Il teatro è fatiscente, le assi del palco scricchiolano sotto i passi degli attori e soltanto un tappeto verde scuro copre i numerosi rappezzi. La luce che illumina la scena è fioca, piatta.
Gli attori si muovono lenti, quasi incerti, come se avvertissero lo squallore di tutto l’insieme.
Il pubblico è scarso e annoiato, qualcuno aprlotta.

D’improvviso lui entre in scena. E’ scapigliato, si porta una mano ai capelli e sembra volerseli strappare mentre l’altra diventa un artiglio con cui cerca inutilmente di fermare la moglie e il figlio che stanno per uscire di scena ed abbandonarlo.

«Vi prego, non andate! Abbiate pietà, non vedete come giungo ad umiliarmi per amor vostro? Non lasciatemi, datemi ancora una possibilità, non potrò vivere senza di voi!»

Con un singhiozzo disperato l’attore si accascia sul palcoscenico e scoppia in un pianto dirotto, rivolgendosi al Cielo:
«Dio mio, ti prego, concedimi una grazia, l’unica che ti chiedo: falli tornare da me…»

Una scossa elettrica ha percorso il pubblico, che ora è attento e ammutolito. Si sente un brusio: «Ma piange davvero!» «Silenzio!». Inconsapevolmente qualcuno partecipa, sussurra tra sé invettive alla donna che lo ha abbandonato.

L’attore ha percepito il mutamento di umore del pubblico, e continua, rivolto alla moglie che lo guarda da dietro le quinte:

«Lo so, lo riconosco, non sono stato un bravo padre né un bravo marito, ma tu sai che non sono cattivo! Perché punirmi in questo modo?»

L’attore ha definitivamente conquistato il pubblico. Le donne hanno il fazzoletto in mano, qualcuna si asciuga gli occhi fingendo di soffiarsi il naso, gli uomini sono visibilmente commossi.
Il vecchio sipario di velluto rosso si chiude sull’uomo affranto che continua a singhiozzare, mentre il pubblico si alza in piedi e applaude con trasporto, tanto che il protagonista viene più volte richiamato sulla scena.
L’attore esce a raccogliere gli applausi, ma lo fa con un sorriso tirato, timidamente, quasi con mestizia.

Il pubblico esce dal teatro lentamente, commentando quell’ultima esibizione che ha salvato lo spettacolo. Uomini e donne si sono lasciati trasportare dalla finzione.
«Hai visto come piangeva, come si è immedesimato nella parte?»
«Un grande attore, davvero! Cosa ci fa in questa troupe di morti di fame?»
«Deve aver sofferto veramente: era troppo verosimile per fingere!»

L’attore osserva il pubblico da una piccola finestra e ascolta quei commenti con soddisfazione, poi entra nel suo camerino e comincia a struccarsi davanti allo specchio.
«Sono proprio un grande istrione!» commenta a mezza voce!

Adesso il grande sipario si chiude sulla scena e sul vecchio teatro. Le luci nella sala si accendono, rivelando la sfarzo delle poltrone di velluto e dei palchi decorati che circondano la sala. Il vero pubblico si alza in piedi ad applaudire, mentre l’istrione e tutti gli altri protagonisti, la moglie, il figlio, il finto pubblico, tornano sulla scena a prendersi i meritati applausi. Anche il regista, la costumista e l’autore fanno la loro comparsa.

Fiori piovono dalle prime file, a suggellare il successo della nuova opera del grande drammaturgo.