…nei nomi era già scritto il loro destino.

ANGELICA.
Prima del rito del battesimo, la duchessa Francisca Adriana de Moura y Melo, aveva omaggiato La Virgen de la Esperanza con un diadema di 1500 pietre preziose e 3000 diamanti, ed uno più piccolo, di 800 pietre preziose, per quel Gesù Bambino custodito all’interno del suo vergine grembo.
La duchessa era una fervente fedele de La Virgen de la Esperanza perché sempre l’aveva protetta nel corso travagliato delle sue difficili gravidanze, in particolare nell’ultimo parto quando aveva corso il rischio di morire insieme alla neonata, venuta al mondo prematura ed in gravissimo stato di sofferenza.
Ma la Madonna, la madre di tutte le madri, aveva steso le sue mani pietose sul capo della duchessa ed operato il miracolo, sia pure in extremis.
Francisca Adriana aveva guardato in faccia la morte e ne era rimasta terrorizzata, per questo, come atto di gratitudine, aveva fatto dono pubblico dei due meravigliosi diademi e, nel privato, a suprema testimonianza della solidità della sua fede, la promessa che quella figlia strappata alla morte sarebbe stata consacrata alla vita claustrale.

Che nome date a questa bambina?
Angelica

Nell’ aerea vastità della cattedrale risuonò la dolcezza raffaellita di quel nome che, abbigliato della candida veste battesimale e munito di un minuscolo paio d’ali, s’involò verso le sontuose volte michelangiolesche per essere accolto, ed acclamato, dal festoso tripudio, azzurro e porpora, delle coorti osannanti degli angeli bambini.

 CRISTOBAL
Nello stesso momento, molto più a sud, in una chiesa marina, in una regione impraticabile, in un punto remoto del planisfero, riecheggiò la stessa domanda.

Che nome date a questo bambino?
Cristobal.

Nella chiesetta nuda il nome facilmente si perse tra il rumore della risacca e gli stridii alati dei gabbiani per arenarsi, alla stregua di un legno naufrago, sulla rena asciutta, ma non al sicuro, in balia dell’irascibilità del vento e delle onde bastarde, in agguato per inghiottire quel fragile guscio di legno.
E su questo neonato, figlio oscuro di gente oscura, non c’è molto altro, per ora, da raccontare, che le vite dei poveri si somigliano tutte, che a loro spetta un mondo di seconda mano dove ampiamente è smentita la parabola cristiana che recita “beati gli ultimi che saranno i primi” che la solerzia dei preti, e dei predicatori, si prodiga a dispensare come pane per saziare gli stomaci affamati. Eppoi è risaputo che la fame ha la capacità sperimentata di prostrare lo spirito anziché fortificarlo, perché è ampiamente comprovato che il digiuno quotidiano porta alla disperazione, quasi mai alla beatitudine.

DESTINI 
Ma, Angelica e Cristobal, ancora ignari delle rispettive esistenze, ed inconsapevoli delle minacce del cielo e di quelle del mare, che pure già  incombono sui loro destini, dormono placidi il sonno implume dei neonati.
Lei, nella sua culla di seta.
Lui, nel suo guscio di legno.

LE SOTTILI ARTI DEL CONVINCIMENTO
La duchessa Francisca Adriana apparteneva alla categoria di quelle donne all’apparenza remissive ma, di fatto, in grado di piegare il mondo ai propri desideri.
Era lei che dirigeva, con ingannevole dolcezza, la casa ed il casato: l’imponente esercito dei servitori, il numeroso drappello dei figli, e la vita del duca consorte.
Convincere Angelica di avere una vocazione e di aspirare a volerla realizzare attraverso i voti monacali fu per lei davvero facile avendo avuto l’accortezza di crescere quella figlia, di salute estremamente cagionevole, lontana da quei lussi e da quei fasti che avrebbero potuto irretirla con altre tentazioni ed altri desideri, e mostrarla in società solo quando l’etichetta, necessariamente, lo reclamava.
Di fatto, la duchessina, non avrebbe riscontrato nella sua vita futura una sostanziale differenza tra la cella del convento e la sua camera austera, nella casa paterna.
Con le sottili arti della discrezione, e quelle della manipolazione intellettiva, tanto da fargli credere che l’idea fosse scaturita da lui, convinse il duca, più sensibile al potere temporale che a quello spirituale e propenso ad espanderlo e consolidarlo attraverso le alleanze fornite dai matrimoni della sua numerosa figliolanza, della necessità di esentare Angelica, così delicata e cagionevole di salute, di certo non adatta alla vita matrimoniale, quando quella del convento, invece, ben più le si confaceva.
E che una badessa ha molto più potere della  regina.

IL POTERE DELLE MANI 
Cristobal aveva scoperto di avere nelle sue mani il potere del guaritore quando il più piccolo dei suoi fratelli fu colpito da una febbre violenta ed inappellabile, di fronte a cui anche i medici si erano arresi.
Il piccolo languiva in un delirio costante e nessun rimedio era riuscito a contrastare il parossismo di quella febbre vertiginosa e subdola, al cui culmine c’era la morte.
Ed era già entrato in agonia quando Cristobal, in un gesto di estrema disperazione, stese le mani sul corpicino inerte toccandolo dolcemente in quelli che a lui sembravano i punti dove s’annidava il male, persuaso a credere che in quelle sue dita, da cui sentiva irradiare calore, ci fosse la salvezza.
Sta di fatto che la febbre iniziò sensibilmente a diminuire ed il piccolo, dopo notti di delirio, s’acquietò finalmente tranquillo.
A capo di un paio di giorni si ristabilì del tutto, mentre la voce di quella guarigione, di quel miracolo dell’amore fraterno, si espanse in tutta la regione.
La casa di Cristobal divenne la meta del pellegrinaggio di coloro che avevano perso la fede nei dottori e nei santi, di coloro che allo stremo, e senza più speranza, si rivolgevano a lui invocando il miracolo con la stessa fervente fede con cui si erano rivolti prima al cerusico e subito dopo a Dio.
I disperati si accampavano nei pressi della modesta abitazione in attesa di entrare nella stanza dove era avvenuto il prodigio, stendersi sullo stesso pagliericcio che aveva ospitato il bambino agonizzante, assoggettarsi al benefico influsso del taumaturgo.
Non tutti guarivano, che i miracoli si sa neppure il buon Dio ne dispensa a iosa e che un margine di fallimento serve comunque ad attestare la veridicità dei successi ottenuti, perché molti risanavano, moltissimi altri testimoniavano un indiscutibile miglioramento, inclusa la grande folla di disgraziati afflitti dai più disparati sconforti esistenziali che pur pazientavano di quelle lunghe, interminabili attese, per giovarsi della soavità persuasiva del tocco quelle mani.

ORIZZONTI
Ed ecco l’imponente porta del convento di clausura si spalanca, come il suggello di una bara, a seppellire ancora viva, Angelica, seppur lei che non ha mai davvero vissuto s’avvia verso la sua cella monacale con la remissività innocente di un agnello, inconsapevole, con quest’ingresso, di attuare la rinuncia definitiva a quella vita che non ha mai vissuto, a quei sogni che non ha mai sognato, a quei desideri che non ha mai desiderato.
Sbarrata la porta della clausura il sole è già un ricordo lontano.

Mentre Cristobal, preceduto dalla sua leggenda, varca per la prima volta nella sua vita i confini della regione.
E scopre la vastità dell’oceano.