LA DISCARICA (antefatto)
THE KING
A New Orleans l’uragano Katrina aveva spazzato via le povere case fatiscenti e i loro abitanti, lasciando dietro di sé morte e disperazione. A distanza di anni nulla era stato fatto per la ricostruzione. I superstiti piangevano i loro morti e cercavano di rimettere in piedi le misere baracche. La povertà si aggirava come uno spettro fra la popolazione stremata. In quella triste realtà viveva il piccolo Louis con la nonna, i suoi genitori erano morti, vittime dell’uragano,l’anziana donna era tutta la sua famiglia. Era un ragazzino vivace Louis, furbo, curioso e lesto di mano, viveva di furtarelli e del buon cuore degli abitanti.
Una sera mentre saltellava qua e là evitando le pozzanghere fangose e agitando un bastone come fosse una spada per sconfiggere un invisibile nemico, sentì un grido strozzato. Si nascose dietro una baracca e tese l’orecchio in quella direzione. Sporse un po’ la testa per vedere cosa stesse succedendo e a stento trattenne un grido di raccapriccio. Inginocchiato sul bordo di una grande e maleodorante discarica a cielo aperto, un uomo anziano con le mani legate dietro la schiena, sporco di sangue, piangeva e chiedeva pietà. Ai lati del poveretto due brutti ceffi impassibili. Di fronte a lui, in piedi, un altro uomo elegantemente vestito, al collo e ai polsi collane e bracciali d’oro decisamente pacchiani, lo guardava con disprezzo.
“Ti avevo avvertito vecchio, la mia protezione si paga senza discutere”.
“Ti prego Frank…”
“Io sono The King, così dovete chiamarmi voi luridi pidocchiosi”.
“ Sì sì scusami King, ti prego credimi, gli affari vanno malissimo, dopo l’uragano le cose sono peggiorate terribilmente, nessuno si ferma più alla mia bancarella, la gente qui muore di fame e…”
Con un cenno della testa The King diede ordine ai suoi scagnozzi di finirlo; ubbidirono immediatamente, un colpo di pistola col silenziatore mise fine alla vita del pover’uomo.
“Gettatelo nella discarica- ordinò The King – un rifiuto della società è qui che deve stare” e sputò per terra.
Inorridito, Louis si lasciò sfuggire un piccolo grido, gli uomini si voltarono, lo videro, il ragazzino cominciò a correre velocissimo, ma non più veloce della pallottola che lo raggiunse facendolo stramazzare al suolo senza vita. Il suo piccolo corpo esanime raggiunse nella discarica quello dell’uomo ucciso poco prima.
MARCUS
Nell’elegante quartiere francese di New Orleans, i passanti guardavano incuriositi il piccolo negozio. L’insegna lasciava perplessi: <DA MARCUS> (Tutto ciò che ti serve) .
Non c’era mai stato un negozio in quel punto, come poteva essere spuntato così all’improvviso?
Oltretutto chiamarlo negozio era un eufemismo; un ammasso di cianfrusaglie accatastate alla rinfusa,e che dire del suo proprietario Marcus? Un uomo alto e rinsecchito, capelli sale e pepe lunghi fino alle spalle, ispidi e scompigliati, una barba incolta a incorniciare un viso spigoloso, naso adunco e labbra sottili. Insomma un tipo decisamente sgradevole se non fosse stato per i suoi occhi.
Sotto la fronte corrucciata spiccavano, neri e lucenti, magnetici. Incutevano imbarazzo e attrazione allo stesso tempo. Piano piano i curiosi si allontanarono per dedicarsi alle loro faccende, ripromettendosi di tornare a curiosare all’interno in futuro.
Marcus stava immobile dietro il bancone, sembrava aspettare qualcuno.
NED (IL PECCATORE)
Dopo quindici anni Ned tornava libero di girare per le strade della sua New Orleans, di rivederne i colori, risentirne le musiche jazz e i cori gospel a lui tanto cari. Cercò di non pensare al passato, assaporando la gioia del ritorno alla vita libera.
Ad un tratto vide un negozio che non ricordava affatto, <DA MARCUS> (tutto ciò che ti serve) diceva l’insegna. Sbirciò all’interno, vide al banco un uomo lungo e smilzo in mezzo a un disordine indescrivibile. Stava per andarsene quando si accorse che l’uomo lo fissava con un sorriso beffardo, almeno così gli parve. Entrò nel negozio guardandosi intorno perplesso, tra centinaia di oggetti insignificanti, impolverati e decisamente inutili.
