Signori e Signori, ecco a voi una fiata.
Tanti e tanti anni fa, vicino al mare dalle parti di Otranto c’era un lupo mannaro che si vestiva come gli uomini e che rapiva bambini e belle signorine.

Viveva nella grande palude infestata dalle zanzare, dove nessuno andava a cuor leggero per dargli la caccia perché lì c’erano la malaria e la morte.

E però vi dico che qualcuno coraggioso c’era e che nella palude ci viveva perché la palude era ricca: c’erano uccelli, pesci, volpi, lepri, lumache, cozze, granchi, anguille, alberi, legna, canne, paglie, boschi, mirtilli, more, erbe, spezie, tuberi, radici, semi, foglie, frutti, fiori e tutta la bontà del creato. Nei dintorni della palude c’erano pure piccoli lembi di terra asciutta dove si poteva coltivare grano, tabacco e patate.

Per via della malaria e per via delle storie paurose sul lupo mannaro, nella palude ci poteva vivere soltanto chi era forte e coraggioso e vi dico che uno di questi era Ferdinando.

Ferdinando lì aveva la sua casetta tra i salici in riva allo stagno, lì era nato e cresciuto e lì viveva con la sua figliola Angiolina. Ferdinando era rude, coraggioso, robusto, col viso bruciato dal sole e con le braccia forti.
Sua moglie era morta di malaria e Ferdinando soffrì molto, ma a confortare la solitudine gli era rimasta la figliola Angiolina. Ferdinando amava e cresceva Angiolina trattandola come un fiore perché, per quanto rude, da quando morì la moglie, imparò subito a trattare Angiolina con la stessa delicatezza con la quale la trattava la madre.
Ferdinando difendeva Angiolina dalle punture della zanzara con vestiti, con tele durante la notte, con unguenti, con essenze aromatiche, con il fuoco e col fumo di certe erbe e di certi legni e con tutte le cure. Lui sapeva come difendersi dalla malaria. Selezionava poi la pelli più morbide e pregiate per fabbricare le scarpe e sceglieva le piume più belle per decorare i vestiti e i cappellini della sua Angiolina. Le insegnò a scuoiare la volpe, la lepre e il Daino e pure a stendere le pelli sull’essiccatoio. Angiolina aveva imparato a cucinare e nessuno poteva superarla nel preparare il pesce o la lepre e neppure nello speziare e arrostire il cinghiale o il porcello.

Angiolina viveva felice col suo babbo. Lui era scaltro, coraggioso e forte, e Angiolina era felice, era gioiosa, sempre allegra e cantava al ritmo del talaro, col quale tesseva meraviglie. E quando Angiolina cantava, frinivano i grilli di notte e le cicale di giorno e gracidavano le rane negli acquitrini, notte e giorno.

Angiolina andava e tornava spesso da Otranto perché lì imparava le cose; nelle lunghe sere d’inverno le dita di Angiolina danzavano fabbricando ghirigori al tombolo, oppure intrecciavano la paglia in cappelli che si vendevano al mercato e quel guadagno si aggiungeva ai soldini che guadagnavano vendendo i centrini, le maglie, i tessuti, la selvaggina, il pesce, la frutta, le anguille, le pelli, il tabacco o le patate. Ad Angiolina e Ferdinando non mancava nulla ed erano felici.

Angiolina viveva nell’ambiente malsano della palude e sapeva che per compiacere gli altri doveva essere più educata e bella degli altri e allora si dava da fare e si vestiva come facevano gli otrantini più raffinati; il risultato era che alle feste in città Angiolina era la ragazza più graziosa e più bella. I giovani le stavano dietro affascinati dalla bellezza, dalla dolcezza, dalla magia dei suoi occhi, dai capelli corvini, dal sorriso, dalla gentile vitalità e dalla grazia quando ballava le pizziche e le tarante.

