La luna alta nel cielo, piena come un grande occhio attento, risplendeva nella notte. Una leggera foschia la vestiva di un leggero velo lasciando su tutto una coltre spettrale.

La grande casa vittoriana che si ergeva su una collina appuntita appariva nella nebbia come un gigante solitario.
Le torrette indicavano il cielo appuntite come sei spilli.
Le tegole ormai abbrutite dal tempo avevano ceduto il classico color mattone ad una fuligine muschiata che le rivestiva a chiazze. Alcune erano cadute, altre erano rotte o scivolate via rivelando le travi di legno marcio sottostanti.

Grandi macchie nere si aprivano qui e là su tutte le pareti esterne come mani che abbracciano un oggetto prezioso o magico. Il vento soffiava prepotente e con raffiche impetuose schiaffeggiava i muri invecchiati e fatiscenti facendole ondeggiare.

Ululando l’aria si infiltrava ovunque ci fosse un pertugio percorribile: scostava le tende strappate e faceva pigolare ciò che restava delle porte marcite.
Intorno alla casa alcuni salici piangenti accoglievano lo sguardo: sentinelle gigantesche che scuotevano i grandi rami come a voler sviare qualsiasi malcapitato curioso.
Le grandi vetrate delle finestre erano per la maggior parte infrante e i raggi lunari che su di esse si posavano rivelavano punte inquietanti. Una parete crollata faceva posto ad un grande salone interno, impolverato, con un immenso caminetto. Di fronte due poltrone ricoperte di ragnatele e polvere con alcuni cuscini ormai quasi scomparsi nel tempo che lascia andare.
Vecchi quadri appartenuti a tempi ormai decisamente dimenticati adornavano le pareti ed i ritratti sembravano seguire ogni singolo movimento di fronte a loro. Dei batuffoli di polvere che roteavano nell’aria trasportati dai capricci del vento disegnavano spirali farinose di sabbia, terriccio e erbetta secca.

Un luogo assai poco accogliente, ma lei era felice nella sua casa.

Lei aveva tutto ciò di cui aveva bisogno: grandi pareti da esplorare, buchi da poter decorare e vasi, cuscini, vecchie tende da abbellire con i suoi ricami.

Vagava fra le stanze e trovava sempre qualche insetto con cui condividere i pasti… anche se erano i pasti, piuttosto, ad essere proprio a base di insetti.

Nelle nottate così ventose preferiva starsene rintanata nella stanzetta del sottoscala, nascosta da vetusti bauli accatastati. Poco le importava che ormai la porta dell’angusto ripostiglio fosse attaccata per pura fortuna ad un solo cardine e sbattesse di continuo. Di certo era felice che la casa non destasse l’interesse di nessuno e semmai il terrore di molti. Ciò le permetteva di condurre una vita serena e tranquilla.

Una mattina mentre era intenta a ricamare raffinati intrecci su ciò che restava di una vecchia tovaglia, in quella che un tempo forse era stata la cucina, sentì un forte rumore provenire dall’esterno. I suoi sensi si destarono immediatamente e con la velocità che i suoi arti le permettevano, passando attraverso alcuni muri, giunse sul porticato. Nonostante ci mise poco arrivò troppo tardi e non vide altro che una macchina.

Una macchina?… che ci fa qui una macchina?, si disse tra sè e sè.

Rientrò passando da un’apertura nel muro e si lasciò scivolare attraverso le pieghe delle tende sudice e ammuffite. Rimase nascosta e sobbalzò quando una serie di tonfi e scricchiolii iniziarono a susseguirsi.
Acuì i sensi e comprese che qualsiasi cosa fosse di certo aveva un odore orrendo e che pesava parecchio, visto che i gradini di legno vibravano protestando al suo passaggio.

