…così, alla fine, avrebbe attinto agli ultimi residui di volontà per non lasciarsi sopraffare da quegli eventi  negativi che da tutta la vita la perseguitavano, ben determinata a riconvertirli in provvidi e proficui.
No, stavolta non sarebbe fuggita e neppure si sarebbe nascosta come in altri tempi le era accaduto di fare, assecondando quel suo destino di reietta che fin dalla nascita l’aveva segnata, nascendo già orfana e ritrovandosi subito vedova, per infine appuntarsi sugli abiti mai smessi di quel suo lutto infinito, la medaglia di eroe, di una guerra inutile e già dimenticata, del suo unico figlio.
Cambiare città e nome non le era valso un fato diverso e così era continuata, di disgrazia in disgrazia, la  persecuzione della mala sorte, mai riuscendo a svincolarsene che, come un ombra infausta, l’inseguiva  costringendola ad una vita di esilio senza altro scopo che quello di attendere la morte che, beffardamente però, si dilettava ad illuderla.
Almeno un paio di volte aveva ricevuto l’estrema unzione per poi ritrovarsi, con suo grande rammarico, miracolosamente sanata, nuovamente peregrina su quella sua strada solitaria.
L’ultima malattia le aveva sfibrato i muscoli, assottigliato le ossa e fatto cadere tutti i denti, cosicchè sperando che fosse giunto  finalmente anche per lei il misericordioso momento della morte, aveva rifiutato ogni aiuto, difendendo quel sacrosanto diritto con la patetica rabbia di una cagna stremata, pronta però ad avventarsi con le sue poche forze contro chiunque l’avesse ostacolata nel suo intento.
Ma anche questa volta la morte l’aveva irrisa e lei si era destata nel suo letticciolo appartato, con le membra rigide e la mente torva, sempre più esausta e consumata ma, disgraziatamente, ancora viva.
Ripudiata dalla vita e rifiutata dalla morte, viveva nell’incubo di quell’eterna, macabra resurrezione.
Furono i suoi denti sparsi sul guanciale, come grani di un rosario, a costringerla lucidamente a ragionare sulla necessità di agognare la vita anziché la morte, mentre d’istinto la sua lingua andava esplorando i morbidi contorni tondeggianti e lisci delle gengive.
Inaspettata era sopravvenuta la percezione sessuale della sua bocca priva dei denti, come di una vulva umida e turgida, pronta ad accogliere al suo interno il membro di un uomo, trattenerlo nella glabra morbidezza dei nudi seni gengivali per avvolgerlo, infine, nella voluttuosità, calda e carnale, della sua lingua.
Le labbra avrebbero fatto il resto.
Con febbrile lucidità andava così delineando la sua resurrezione in quel progetto immaginato, e facilmente realizzabile, certa che nessun uomo avrebbe mai mercanteggiato l’esperienza sublime di quella sua bocca senza denti.