Marco e Marta.

(quinta parte)

«La ami? Lo vedremo. Per come la vedo io, l’unica via di uscita per Marta è quella di dichiararsi con te ma lei si è sempre intestardita a cercare dei surrogati; aiutarla a farlo era un’operazione disperata ed ho sempre tentato di convincerla a rivelarti il suo amore, non ci sono riuscito e questo è stato il mio fallimento. Se scopro che tu la ami, Marta sarà felice, perché entrerai in gioco tu e le cose le aggiusteremo».

«Dai, parti, corriamo a trovarla, la voglio vedere».

«Accetti il mio aiuto, Marco?»

«Sì, ad occhi chiusi».

«Allora su quel che tu dovrai fare con Marta, comando io».

«Va bene, comandi tu».

«Io però devo prima conoscerti, non mi è concesso di sbagliare e fallire ancora. Quindi io ora non ti porto a Gagliano, ti porto a Tricase, ti mollo al pronto soccorso e non ti muovi da lì finché non ti farai medicare e analizzare. Ce l’hai qualcuno che può a venire a prenderti?»

«Sì, chiamerò la mia ragazza».

«La tua ragazza? Marta lo sa?»

«Sì».

«Eh! Cominciamo meravigliosamente! Va bene Marco, non ho la minima idea di chi tu sia ma fa parte del mio lavoro scoprirlo. Per ora ti dico che tu non ti farai vivo con Marta se non te lo dirò io, ci siamo intesi? Non ti azzardare a mandargli messaggi».

«Non mi pare di avere scelta. E se mi contatta lei?»

«Se ti chiamasse lei sarebbe un’ottima notizia, ma non voglio imprevisti con conseguenti altre tragedie, intesi? Dovrò avere tutto rigidamente sotto controllo finché le cose per Marta non si saranno stabilizzate, intesi?»

«Intesi».

«Ottimo, andiamo a Tricase. Abbi fede, Marco, se davvero la ami, questa volta sarai tu a costringerla a dichiararti il suo amore. Da solo non ci sono riuscito ma insieme ci riusciremo, ne sono certo. Le vostre vite ne usciranno dissestate e terremotate ma in compenso ricostruirete ogni cosa e vivrete felici».

Per Antonio fu una sfida impegnativa.

Per Marco fu dura.

Per Marta fu durissima.

Ho un marito che amo. Ho due piccoli che adoro. Ho un castello da mandare avanti. Devo costruire un futuro da lasciare ai figli. Le cavallette! La grandine! Non è colpa mia, Marco! Non ti amo, Marco! Non ti amo, mi dispiace!”

Tante scuse ma l’amore tra Marta e Marco era grande e di fronte a tanto splendore Antonio giurò a sé stesso che non avrebbe perso la sfida. No, non avrebbe perso la sfida, e non solo per una questione professionale. Antonio era sposato ed aveva una figlia ma era segretamente innamorato di Marta, desiderava ardentemente la sua felicità e per nulla al mondo poteva perdere quella sfida. A farsi amare da Marta non ci pensava perché sapeva che Marta non lo amava, sapeva che l’amore o c’è o non c’è e sapeva quindi che era inutile sognare e sperare che Marta potesse mai amarlo. Marta amava Marco. Antonio sapeva però che poteva almeno regalarsi la felicità di rendere felice Marta e per questo si impegnò in aggiunta all’impegno professionale.

Due anni dopo, in una trattoria al Testaccio, Marco, Marta, Antonio e Cesare erano a cena insieme.

Marco chiese a Cesare di Anna.

«È ‘ncinta», rispose Cesare.

«Ma dai! Non è possibile!»

«A Paul Newman, e che te credi che doveva mori’ attaccata ar tu’ fantasma?»

«Cesareee! Non me lo maltrattare così!» disse Marta.

«Marta, non lo sto maltrattando, gli sto dicendo che Anna è incinta e che la cosa è normale», rispose Cesare.

«Non sai quanto sono felice per lei», disse Marco.

«E ha puro ‘n contratto a tempo ‘ndeterminato come segretaria ar ministero de e finanze», aggiunse Cesare.

«Ma che bello!» disse Marco.

«Nun te preoccupà Marco, lasciare ‘n caprone come a te è stata pe’ Anna la su’ fort…»

«Cesareee! E daiii! La vuoi smettere?» sbottò ancora Marta.

«Marta, non ti spaventare, Marco lo sa che gli voglio bene, fammi parlare».

