ANTEFATTI

PETER

Stava nascosto dietro l’angolo ad aspettare che uscisse di casa. Ne era follemente innamorato, lei era la migliore. Capelli biondi come piacevano a lui, lunghi e lisci, incorniciavano un viso angelico. La voleva, ad ogni costo. Aveva avuto altre esperienze ovviamente, ma tutte lo avevano deluso, piangevano, si lamentavano, volevano andarsene, insomma era stato costretto ad usare le “maniere forti”. Sì, è vero qualche guaio con la polizia l’aveva avuto ma, non avevano prove, non potevano fargli niente, perché lui era molto più furbo di loro. Ancora oggi sogghignava ripensando alla sua infanzia, a come aveva gabbato la giustizia quando viveva in quell’ambiente malfamato, con quei genitori debosciati, sempre ubriachi, che lo picchiavano e lo insultavano quando cercava di difendere la sorellina che mamma e papà “prestavano” ai loro amici pervertiti in cambio di denaro che spendevano immancabilmente nei pub. Poi, tornati a casa, crollavano addormentati come luridi sacchi di patate, lasciandolo solo con la piccola, piangente e dolorante nella sua cameretta. La bimba morì poco tempo dopo, di abusi, di disperazione, di abbandono. I genitori, persa la loro fonte di guadagno, tentarono di “piazzarlo” al suo posto ma … lui non era d’accordo.
La polizia indagò nell’ambiente della malavita, quando li trovarono riversi a terra con la testa mozzata, Peter fu prelevato e trasferito in un orfanotrofio. Chi mai avrebbe potuto immaginare che proprio lui, il piccolo Peter, aveva preso la scure dal garage, dove il padre conservava gli arnesi da lavoro e aveva infierito sulle loro teste fino a staccarle dal corpo?

I suoi pensieri furono interrotti dal rumore di un cancello che si chiudeva. Eccola! Era lei, la dolce Sofia, con i biondi capelli legati a coda di cavallo, stava uscendo dal vialetto, avrebbe attraversato il parchetto per andare a prendere l’autobus come ogni giorno. Ma non quel giorno, lui l’avrebbe presa e portata con sé, per proteggerla dai pericoli del mondo. Aveva otto anni come la sua povera sorellina, non avrebbe permesso a nessuno di farle del male. Sentì un fruscio alle sue spalle, non fece neppure in tempo a girarsi per guardare cosa fosse: due mani possenti gli afferrarono la testa facendola roteare velocemente. Peter si accasciò senza un grido, l’osso del collo spezzato.

 

WALTER

Uscì di casa coi nervi a fior di pelle. Quella stupida donna! Non gli dava mai retta, non gli ubbidiva, eppure gliele suonava di santa ragione, praticamente ogni giorno. Ieri però, aveva passato il segno! L’aveva denunciato, sì, l’aveva denunciato per maltrattamenti nei confronti suoi e dei due figli. Fortunatamente si era risolto tutto con un ammonimento da parte della polizia:
“Può tornare a casa per questa volta, ma attenzione, la terremo d’occhio, se dovesse capitare di nuovo non saremo così magnanimi”.
Bla bla bla… che ne sapevano loro di quanto era difficile farsi rispettare e ubbidire dalla propria famiglia, mai mostrarsi deboli.
Questi erano i pensieri che affollavano la mente di Walter Singer mentre si recava al lavoro. Anche quella mattina aveva dato una bella lezione a Vera, non aveva stirato la sua camicia preferita… inaudito!
«Ora vai a denunciarmi se hai il coraggio, giuro che ti ammazzo!»  Le aveva urlato.
I due bambini si erano svegliati, terrorizzati ascoltavano le grida del padre e il pianto della madre, senza poter fare null’altro che piangere in silenzio.
Ben presto Walter Singer si sarebbe pentito amaramente del suo comportamento…

 