Gaetano, un bel giovane agricoltore, si innamorò perdutamente della bella Angiolina e la felicità si insediò negli occhi di lei: le fulgide stelle illuminarono la notte a giorno, le trombe squillarono e le farfalle si alzarono in volo nel cielo. Il babbo Ferdinando benedisse la coppia. Nelle luminose notti di luna Gaetano andava in barca a prendere Angiolina sulla spiaggia vicina alla palude e facevano un giro in mare. Mossa dalle braccia di Gaetano la barca danzava sul mare increspato e illuminato dai raggi della luna. I due parlavano del matrimonio. Gaetano stava costruendo una nuova casa e avrebbe portato Angiolina lontano dalla palude.
Sulla grande palude calò di già la tristezza, le cicale e i grilli smisero di cantare, il gracidio dei ranocchi scomparve, gli scoiattoli rimasero nelle tane e i salici accanto alla casetta di Angiolina piangevano con le loro trecce cadenti, esangui sull’acqua dello stagno.

Una sera, dopo che Gaetano diede la buonanotte ad Angiolina e riprese il mare per tornarsene a casa, lei si incamminò cantando verso la sua dimora, quando fu spaventata da un fruscio. Si voltò a guardare e urlò: un mostro con la testa di lupo e senza coda usciva dal bosco e andava verso di lei camminando eretto e vestito come un essere umano.

Ferdinando fu svegliato dall’urlo della figlia, si precipitò fuori casa e corse incontro ad Angiolina che si rifugiò tra le braccia del babbo indicando il punto in cui aveva visto il mostro, ma lui si era già dileguato.

Angiolina descrisse il mostro e Ferdinando impallidì. Quando lei si calmò e si addormentò lui rimase lì a cercare conforto nei suoi pensieri. Ferdinando ricordò le dicerie sul lupo mannaro alle quali lui non aveva mai creduto, ma adesso era costretto a crederci: la figliola gli aveva detto che il mostro non aveva la coda e un suo amico che era un coraggioso cacciatore gli aveva raccontato di avere sparato una fucilata al lupo mannaro troncandogli la coda.

Arrivò il giorno delle nozze, il sole splendeva e la natura sorrideva. Angiolina in abito bianco era poesia. I fiori selvatici del suo mazzo li aveva raccolti nella palude e più tardi, nella chiesetta di San Pietro, Padre Nicola li unì in matrimonio. Festeggiarono poi con gli invitati nella nuova casa che Gaetano aveva costruito.
Angiolina salutò tutti e i giovani gareggiarono per vincere il primo bacio che la sposa avrebbe dato agli invitati. Scherzavano e festeggiavano. Al culmine dell’allegria, in mezzo a loro arrivò come un tornado il lupo mannaro e come un’aquila rapì Angiolina e quasi volò andando ad inabissarsi in un vicino bosco. Di fronte a quell’azione improvvisa rimasero tutti di sasso, ma Gaetano inseguì subito il mostro guidato dalle grida disperate di Angiolina.
Gli uomini seguirono Gaetano e le donne ed i bambini rimasero a pregare per Angiolina.

Quando arrivarono le ombre della sera gli uomini tornarono verso la folla ansiosa di sapere, ma i volti tristi e scoraggiati già dicevano che la loro ricerca era stata inutile. Ferdinando e Gaetano non tornarono e tutti si misero a cercarli ma trovarono soltanto Gaetano afflitto e sconvolto. Lui cercò persino di morire tuffandosi in una grossa pozza di sabbie mobili ma fu fermato in tempo e riportato a casa. Del babbo di Angiolina invece nessuno seppe più nulla; Ferdinando era stato sconfitto dal lupo mannaro? O la palude se l’era inghiottito?

Gaetano tornò ogni giorno nella palude per cercare Angiolina e uccidere il lupo mannaro, ma finiva sempre che gli amici andavano a cercarlo per riportarlo a casa sconsolato e inconsolabile. La realtà era che Angiolina che la sua poesia di Angiolina si era persa e nella palude nessuno cantava più; non un grillo, non una cicala, non un ranocchio. Piansero gli uomini e la palude, si spensero le stelle e pianse l’intero creato.