«Oh, scusami, strano modo di volergli bene ma se non se la prende lui, non me la prendo neanche io, figurati», disse Marta.

«Marta, preoccupati se vedi che Cesare non mi maltratta», disse Marco.

«Oh, che stavo a di’? Ah, sì, lasciatte è stata pe’ Anna la su’ fortuna. Ora sta co’ uno bravo. Se amano, stanno pe’ ave’ ‘n fijo. No, pe’ Anna nun te devi preoccupà, sta co uno bravo e ha trovato la su’ giusta strada».

«Buono davvero! Portale i miei saluti quando la vedi», disse Marco.

«E perché? Pe’ rovinaje a giornata?»

«Vabbè, fai come ti pare. L’importante è che stia bene».

«Tranquillo, sta ‘n paradiso».

«Sono contento,» disse Marco «che strana la vita… con Anna stavamo già pensando di metter su famiglia quando, zac! Cambia tutto. Siamo guidati dal caso, non vi sembra? Noi non staremmo manco qui a cena se due anni fa non avessi casualmente visto questa sirena sugli scogli della Grotta Verde. Siamo davvero in equilibrio sopra la follia».

«Certo. Quell’equilibrio sopra la follia è alla base della nostra vita, Marco. Quell’equilibrio è l’ordine che noi costruiamo nel caos,» disse Antonio «il bello è che a spingerci verso quell’equilibrio abbiamo sempre e solo dei sogni. Se nel caos riusciamo a trovare un equilibrio, ossia un ordine, lo dobbiamo solo al sogno. Inseguiamo sempre dei sogni. Il sogno ci indica la strada da seguire nel caos, nella follia, e solo imboccando quella strada troviamo un equilibrio, un ordine, un filo di Arianna da seguire per non perderci in quel labirinto di possibili percorsi che è la vita. Per un sogno ci siamo tuffati qui insieme questa sera ed ora siamo a cena in questo splendido posto. Marco, vivi bene sulla tua pelle che il tuo sogno è Marta, o no? E cosa stai facendo se non seguire la strada che ti mostra quel sogno? È il sogno di Marta che ti guida, che ti conduce. Lei è il tuo equilibrio sopra la follia, il tuo ordine nel caos. E tu non sei forse il sogno di Marta? Non è forse così? Siete sogni tutti e due e siamo sogno tutti quanti. Quella è la nostra vera essenza. Dicono che siamo fatti di materia, che la materia è fatta di atomi, che gli atomi son fatti di vuoto, di protoni, neutroni ed elettroni, che quest’altri son fatti di quark, muoni, bosoni ed una sterminata famiglia di particelle subatomiche che nessuno sa di cosa siano fatte. Stringi, stringi, non sappiamo di cosa siamo fatti e rimane quindi il sogno la cui materia costituente ci è ignota ma di quella materia noi siamo fatti. Siamo fatti della stessa sostanza della quale sono fatti i sogni, come disse uno».

«Eccolo! Ah, ah, ah, e bravo Shakespeare, er tuo discorso fila liscio come l’olio, come no? Che casino! Siamo guidati dai sogni. E cosa genera i sogni? E, Antonio? L’amore è all’origine dei sogni, giusto? O no?» chiese Cesare.

«Assolutamente, senza amore non può esserci sogno», disse Antonio.

«Bravo, Cesare, l’amore viene prima del sogno. E cosa c’è alla base dell’amore, Antonio?» Chiese Marta.

«Eh, bella domanda. Per spiegarlo servirebbe un trattato come sempre accade quando ne sappiamo poco ma, sintetizzando, si può dire che alla base dell’amore c’è il mistero. Un modo bello per dire che siamo ancora distanti dal sapere come stanno le cose. L’amore stesso è un mistero, un mix di chimica, pensiero, cultura, educazione, molecole, fisica, atomi, onde, luce, odore, colore e chissà quant’altro».

«Vabbè, ma allora se l’amore è un mistero ed alla base dell’amore c’è il mistero qua è tutto un mistero», osservò Marco.

«Non uno ma due», disse Marta.

«Cosa?» Chiese Antonio.

«Misteri», asserì Marta.

«Perché due, Marta?»

Marta non rispose.

Cesare, Marco e Antonio rimasero in silenzio per tre secondi a guardarla con aria interrogativa.

«E, Marta?» insistette Antonio.

«Uno è questo», disse Marta dando un bacio sulla guancia di Marco.

«Grazie amore», disse Marco.