VERA

Vera, moglie di Walter, dopo aver consolato i bambini, li accompagnò a scuola, poi entrò al supermarket per fare un po’ di spesa. Doveva stare molto attenta agli acquisti che faceva, il marito le centellinava il denaro. Lo aveva denunciato  sperando che la giustizia lo avrebbe punito e allontanato dalla famiglia, invece tutto era tornato come prima anzi, peggio di prima. Oltre ad alzare le mani su di lei e i bambini per un nonnulla, la minacciava continuamente, impugnava un coltello da cucina e glielo appoggiava al collo o al petto terrorizzandola. Poi rideva sguaiatamente e usciva sbattendo la porta. Vera si domandava come avesse potuto ridursi così, era diventata una schiava – resisto per i bambini – ripeteva fra sé, ma sapeva perfettamente che non era così. Anche i bambini stavano soffrendo quanto lei. Il vero motivo era la paura… sì, la maledetta paura che le toglieva le forze e la volontà. Ancora non riusciva a credere di aver avuto il coraggio di andare alla polizia, visto come erano andate le cose non lo avrebbe fatto una seconda volta. Assorta nei suoi tristi pensieri, cercava tra gli scaffali i prodotti da acquistare, quando una voce di uomo dietro di lei la fece trasalire:
«Signora non si volti, non gridi, non dica niente».
Oh mio Dio, una rapina – pensò Vera col cuore in tumulto. Restò immobile aspettando che il ladro le strappasse la borsa. Invece  la voce riprese a parlare:
«Non abbia paura signora, non voglio farle alcun male. Conosco la sua situazione, so che suo marito Walter è un violento, che tormenta continuamente lei e i bambini. So anche che lo ha denunciato, non si aspetti nulla dalla polizia. Ne hanno a bizzeffe di casi anche peggiori del suo».
«Ma… chi è lei?» chiese Vera senza girarsi.
«Non faccia domande, mi ascolti e basta».
Vera sentiva il fiato dell’uomo sul collo, ma non aveva più paura, non sapeva perché, ma sentiva che non era lì per farle del male. L’uomo continuò:
«Le prometto che suo marito non la maltratterà più, mi ha capito?»
«Ma…»
«Mi ha capito?» – ripetè con voce ferma.
«Sì» – rispose Vera in un soffio.
«Bene, ora me ne vado. Conti fino a dieci poi continui a fare la sua spesa».
Quella sera Vera aspettò inutilmente il marito per cena. Lo squillo del telefono la fece sobbalzare:
«Signora Singer?»
«Sì?»…

 

 

Walter Singer scese nel parcheggio sotterraneo per recuperare la sua auto e tornare a casa. Aveva lavorato fino a tardi, era indietro con le pratiche. Il parcheggio era deserto, affrettò il passo, era stanco e aveva fame. Improvvisamente il rombo assordante di un motore lo bloccò, come dal nulla sbucò da dietro un pilone di cemento un’auto che, a tutta velocità, puntava dritto su di lui. Non si mosse di un centimetro, la sorpresa lo aveva paralizzato, fu investito in pieno e sbalzato di un centinaio di metri, fino a fermarsi sbattendo contro una transenna di ferro…

 

Vera guardava suo marito, immobile nel letto d’ospedale, attaccato alle macchine che lo tenevano in vita, non lo aveva mai visto così inerme. Le parve di provare una specie di sollievo. Il medico le si avvicinò, aveva un’espressione grave:
«Signora Singer, purtroppo suo marito versa in gravissime condizioni, è in coma, disperiamo di poterlo salvare, ma ci proveremo».
Vera annuì e ringraziò il dottore. Mentre tornava a casa, cominciò a realizzare che non vi avrebbe trovato “lui”, non avrebbe dovuto preoccuparsi se la cena non era perfetta, se la casa non era in ordine, se il vino non era abbastanza fresco, nulla, non doveva preoccuparsi di nulla. Si ritrovò a sorridere e a pensare che non vedeva l’ora di andare dalla vicina, alla quale aveva affidato i bambini, e portarseli a casa. Dopo averla ringraziata di cuore  ed aver ascoltato con pazienza le sue parole di conforto, tornò a casa con i figli.
«Mamma – chiese il piccolo Jim, papà non viene?»
«No tesoro, è all’ospedale, ha avuto un incidente».
I bambini accolsero la notizia con indifferenza. Mangiarono in serenità, poi Vera li aiutò a lavarsi, li mise a letto, rimboccò loro le coperte e li baciò sulla fronte. Non avrebbero più sofferto, ne era certa, non lo avrebbe più permesso. Si ritrovò a pensare all’uomo del supermarket:
«Non la maltratterà mai più» – le aveva detto.
Coincidenza? Si sentiva molto confusa, ma non poteva negare che stava bene, molto bene senza Walter, questo le bastava, non voleva sapere altro. Alcuni giorni dopo la chiamarono dall’ospedale, le dissero che il marito era in coma irreversibile.
«Signora Singer, suo marito vive solo grazie alle macchine, l’encefalogramma è piatto, non si risveglierà più. Ora sta a lei decidere cosa vuole fare».
«Intende dire “staccare la spina” vero?»
«Sì signora, è così».
Vera chiese di poter riflettere un po’ prima di decidere, si ritirò in una stanzetta vuota, chiuse gli occhi, rivide gli anni terribili vissuti col marito, le botte, le umiliazioni, la paura per sé e per i bambini.
– Ora sei nelle mie mani Walter – disse fra sé – peccato che tu non sia in grado di capirlo.Chiamò il medico e disse:
«Procedete».
Un clic, e Walter sparì per sempre dalla sua vita.

