Giorgio, Pietro e Giovanni erano amici da molti anni.
Giorgio e Pietro, più anziani, erano amici dai tempi della Resistenza, ex-partigiani entrambi; Giovanni, mio marito, si era aggregato dopo.
Pietro, piccolo e minuto, capelli bianchi lisci, labbra sottili e naso aquilino, possedeva un piccolo orto nell’entroterra, vicino al paese dove abitavamo, in una piccola frazione in campagna dove i tre amici s’incontravano per coltivare quel fazzoletto di terra ma, soprattutto, per stare insieme a chiacchierare, diventando inseparabili.
Giorgio, un po’ più giovane di Pietro, aveva un sorriso accattivante ed era molto simpatico, era di corporatura media, i capelli brizzolati e ondulati.
Mentre i primi due erano in pensione, Giovanni lavorava ancora ma nel tempo libero si univa a loro.
I loro argomenti di discussione vertevano di solito sulla Resistenza, politica, pesca e organizzavano “mangiate” con gli amici.
Era un’occasione per stare insieme, unire l’utile al dilettevole e, nonostante li prendessimo in giro sul fatto che si vedessero più per parlare che per lavorare, riuscivano a procurarci verdura fresca per tutto l’anno.
Pietro aveva anche un piccolo peschereccio a motore e usciva spesso in mare a pescare con Giorgio.
Bisticciavano in continuazione, fomentati per divertimento da Giovanni, che li provocava di proposito.
Nonostante tutto, le loro litigate finivano sempre con una salutare bevuta e si lasciavano senza rancore.

Un sabato, Pietro e Giorgio invitarono mio marito a pescare le occhiate.
Egli era un po’ titubante ma gli altri due insistettero:
«Troppo facile sedersi a tavola a mangiare, se vuoi gustare il pesce fresco, devi darti da fare anche tu».
Giovanni cercò qualche scusa ma, alla fine, poiché era molto goloso, accettò; forse pregustava già la cena in programma.
Erano i primi giorni di giugno, una splendida giornata di sole, preludio dell’estate imminente.
Giorgio mi disse:
«Perché non vieni anche tu?»
Ci pensai qualche secondo, poi, riflettendo sull’occasione di farmi la base di una prima abbronzatura senza scendere in spiaggia bianca come una “piemontese”, come si dice qui da noi, acconsentii con entusiasmo.

Era una giornata di fine primavera, iniziava a fare caldo ma l’aria era ancora frizzante, c’era un po’ di vento e, a dire di Pietro, il mare giusto per la pesca all’occhiata.
Misi in una borsa una crema protettiva, una leggera giacca a vento e un asciugamano, indossai il costume da bagno e fui pronta.
L’imbarcazione era ormeggiata al largo di Porto Vado, una piccola baia nelle vicinanze di Savona.
Pietro e Giorgio si erano procurati tutto il necessario: l’esca, le lenze e gli ami con le penne per la pesca a traina.
A turno salimmo sulla piccola barca a remi a due posti, a forma di guscio di noce, per passare sul peschereccio che era ancorato a una cinquantina di metri dalla riva.
Pietro, naturalmente, nelle sue mansioni di comandante, prima di salpare, controllò l’attrezzatura di bordo, che ogni cosa fosse al suo posto, accese il motore, issò l’ancora e si mise al timone.
Il mare non era esattamente calmo, piccole onde increspavano l’acqua e facevano ondeggiare la barca, il vento profumava di salsedine e soffiava leggero mentre mi scompigliava i capelli, ma il sole era caldo e mi accarezzava piacevolmente la pelle.
I tre amici indossavano pantaloni corti, maglietta a mezze maniche a righe bianco blu e berretto con visiera.
Sono sicura che da lontano sembrassero dei veri pescatori.

Dopo aver preso il largo, Pietro virò verso l’isola di Bergeggi, un piccolo isolotto a forma di cono, non distante da Porto Vado, che si affaccia nella baia di Spotorno e che, in quel tratto di mare, dona un tocco caratteristico, piacevole e pittoresco al paesaggio.
Navigavamo a un centinaio di metri dalla costa.
Osservavo le navi del porto, il faro, il molo, le piccole e graziose spiagge, come se le vedessi per la prima volta.
In alcuni punti la costa è alta e frastagliata, piena di nidi di gabbiani e scende a picco sul mare.
In prossimità dell’isola, un gruppo di scogli affiora dalle onde rendendo spumeggiante il mare circostante.
Un paesaggio tipicamente ligure.

Noi eravamo euforici eccetto Giovanni, che gli piaceva il mare ed era un buon nuotatore, ma soffriva la barca ed era seduto a prua, aggrappato con ambo le mani ai bordi della barca, bianco come un lenzuolo fresco di bucato.
«Come va, tutto bene?» chiedeva ogni tanto Pietro che conosceva il suo problema.
«Sì, sì» era la risposta, ma nessuno di noi gli credeva.
Io ero seduta su un lato della barca per lasciarli liberi nelle loro manovre e mi godevo beatamente la gita.

