Un’estate, ieri, o forse mille anni fa.
“Ti passo a prendere sotto casa – mi dicesti – ho una sorpresa per te.”
E già allora, così, cominciai a volare…
Via, via, via dalla pazza folla, esultai tra me.
Via, via…
E dall’armadio presero il volo (sì, cominciarono esse, ben prima di me) gonne danzanti, bluse a fiori sbiaditi, sciarpe leggere nei colori del cielo… Un cumulo di indumenti sopra il mio letto, un caos silenzioso e foriero di gioiosi entusiasmi e speranze.
Ho indossato danzando, sulla punta di piedi nudi, quell’abito azzurro che, lo scoprii poi, ti piaceva tanto.
Un nastro nei capelli, e giù dalle scale, correndo, saltando i gradini due a due, quasi librandomi nell’aria tersa di un pomeriggio d’estate.
Tu eri già lì, in attesa, appoggiato alla portiera di quella minuscola automobile che sembrava fosse stata creata solo ed esclusivamente per noi, quello stesso giorno.
Lo sguardo ammirato, il sorriso scanzonato, e l’allegria contagiosa di quei vent’anni così verdi, ancora…
Ti rivedo così, oggi, qui.
Qui, in questo letto d’ospedale, dalle linde lenzuola senza macchia né peccato, dall’odore asettico di esistenze già spese, dove anche l’attesa ha finito di attendere, ormai.
Non c’è più un domani, per me. Già lo so.
Ma tu, sei rimasto. Tu.
Ci sei, ancora.
E sempre.
Anche se non potrò portarti i fiori, domani.
Ma il custode del cimitero è una persona gentile, mi ha assicurato che provvederà lui, a cambiarli nel vaso e innaffiare quella piantina sempreverde che, comunque, continuerà a crescere, lei sì.
Ma soprattutto, sai, c’è “lei”.
La Topolino verde, che da allora non ci ha più lasciati, me e te. L’abbiamo parcheggiata dentro i nostri cuori, nei nostri ricordi, e lì la custodiamo, io lo so, per il prossimo viaggio.
Non manca molto, ormai, alla partenza.
Ma tu aspettami, appoggiato alla portiera, sì.
Con lo sguardo ammirato, col sorriso scanzonato, sì.
Ancora una volta.
Sto arrivando.