E così ho deciso di venire alla festa, per vedere quella che mi ha rubato l’amore.
Quella per cui la notte smani, e, nel sonno,, ne mormori il nome.
Sfoggio il vestito più bello.
Quello riposto in fondo all’armadio.
Quello che mai più ho indossato.
E’ rosso e di finissima seta.
E’ un guanto che mi fascia e mi stringe.
E’ un abbraccio, quell’abito rosso.
L’incanto, che ti ha irretito.
Quando mi hai detto, con voce tremante, la mia voglia ha il colore del tuo vestito.
Altra festa.
Altra donna.
Altro uomo.
Ma l’abito, quello, è sempre lo stesso.
Nemmeno di una taglia tradito.
Come mai ho tradito l’amore.
Mentre tu, nelle tue notti inquiete, agitandoti invochi un nome.
Sognando l’incanto di un vestito che non mi appartiene.
E così, sono qui alla festa.
I capelli splendenti di nuovi riflessi.
Ed il trucco pesante. Trucco da sera.
E sotto l’abito, niente.
Abito ardente. Punto di luce.
Prorompente, tra il nero e l’oro, di quelli delle altre signore.
Ma tu nemmeno mi vedi.
I tuoi occhi cercano altri colori.
E sento freddo, attraverso la seta.
Perché il rosso, alla fine, è solo un colore.
E non scalda il gelo che si allarga nel cuore.
Non vedi la festa. Non senti il rumore.
Attendi impaziente.
Ed il calice in mano è solo un pretesto.
Per colmare l’attesa. E darti un contegno.
Per fingere calma. Ma nel cuore è tempesta.
Non vedi la folla. Né la donna vestita di rosso.
Fissi la porta. In silenzio. In attesa.
Ed io, infondo alla sala, ho la testa in tumulto.
Ma tu non lo sai.
Non mi hai vista nemmeno quando, passandoti accanto, ti ho urtato il bicchiere.
Chiedendoti scusa.
Un sorriso accennato. Un inchino leggero.
Niente altro.
Se non quello sguardo, ostinato, alla porta.
Così vorrei urlare e strapparti via il cuore.
E rendere fiamma questo vestito.
E bruciare la sala.
La festa. Il rumore.
Sbarrare la porta.
Gridare il mio male di donna ferita.
E guardami. E dimmi chi sono.
Pronuncia il mio nome.
Riconosci il vestito.
Se non il mio odore.