Scese nel sotto-pavimento, muovendosi di lato raggiunse la scala e da uno spazio creatosi proprio in corrispondenza di un occhio su un ritratto scrutò lo spazio. Fece appena in tempo però a scorgere un’ombra svanire in una delle stanze.

Sbuffò e ricominciò a correre freneticamente passando i muri come il vento.

Nella stanza il cui pavimento di legno mancava in parte nessun rumore; solo il respiro affannoso dell’essere, che con tutta la sua mole riempiva l’ambiente. La sua capacità di muoversi così velocemente le aveva permesso di arrivare alle spalle dell’intruso senza essere annunciata.

L’effetto sorpresa è certamente un vantaggio in una situazione del genere. Le zampe iniziarono a tremarle vedendo quell’ombra e l’odore che esso emanava le saturava i sensi lasciandola stordita. Di certo non voleva quel “cosone” nella sua bella casa e di sicuro non si sentiva tranquilla. Il cuore le batteva forte. Il sole che filtrava dai vetri infranti non rendeva chiara la figura perché la avvolgeva insieme alla polvere. Sembrava un grosso fantasma a due zampe e con un gran pancione.

Che brutto essere!, mormorò lei tremando di paura.

Ad un tratto… l’essere starnutì e per il gran sforzo perse quasi l’equilibrio. Lo ritrovò grazie ad una sedia. Prima abbassò il volto e poi nel rialzarlo incontrò gli occhi di lei. Si guardarono. In tutto 10 occhi che si scrutavano. In tutto 10 sguardi che si studiavano.

”Ahhhhhhhh … Ahhhhhhhhh …”, urlò l’essere agitando le mani e saturando l’aria con uno strillo cupo e terrificante.
”Ahhhhhhh…. Ahhhhhhhh…”, gridò lei completamente bloccata dal terrore.

L’essere orrendo agitò le braccia nella sua direzione e lei per proteggersi svanì in un pertugio nella parete. Da lì continuò ad osservarlo agghiacciata.

“Un ragno enormeeeeeeeeee!”, continuava a strillare.

Lei pensò fra sé che la perspicacia non era certamente fra le doti da elogiare a quell’ animale bipede. Nonostante la paura non le fosse ancora passata, visti i racconti che giravano su quelle creature sbuffò irritata.

“Un ragno schifosooooooo… ha 300 zampe e 6000 occhi!, stava sbraitando fra sè l’umano al piano di sotto camminando in giro come un bisonte in una cristalleria. Le doghe del legno che ancora resistevano tremavano ad ogni suo passo. Lei era completamente stizzita. Oltre ad averle invaso casa portandole frastuono e trambusto la insultava anche.

“Sarà bello lui con solo due occhi! Io ne ho 8 e mi vergognerei ad andare in giro con solo 2 occhi! … due occhi … bha!? … e poi io ho 8 meravigliose zampe leste che mi permettono di creare motivi meravigliosi con la mia tela. Lui con due al massimo può scaccolarsi con cura!”, bofonchiò lei mentre si lasciava scivolare in un’intercapedine vicino la scala.

Seguendo il suono delle parole frustrate dell’umano corse velocemente attraverso tutto l’atrio e raggiunse la porta d’ingresso. Passò tra due travi rinsecchite e uscì all’aria aperta. Da dietro un vaso ben nascosta dall’edera che ormai lo aveva ricoperto quasi del tutto vide l’umano arrivare a grandi falcate alla sua macchina e salirci sopra. Sbattè lo sportello bofonchiando: “Un ragno grande quanto il palmo della mia mano. Grosso e peloso. ORRENDOOOO!”

“Cosa pensavi di trovare in una casa dimenticata da chissà quanto?!”, chiese l’umana al suo fianco con aria canzonatoria.

La macchina si accese e con non poca fatica a causa delle innumerevoli sterpaglie fece retromarcia e svanì giù per la collina.

Lei la seguì con lo sguardo e felice rientrò nella sua bellissima casa.

Di Giorgiana Moruzzi