Gaetano era pazzo di dolore e di rabbia e due anni dopo cercava ancora Angiolina per boschi, per campi, per acquitrini, per lande pietrose desolate, per spiagge e scogliere e tutte le volte che si perdeva in quel lembo dolce e amaro di Terra d’Otranto gli amici lo cercavano per riportarlo a casa.

Arrivò poi un giorno.

Era un giorno salentino di possente scirocco invernale. L’umidità intirizziva i corpi penetrando fin nelle ossa, i gechi non avevano mosche da catturare con le lingue collose, le tarante si seppellivano in fondo ai pertugi ritirando le loro ragnatele. Accadde qualcosa che creder non la può chi non la vede: Gaetano fu visto con gli occhi selvaggi, i capelli al vento e i vestiti strappati inseguire il lupo mannaro fino in riva al mare a poche miglia dalla palude, lì sulla nuda roccia della costa di Roca Vecchia!

Gaetano aveva finalmente trovato il lupo mannaro e lo inseguiva armato di coltellaccio. Quelli che videro la scena rimasero pietrificati da quel terrifico mostro e dalla furia pazza e selvaggia di Gaetano. Di fronte a quella scena si fecero il segno della croce e temettero che adesso toccasse a Gaetano l’amaro destino che aveva già segnato Angiolina, ma accadde l’impensabile: ansimante ed esausto, coi pantaloni a brandelli che facevano intravedere le potenti zampe, col frac strappato in due sul dorso e quell’orribile mozzicone di coda in bella vista, il lupo mannaro si fermò un attimo per rifiatare mentre Gaetano lo inseguiva col viso di fuoco e gli occhi in fiamme e nel preciso istante in cui il mostro si fermò, la terra tremò, si udì un boato terrificante, si alzò una nuvola di polvere e pietre e dalla roccia sotto ai piedi del mostro sbucò infernale la testa di un immenso verme coperto di squame luccicanti acciaio. Il verme aprì rapido l’immensa bocca piena di denti biancastri lunghi come zanne d’elefante, ingoiò il lupo mannaro, ritirò la testa sterminata sotto la roccia e in quel posto rimase la grande buca nella roccia che dopo secoli si vede ancora oggi.

Gaetano era poco distante ma si salvò e non fu ferito dai frammenti di roccia scagliati in aria ovunque dal grosso boato. E rideva, Gaetano, si contorceva, rideva e piangeva in preda a una crisi isterica: non era riuscito a salvare Angiolina ma almeno il suo carnefice era stato giustiziato.

La voce sull’accaduto si sparse e tutti conclusero che era stato giusto così, che finalmente non si doveva più vivere col terrore del lupo mannaro e che la giustizia divina era scesa a mettere ordine sulla terra. Qualcuno disse che quella era la Poesia, giunta sulla terra per restituire la poesia che il mondo aveva smarrito perdendo Angiolina. In effetti nessuno tra quanti avevano conosciuto Angiolina nutriva dubbi sul fatto che lei fosse stata proprio bellezza e poesia e cosi’ questa ultima storia si diffuse, si radicò tra la gente e da allora in poi quella grossa buca rimasta a Roca Vecchia venne chiamata, appunto, “Grotta della Poesia”.

Col tempo le forze della natura crearono un varco, quella buca si riempì di acqua di mare e diventò quella specie di piscina naturale nella quale gli innamorati fanno il bagno, lì a Roca Vecchia, nel punto esatto dove le arcane forze del creato riportarono sulla Terra la poesia di Angiolina.

Cari innamorati, ora io vi prego: dedicate un briciolo del vostro amore per impedire che il mondo produca Angioline da rapire e lupi mannari da uccidere. E derelitti, e disgraziati. E da far dormire sotto i ponti, e da bloccare alle frontiere, e da far morire in mare… e basta, vi prego, dedicate quel briciolo, perché quello è il briciolo d’amor che move il Sole e l’altre stelle.

Roberto Petracca per WM 25/10/2020