Arrivati nel punto ritenuto idoneo, Pietro e Giorgio, tirarono fuori le lenze.
Giorgio ne porse una a Giovanni che, senza parlare, scrollò significativamente la testa.
Allora Pietro, dalla postazione di comando, mi disse:
«Vuoi provare tu?».
«Devi lanciare la lenza e appena senti che abboccano, tiri velocemente verso di te».
Non mi sembrava così difficile, perciò accettai, segui le istruzioni e incominciai.
In piedi, con le gambe divaricate, lanciavo la lenza, le occhiate abboccavano, tiravo su e le mettevo nel secchio.
Rimasero meravigliati e incominciarono a lodarmi con frasi del tipo:
«Hai una bella mano, leggera ma non troppo, brava, dai, così che vai bene!».
In poco tempo il secchio fu pieno e per metà fu opera mia.
Loro scherzavano:
«E’ la fortuna dei principianti», mormoravano ammiccando e l’atmosfera era leggera e divertente.

Intanto, all’orizzonte, erano comparsi dei nuvoloni poco rassicuranti e il mare si fece più agitato, le onde sferzavano a tratti le fiancate, il vento diventò impetuoso e freddo, mio marito era sempre più pallido, oserei dire verdognolo e, mentre Pietro decideva di fare il giro dell’isola per trovare un punto più riparato, si ruppe il timone.
In quel punto le correnti sono forti e contrastanti e la barca iniziò ad andare alla deriva beccheggiando paurosamente.
Pietro, da buon comandante, disse:
«Niente paura, ora sostituisco il timone con quello di emergenza».

Si sa che in mare è come in montagna, il tempo cambia all’improvviso e velocemente. Si stava preparando una burrasca, iniziò a fare freddo e indossammo le giacche a vento.
«Addio abbronzatura», pensai.
Spruzzi di acqua gelata arrivavano a tratti e ci colpivano come frustate e in poco tempo eravamo zuppi e mezzi surgelati.
Mentre Pietro sostituiva il timone, ci accorgemmo che le onde ci stavano spingendo pericolosamente verso gli scogli.
Il comandante, che armeggiava, impedito forse dal movimento della barca e dalle mani bagnate e intirizzite dal freddo, all’improvviso disse:
«Sappiamo nuotare tutti, vero?».
Domanda sicuramente poco rassicurante ma Pietro, poco dopo, riuscì nell’impresa, riprese in mano la situazione e decidemmo che fosse più prudente tornare.

Il vento contrario non agevolò il rientro ma, nonostante ciò, arrivammo sani e salvi nel piccolo porto, dove il mare era un poco più calmo.
Pietro ormeggiò e ci accingemmo a sbarcare.
«Prime le donne», disse galantemente Giorgio che, salito sulla piccola imbarcazione a due posti, mi porse la mano e mi aiutò a salire su quel guscio traballante che sembrava in procinto di rovesciarsi a ogni onda in arrivo.
Non fu un’impresa facile perché la piccola imbarcazione era instabile e le onde non aiutavano.
Giorgio mi rassicurava:
«Stai tranquilla, non c’è nessun pericolo, siamo quasi arrivati» e portò a compimento lo sbarco.
Arrivata sulla spiaggia, ero intirizzita dal freddo e bagnata, riuscii a fatica a indossare un paio di pantaloni asciutti che, naturalmente si bagnarono subito, chiudendomi in una corazza ghiacciata.
Mentre aspettavo, saltellando su un piede e sull’altro per riscaldarmi, seguivo le operazioni di recupero degli altri tre.
Era il turno di Giovanni che, barcollando, scese nel piccolo “guscio” con Giorgio ma, non so se fu un’onda improvvisa o un suo movimento maldestro, la barchetta si rovesciò e i due occupanti finirono in acqua.
Dal battello Pietro sciorinò un repertorio di parolacce da scaricatore di porto sulle quali è meglio non soffermarsi, aiutò Giorgio e, insieme, riuscirono a fatica a recuperare l’imbarcazione ma, Giovanni, preferì rientrare a nuoto.
Quando arrivarono a riva, erano stanchi, fradici e arrabbiati, ci salutammo e tornammo a casa infreddoliti a tal punto, che ci volle una doccia bollente e prolungata per riprenderci.

La sera successiva, Giuseppina, la moglie di Giorgio, aveva organizzato una cena a casa loro e invitato alcuni amici per cucinare il pescato.
E’ una brava cuoca e con il pesce ci sa proprio fare.
Preparò una cena squisita e tutti lodarono e applaudirono i provetti pescatori.
I tre amici erano molto fieri e soddisfatti del loro bottino, si vantarono dell’impresa, tralasciando i dettagli più scabrosi.
Furono molto cortesi nei miei confronti, lodarono le mie capacità di “pescatore improvvisato” ed io contraccambiai la loro gentilezza sorvolando sui particolari più delicati della nostra spedizione per non intaccare la loro reputazione di navigatori e pescatori esperti.
Solo alla fine della serata, in privato, chiesi a Pietro:
«Qual è la verità, eri più preoccupato per noi o per la barca?» e lui mi rispose sorridendo:
«Taci, non vorrai rovinarci», e aggiunse, «tutto è bene ciò finisce bene».