una promessa che ci facciamo qui e che manterremo, vedrai».
«Grazie Marco. Oh Marco, quanto tempo ho perso! Io credevo che per mantenere la schiena diritta servisse soltanto la ragione e con te ho invece capito che serve pure il consenso del cuore. Grazie, amore».
«Ho sempre visto dentro di te la bellezza che tentavi di nascondermi. La colpa non era soltanto tua, Marta. In grande o in piccolo qualcosa ce la nascondiamo tutti perché tutti siamo condizionati dalla società e va a finire che, chi più e chi meno, siamo una cosa e vogliamo apparire altro. L’importante è accorgersene, l’importante è non farsi schiacciare dalla maschera».
«Già! Che fatica, Marco. È stata dura. Che fatica togliermi di dosso quella terribile maschera».
«Ne è valsa la pena, Marta. Per fortuna ora è acqua passata che dobbiamo archiviare. Sai cosa conta ora per me?»
«Cosa?»
«Vivere con te e vedere che dentro sei addirittura più bella di quanto lo sei fuori».
«Non lo so, Marco, non lo so. Durante il brindisi dicevo una cosa, ne pensavo un’altra ed è stato come se mi fossi guardata dentro ancora una volta ed avessi scoperto altre cose nuove. Antonio mi ha rivoltata come un calzino per anni ma continuo a scoprire cose nuove. Credo sia grazie all’amore per te, a quell’amore non più represso, all’amore libero oramai di agire e produrre frutti. Mi sento rinascere, Marco. Grazie a te, grazie alla tua bellezza, grazie al tuo cuore. Ti amo infinitamente, Marco».
«Dentro sei bellissima, te lo assicuro. Tu lo scopri ora ma io l’ho scoperto quattordici anni fa. Mi innamorai di te, non ho mai smesso di amarti ed oggi ti amo più di prima, Marta».
Marta si alzò dalla sedia.
Si abbracciarono a lungo baciandosi appassionatamente.
Antonio, Cesare e qualcun altro tra gli avventori applaudirono.
«Due anni fa, a poche ore uno dall’altro, Marco e Marta hanno rischiato di perdere la vita per amore. Guardali ora, Cesare, guardali come rinascono per amore», osservò Antonio.
«Già, vero! Sembra un miracolo, c’è qualcosa di divino. Sembra quasi che l’amore abbia un potere di vita o di morte», disse Cesare.
«Credo anche io che l‘amore sia un dono divino e che quel potere ce l’abbia; ce lo dice il mondo intero e persino l’universo. L’amore può tutto e fa tutto. Persino la formica che trascina una briciola di pane nella sua tana lo fa per amore. Citando l’amore divino di Dante nel suo brindisi Marta ci ha azzeccato».
«Certo, l‘Amore muove il sole e le altre stelle; il suo potere di vita o di morte su di noi è quindi persino una bazzecola al confronto; quello però è l’amore divino mentre quello tra Marta e Marco è l’amore terreno, sono due cose diverse, o no?»
«Eh, questo non lo so. Fatto sta che pure l’amore che consideriamo terreno ha un potere di vita o di morte, l’hai detto tu che nell’amore tra Marco e Marta ci vedi qualcosa di divino, no? L’amore terreno non è forse un frammento di Dio e che Dio ci ha donato? Che ne pensi?»
«Sì, sì, io però al manicomio non ci voglio andare a finire, Antonio, nun ce a pozzo fa’, perdonami».
«Ah, ah, ah, ampiamente perdonato, non ci capisco molto neanche io, speravo potessi avere qualche delucidazione da te».
«Sui massimi sistemi no. Forse ti posso delucidare sull’andamento delle azioni Fiat. Sicuramente posso delucidarti sull’abbacchio o sui maritozzi».
«Ah, ah, ah, ed io a quel punto posso solo lucidarti le scarpe in cambio del favore».
«Ecco, così famo pari e patta, ah, ah, ah».
E vissero felici e contenti?
Darwin direbbe che nessuno può essere felice per sempre se non è come un diamante che brilla rigido e freddo; si è invece felici per qualche momento e poi si lotta, si soffre, si gioisce e si compete per adattarsi al tempo che scorre e al mondo che cambia. Perché la vita deve affermarsi, perché l’imperativo è vivere, perché la vita è così ed a chiedersi perché è così non c’è una risposta scientifica.
Tre anni dopo Anna e Bice erano in vacanza in montagna e, in mezzo agli altri vacanzieri stesi al sole, Anna intravide una figura. All’improvviso si ritrovò col pensiero ad almeno cinque anni prima, alzò la mano destra per ripararsi gli occhi dal sole, aguzzò la vista ed ebbe un tuffo al cuore.
Era lui.
«Possibile?» si domandò ad alta voce.
«Che cosa?» chiese Bice.
«Passami il binocolo», chiese Anna.
«Cosa guardi?»
«Un sogno», rispose Anna prendendo il binocolo.
«Che ti sei fumata?» chiese Bice.
Anna scrutò col binocolo per qualche secondo.
«Sì, è lui», disse Anna abbassando il binocolo.
«Ma chi, il sogno?»
«Sì, Marco, il mio ex. È più bono di prima».
«Ah, quello? Bella pezza! Meglio perderlo che trovarlo. Dai vieni via», disse Bice.
«Senti, vai, vi raggiungo dopo, io qui ho da fare».
«Con quel deficiente? Oh! Ma sei impazzita? E sentiamo un po’: cosa avresti da fare?»
«No, niente. Tu vai, vi raggiungo dopo».
«Anna, vieni via, forza! Oh! Ma che ti sei bevuta il cervello?»
Perché è così?
“Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare”.
(fine)