«Certo,» disse Antonio «e l’altro?»

Silenzio.

«E, Marta? Intuisco forse qual è l’altro ma vorrei sentirlo da te», disse Antonio.

«No, niente, lasciamo stare».

«E dai, non lasciarmi sulle spine», sbottò Antonio.

Silenzio.

«O Martaaa! Non maltrattarmi Antonio!» sbraitò Cesare.

Marta si mise a ridere ma non si decise a rispondere.

In quel momento un cameriere stava passando vicino al tavolo e Marco ordinò una bottiglia di Moët & Chandon.

«Di cosa hai paura amore? Dai siamo tra noi», disse Marco.

«Più che paura è timore reverenziale».

«Stai tranquilla», la incitò Antonio.

«L’altro mistero è l’amore assoluto», disse Marta.

«Immaginavo. Puoi spiegarti meglio? Anzi,eh! Puoi gridarlo ad alta voce? Non si capisce perché dobbiamo tenercelo sepolto nel cuore. Marta, fatti un bel bagno di umiltà davanti a tutti. Dovremmo farlo tutti invece di vergognarci di ammettere la nostra piccolezza e insignificanza. Per te in particolare sarebbe la prova che sei guarita dai tuoi guai, dai tuoi difetti. Tu sei guarita, Marta?»

«Ah, ah, ah, penso proprio di sì e… credi che non sarei capace di farmi un bagno di umiltà?»

Solo in quel momento Marco e Cesare cominciarono ad afferrare cosa stava accadendo tra Antonio e Marta, si guardarono allibiti senza dire nulla e rivolsero nuovamente lo sguardo verso Marta.

Il cameriere portò il secchiello con lo champagne e riempì i flute; quando si allontanò i tre amici si appoggiarono nuovamente con gli avambracci sul tavolo e ricominciarono a fissare Marta.

Marta sembrava avere lo sguardo perso nel vuoto.

«Io e Marco ti conosciamo bene, ma oramai ti conosce bene pure Cesare, posso quindi parlare apertamente. Se devi vergognarti, vergognati della tua vergogna, Marta. Non voglio violentare la tua intimità ma ci conosciamo, siamo tra amici, non devi vergognarti e se metti i piedi per terra e ti fai quel bagno di umiltà la vita non potrà che sorriderti ancora di più».

«Non credo di vergognarmi, non ne ho più motivo, no, il mio credo che sia il timore reverenziale che dobbiamo all’Altissimo, il timore di strafare facendone un uso profano. No, la mia non è vergogna. Ti ho messo a dura prova e ti ho fatto sudare sette camicie ma mi hai liberata dal carcere delle mie velleità, delle mie superbie, delle mie vanità ed altezzosità. No, non mi vergogno più di apparire piccola e insignificante perché ora so che quello sono: piccola ed insignificante. Non ho più vergogna di apparire umile perché ora quello sono: umile. Ti voglio e ti vorrò sempre bene, non potrò mai dimenticarti per il resto della mia vita. Grazie Antonio. Grazie soprattutto a te, Marco, ho sofferto per te, hai sofferto per me, ci siamo fatti tanto male, tantissimo male davvero. Scusami Marco, ero prigioniera del mio ambiente e di me stessa. Ero sconosciuta a me stessa. Scusami, ma, grazie al cielo, grazie a te e grazie ad Antonio, ora è finita. Mi sembra di essere appena nata alla vita. Marco, per capire che non potevo fare a meno di te ci ho messo dodici anni ma ora lo so e finalmente so cosa è la felicità, ti amo e non potrò mai più fare a meno di te, ecco. A a te, Cesare, dico grazie per l’amicizia, per la simpatia e per la tua strana affabilità fatta di una franchezza che talvolta è talmente estrema da sembrare impertinenza. Ora che ti conosco e conosco la tua bontà non posso che adorarti con tutto il cuore».

Cesare si alzò serio, si inchinò platealmente verso Marta e le disse: «Chapeau! Voi non siete una baronessa; voi siete una regina».

Marta rise.

«Permettete?» le chiese Cesare prendendole la mano.

«Ah, ah, ah, questo è davvero troppo», disse Marta.

«No, vostra altezza, ci permettiamo di correggervi dicendovi che questo è il minimo», rispose Cesare baciandole la mano.

Antonio applaudì e Marco schioccò un bacetto sulla guancia di Marta.

RP 02/10/2020

Foto: Fiorella Mannoia (mi emoziona di più la sua ‘Sally’)

(continua)