Questa notte il mare è in tempesta, le onde irrompono sulla battigia con la furia di un’orda in fuga sotto l’impeto violento dell’acqua, quella orizzontale del mare e quella verticale del cielo, mentre il lugubre ululato del vento penetra dal camino, col suo  sibilo di anima dannata, impedendo il sonno alla giovane signora che dimora nella casa sulla scogliera.
Ada, questo il suo nome, s’affaccia a scrutare la notte, e nel paesaggio ostile delle ombre le riesce d’individuare, più con la memoria che con la vista, qualche dettaglio limitrofo, perché il tondo opaco della luna riflette il buio e non la luce.
Con un nubifragio di tale portata non c’è da sentirsi al sicuro nemmeno tra le mura della propria casa.
Questo pensa la giovane madre mentre veglia sul sonno del suo bimbo che pure dorme tranquillo, al sicuro, con lei che lo protegge, facendosi coraggio con la certezza che anche le tempeste più rabbiose, in ultimo, si placano.
Ed è ciò che avviene, perché il tornado, stremato dagli schiaffi violenti dell’acqua, va chetandosi in un vento supino, di bassa quota.
La pavida luna, di nuovo padrona del cielo, spande il suo alone oltre la linea dell’orizzonte, ad illuminare un paesaggio mutilato: sabbia arruffata, rami strappati, carcasse d’uccelli, e i legni di un’ imbarcazione.
…ma non c’era nessuna barca qui attraccata, ricorda Ada con sicurezza, che il pomeriggio era stata con suo figlio sulla spiaggia a raccogliere conchiglie, ed il molo era vuoto.
…deve essere stata trascinata  fin qui dalla tempesta, e forse è il caso che io vada a controllare se  qualcuno ha bisogno di aiuto.
Congettura, combattuta fra l’istinto umanitario, che la spingerebbe ad uscire nella notte ostile, e quello materno, che le impedirebbe di lasciar solo il suo piccolo.
Mentre riflette sull’agire, ecco emergere dai relitti della barca, una figura barcollante.
Immagina, Ada, che sia un pescatore trascinato dalla burrasca a schiantarsi sul piccolo molo, ed è un miracolo che sia vivo.
La sua finestra illuminata fungerà da faro verso cui potrà incamminarsi per avere asilo.
Ma l’uomo ignora quel richiamo e s’affanna, invece, fra l’incaglio delle assi, a districare una rete impigliata  che trascina verso il mare aperto.
La luna, ora, è un potente riflettore che illumina la scena, e dalla sua  finestra sulla scogliera Ada lo scorge  immerso tra i flutti, sollevare e stringere tra le braccia un voluminoso fagotto.
Ma non è un fagotto, ultimo bene scampato al naufragio, quello che lui serra al petto, ma una donna, i cui lunghi capelli s’irradiano, come sottili rami di corallo, sulla superficie dell’acqua.
Ha il capo reclinato sul petto di lui, le cui braccia la raccolgono dalla cintola in su, mentre l’altra metà del corpo resta immersa.
Abbracciati nella culla del mare, ignorano la luce proveniente dalla finestra.
Quella tempesta ha stravolto il precario equilibrio a cui i due innamorati, una sirena ed un pescatore, s’erano adattati, lui a viver sulla barca e lei al rimorchio della sua rete, prima che l’apocalisse li trascinasse su quel molo della città di Napoli, che non era, ai tempi in cui avvenne questa loro storia d’amore, la  metropoli di oggi, ma solo un grosso borgo di pescatori e di mercanti, in un tempo remoto in cui Ada non era ancora nata né si aveva  alcun presentimento della sua nascita.
Ma questo lei non può saperlo, convinta com’è che tutto si stia svolgendo in tempo reale.
Dopo un ultimo bacio, la sirena scompare sotto il pelo dell’acqua e il pescatore s’incammina verso la terraferma
E’ un addio, dunque, quello che è andato in scena sul molo deserto devastato dalla tempesta, e da cui la distoglie la voce di suo figlio che s’è svegliato e la reclama accanto a sé.
Quando Ada di nuovo si affaccia, l’accoglie un’alba striata di sole, sullo sfondo di una natura levigata, compatta. Impermeabile.
…e nessuna traccia dell’apocalisse notturna e dei resti del naufragio.
Come se tutto fosse stato un sogno.
Un’allucinazione
O una magia.
…perché quando si spalanca una finestra sul mare può benissimo accadere che una storia del passato riemerga nel presente, nelle sue esatte sequenze, come nella proiezione un film.
Perché sono le finestre aperte sull’immaginifico a raccontare le storie più vere.
Anche quelle che non lo sono.