Wendy si svegliò, come tutte le mattine, con il suono della radio che trasmetteva buona musica e le ultime notizie.
Bevve una tazzona di caffé, scrutò il cielo che si stava illuminando solo allora, era l’alba e visto che la giornata era bella si preparò in fretta e furia per la sua corsa mattutina: tuta, scarpe da ginnastica e via.
Aveva la fortuna di abitare vicino a Central Park e così poteva correre in mezzo al verde, lontano dal traffico e dal caos di quella meravigliosa città che è New York.
Era lì che viveva con il suo compagno Dave che però era spesso lontano per lavoro.
Quando poteva lei lo accompagnava, amava viaggiare e farlo con lui ma purtroppo succedeva raramente.
Infatti anche lei era molto impegnata con i suoi pazienti che seguiva con scrupolo e attenzione essendo loro persone particolari e lei la loro ‘strizzacervelli’, così i newyorkesi chiamavano i loro psichiatri.
Anche se il suo lavoro si era evoluto negli ultimi anni e cambiato nome più volte, loro erano rimasti fermi alla definizione data da Woody Allen nei suoi film.

Wendy aveva lo studio medico nell’Upper East Side, uno dei quartieri più costosi della città e così divideva affitto e segretaria con altri due colleghi: una ginecologa e un dentista.