 

CARLOS

Figlio di immigrati ben integrati nella società, una famiglia non ricca ma onesta e lavoratrice. Per sua sfortuna fece la conoscenza di Jerry, spacciatore e usuraio, il quale lo convinse che per essere qualcuno nella vita bisognava guadagnare molto, molto denaro, non rompersi la schiena per quattro soldi come faceva Ernesto, il padre di Carlos.
«Ho bisogno di ragazzi in gamba come te – gli disse Jerry – se lavorerai per me, potrai permetterti abiti eleganti, donne mozzafiato disposte a tutto e un sacco di “amici” che ti tireranno fuori dai guai, sempre».
Dopo qualche tentennamento Carlos accettò, abbagliato dalla prospettiva di guadagni facili – potrò comprare una grande casa per i miei genitori e i miei fratelli – pensò – e mi divertirò un mondo.
La voce di Jerry lo distolse dalle sue fantasticherie:
«Però ricordati bene una cosa: sono io che comando, tu obbedisci senza fare domande chiaro?»
«Chiaro!»  – esclamò Carlos con enfasi.
Per alcune settimane si limitò a consegnare pacchetti in giro per la città, doveva farlo con discrezione, il destinatario doveva pagare in contanti e subito, se non aveva i soldi niente consegna. Un giorno Jerry lo mandò a chiamare:
«Allora Carlos, come va? Mi hanno riferito che hai svolto molto bene il tuo lavoro in queste settimane».
«Grazie Jerry» – rispose tutto orgoglioso.
«Credo che tu sia pronto per qualche incarico più… come dire… impegnativo, ecco».
«Sì Jerry, sono pronto».
«Ah, dimenticavo, ecco la tua paga».
Gli consegnò una busta, Carlos l’apri e restò senza parole: conteneva un bel mucchio di bigliettoni!
«Jerry, io…»
«Non dire niente, te li sei meritati. Adesso stammi a sentire. Ti affiancherai a Moreno per alcuni giri di “riscossione”. Stagli appiccicato come una medusa, guarda quello che fa, impara e non parlare, qualunque cosa accada, capito?»
«Sì Jerry ho capito».
«Bene, comincerai domani, stasera vatti a divertire, i soldi non ti mancano no?»
Scoppiò in una fragorosa risata, gli diede una pacca sulla spalla e lo congedò.
Il primo giorno fu un vero trauma per Carlos. Moreno entrava con aria minacciosa nei vari esercizi pubblici della zona, si appartava nel retro col proprietario e riscuoteva la “quota di protezione”. Non tutti avevano il denaro sufficiente, in tal caso venivano malmenati e minacciati di morte. Carlos guardava sgomento gli occhi terrorizzati dei gestori dei locali, come si sottomettevano ai soprusi di Moreno, sapevano perfettamente che Jerry non ci avrebbe pensato due volte a distruggerli. Ma, si sa, a tutto ci si abitua, dopo un mese Carlos iniziò a fare il “giro” da solo, usando senza compassione per nessuno, gli stessi metodi di Moreno, tornando da Jerry con tutti i soldi raccolti. Il boss era contentissimo di lui, lo elesse suo braccio destro e ordinò a tutta la banda di obbedirgli e rispettarlo. In breve tempo Carlos guadagnò cifre esorbitanti, Jerry era molto generoso con lui, comprò un immenso appartamento e disse a suo padre di lasciare il lavoro e trasferirsi là con tutto il resto della famiglia. Ernesto però disse NO! Ormai sapeva come suo figlio guadagnava tutto quel denaro, non avrebbe mai accettato, erano soldi sporchi di sangue.
Il tempo passava, la ricchezza e il potere offuscarono la mente di Carlos, ormai lo infastidiva dover eseguire gli ordini di Jerry, lo trovava vecchio, superato, si sentiva pronto a prendere il suo posto. Ovviamente Jerry non glielo avrebbe mai permesso, quindi restava una cosa sola da fare. Una notte lo chiamò al cellulare:
«Jerry, ho bisogno che tu venga qui, subito ti prego».
«Carlos, che succede? Dove ti trovi?»
«Sono nel vicolo di fianco al Crazy bar, mi hanno aggredito».
«Cosa? Ti mando subito due ragazzi fidati!»
«No! Io mi fido solo di te, vieni da solo, per favore».
Jerry era perplesso, che diavolo avrà combinato? Era davvero preoccupato.
«Ok arrivo, non ti muovere».
Prese l’auto e partì senza avvisare nessuno.
Mezz’ora dopo arrivò a destinazione, scese dalla macchina guardandosi intorno con circospezione, entrò nel vicolo buio che fiancheggiava il pub:
«Carlos» – chiamò a bassa voce. Nessuna risposta.
«Carlos! Sei qui?»
La coltellata lo raggiunse alla gola, un’altra e un’altra ancora. Jerry stramazzò a terra in un lago di sangue. Il suo uomo più fidato lo aveva tradito.
Carlos gettò a terra il coltello, uscì dal vicolo e gettò i guanti, che prudentemente aveva indossato, nel bidone della spazzatura, tra i rifiuti del pub.
E’ fatta – pensò – ora sarò io il boss.

Quello che Carlos non poteva sapere era che da tempo qualcuno lo teneva d’occhio, lo seguiva ovunque a debita distanza. Anche quella notte era lì, nascosto proprio dietro il grosso bidone dei rifiuti, aveva visto tutto, raccolse i guanti sporchi di sangue e li chiuse in un sacchetto di plastica…

fine prima parte