La segretaria, Frida, era di origine messicana come la famosa pittrice con la quale aveva in comune non solo il nome ma anche lo spirito indipendente e passionale.
Completava la squadra multietnica di quello studio la ragazza che ‘avrebbe’ dovuto fare le pulizie, la giovanissima Ana che si innamorava molto facilmente,
come tutte le sudamericane, con il risultato che a vent’anni aveva già due figli, naturalmente di padri diversi.
Wendy era nata negli USA ma le sue origini erano italiane; infatti i suoi nonni erano emigrati da un paesino della Liguria per cercare fortuna e l’avevano trovata aprendo un ristorante e sfruttando le capacità culinarie della nonna.
Italiani spaghetti e mafia, dicevano i Newyorkesi ma i parenti di Wendy appartenevano alla categoria “spaghetti”.
Quando era una bimbetta il nonno le raccontava del suo paese, delle tradizioni e tutto per lei era come una favola.
Naturalmente era un suo grande desiderio fare un viaggio laggiù, dove erano le sue radici e si riprometteva di farlo al momento giusto.
Quella dolce mattina d’ottobre Wendy arrivò in ritardo in studio: si era soffermata a godersi il colore incredibile degli alberi del parco.
Il rosso degli aceri, tutte le tonalità del marrone, giallo, verde, uno spettacolo che non finiva mai di stupirla
Davanti al grattacielo dov’era lo studio c’erano parcheggiate la bicicletta elettrica di Ted, il dentista e la vespa rossa di Frida.
Erano i loro mezzi di trasporto, pochi erano i Newyorkesi che avevano l’auto. Joanna, la ginecologa si spostava in taxi e Ana usava la Subway.
Nell’atrio una voce la fece sobbalzare: “Buongiorno dottoressa Nichols”. Era Tony, il portiere, che essendo sordo parlava a voce altissima e lei ancora non si era abituata.
“Fatta una bella corsa eh, su ci sono già tutti”. “Appunto Tony vado di fretta, salve”.
Wendy si catapultò verso l’ascensore, lo prese appena in tempo e finalmente arrivò nella sala d’aspetto dove Frida, dalla sua scrivania, le lanciò un’occhiataccia e con l’indice segnò l’orologio.
Si era dovuta sorbire le lamentele della sua paziente, una signora depressa che peggiorava la sua patologia con un terribile carattere capriccioso e indisponente.
Erano mesi che la seguiva e doveva impegnarsi al massimo per curarla, spesso avrebbe voluto strozzarla.
Non era molto etico, lo sapeva, ma quando questa tizia bella, ricca e in perfetta forma fisica minacciava di suicidarsi, non riusciva a trovare alcun interesse o motivo che la smuovesse da questa sua apatia, Wendy si sentiva impotente
Rimediava con dei farmaci ma la situazione non migliorava; la depressione era iniziata dopo il matrimonio mentre prima era una ragazza felice, piena di voglia di vivere e sgobbava tutto il giorno per mantenersi.
Ora abitava in una villa da favola, un autista la portava a fare shopping, al salone di bellezza e ai vari circoli dove il marito la iscriveva.
La depressione, tra tutte le patologie che Wendy curava, era quella che faceva più fatica a sopportare. Sì, sapeva che quei pazienti avevano una vita terribile e non per colpa loro, ma lei preferiva trattare con schizofrenici, borderline, paranoici, sadomasochisti.
Erano viaggi nella mente di persone in genere geniali, sorprendenti e soddisfacevano quella vena di pazzia che evidentemente era in lei.
Finalmente terminò la seduta di terapia con la signora depressa che uscì a capo chino e sospirando.
Sistemò la cartella prima di far entrare il paziente successivo: un quarantenne accusato di stalking dalla ex convivente, il Giudice che seguiva la sua causa lo aveva costretto a un ciclo di psicoanalisi.
Così Wendy aveva conosciuto questo bel personaggio
Era un tipo divertente, fuori dal comune: suonava il pianoforte con ottima tecnica e fantasia. Ogni tipo di musica: classica, jazz, canzoni che lui arrangiava in modo originale.
Spesso Wendy e Dave con gli amici erano andati ad ascoltarlo nei locali dove lui si esibiva ed era sempre un gran spettacolo.
Peccato che ora si trovava nei guai: non solo tormentava la sua ex, ma lei lo accusava di averle ripulito il conto in banca e lo aveva cacciato.
Lui non si dava pace e la perseguitava con ogni mezzo, vivendo alla giornata, ospitato e mantenuto dagli amici perché non aveva casa né quattrini e la musica rende poco.
Wendy aprì la porta del suo studio per farlo entrare e lo vide seduto accanto alla signora depressa: parlava e gesticolava, la signora sorrideva.
Lo ‘Stalker’ era particolarmente euforico, girava per lo studio in modo frenetico, guardava fuori dalla finestra esaltando le bellezze del panorama, si rivolgeva a lei in modo amichevole.
Non sembrava più la stessa persona che da tre mesi veniva alle sedute con aria scocciata, si difendeva dalle accuse che gli rivolgevano sostenendo che lui era il perseguitato, il truffato.
L’ora di terapia trascorse velocemente ascoltandolo declamare poesie sull’amore e la gioia di vivere.
Wendy era molto perplessa e quando lui andò via vide che nella sala d’aspetto c’era ancora la signora depressa che gli andò incontro e i due si avviarono all’uscita.
Aveva bisogno di uno stacco e così andò nella stanza dove si trovava la macchina per il caffè; aveva un po’ di tempo prima del terzo paziente della mattina.
Trovò Ana che come al solito stava telefonando parlando spagnolo con il tono di una mitraglia. Wendy conosceva quella lingua ma di quello che diceva Ana capiva solo poche parole.
A bere caffè c’erano Frida e Ted che parlottavano guardandosi negli occhi. C’era intesa tra i due, anche se erano di caratteri opposti.
Frida interveniva quando Ted esagerava con le sue opere di ‘beneficenza’ e spesso cercava di riportarlo alla realtà usando il suo spirito pratico e l’influenza che aveva su di lui.
Wendy si sentiva il terzo incomodo ma appena la videro la subissarono di domande sulla nuova tresca che sembrava stesse nascendo tra la ‘Depressa’ e lo ‘Stalker’.
Fu tolta dall’imbarazzo della risposta dai rumori che arrivavano dalla sala d’attesa lasciata incustodita: sedie spostate, lamenti, urla.
I tre si precipitarono a vedere cosa stava succedendo, Ana, imperterrita, continuava la sua telefonata.

continua….