“Buongiorno” disse.
“Buongiorno Padre” rispose Marcus.
Ned restò impietrito. – Padre? – pensò – sa chi sono?
“Ci conosciamo?” chiese con un fil di voce.
“Marcus conosce tutti, cosa sta cercando?”
“Niente, sono entrato per curiosità, ora me ne vado”.
In quell’istante, si accorse della pistola appoggiata sul banco.
“Ma… tenete un’arma così in vista? E’ pericoloso!” – esclamò.
“Quella è per lei ‘Padre’” disse Marcus.
“Per me? Che dici! Non mi serve una pistola! E non chiamarmi Padre!”
“Perché… non è così forse? Le servirà, la prenda, è un regalo” – rispose cupo in volto.
Come ipnotizzato Ned mise l’arma in tasca e si avviò all’uscita.
Marcus lo seguì con lo sguardo scuotendo la testa.
Ned camminò fino allo sfinimento, nella sua testa rimbombavano le grida, gli insulti di quelle madri che gli avevano affidato i loro figlioli e che lui aveva tradito, con quelle attenzioni eccessive, gli abbracci e le carezze inopportune. Proprio lui, il Pastore di quella piccola Chiesa Battista, amato da tutti, e poi umiliato, arrestato e condannato a causa di quelle maledette tentazioni che lo dilaniavano e alle quali non aveva saputo resistere. Ma aveva pagato il suo debito, era guarito ormai, aveva tanto pregato il Signore di perdonarlo, di dargli la forza di resistere.
Mise le mani in tasca, il contatto col freddo metallo della pistola lo fece trasalire. Si era dimenticato di averla. Stava per gettarla via quando incrociò due ragazzini che attraversavano la strada. Ned distolse lo sguardo, poi tornò a guardarli mentre il respiro si faceva più affannoso.
L’antico demone stava tornando prepotentemente a tormentarlo, saliva piano ma inesorabile dalle viscere fino al petto.
No! Dio aiutami! – pregava Ned – dammi la forza, non voglio più essere un mostro! Il volto di Marcus gli apparve come una visione e capì, che non sarebbe mai guarito, le preghiere non servivano a nulla, il mostro era dentro di lui e lì sarebbe rimasto per sempre.
Rimise la mano in tasca, risentì il metallo gelido della rivoltella, ma non lo turbò questa volta, anzi, gli sembrò gradevole. Ora sapeva come distruggere il mostro. Guardò il cielo, chiese perdono a Dio e si sparò alla tempia. In quell’istante Marcus chiuse il negozio; per quel giorno il suo lavoro era terminato.
***
MAGDALENA (LA SFREGIATA)
Camminava senza meta quella sera, pensieri cupi e vecchie paure riaffioravano dopo tanto tempo. Con gli occhi bassi e il capo coperto da un foulard che le copriva parte del volto, si domandava cosa le sarebbe capitato ora che “lui” stava per uscire dal carcere. Lei lo aveva denunciato e fatto arrestare, gliel’avrebbe fatta pagare ne era certa, al solo pensiero tremava di paura. La vetrina di un negozio la distolse dai suoi pensieri, era piena di cose ammassate senza criterio, alzò gli occhi e vide l’insegna <DA MARCUS> (tutto ciò che ti serve). Guardò all’interno e lo vide: un uomo allampanato, disordinato nell’aspetto come la sua vetrina, la stava guardando da dietro il bancone. Istintivamente Magdalena spinse la porta ed entrò.
“Buongiorno” – disse piano.
Marcus le sorrise senza smettere di guardarla negli occhi. Solo allora lei si accorse che aveva in mano qualcosa di luccicante. Si avvicinò per vedere meglio, era uno stiletto.
“Cosa le serve cara?” – disse Marcus muovendo lo stiletto fra le dita.
“Io? No… Niente, curiosavo soltanto” – rispose fissando il luccichio della lama.
Marcus allungò una mano e con delicatezza scostò un lembo del velo che le copriva il volto, scoprendo così uno sfregio lungo tutta la guancia, ricucito alla meglio da chissà quale macellaio.
Gli occhi di Magdalena si riempirono di lacrime, avrebbe voluto gridare tutto l’orrore del passato, i maltrattamenti dell’uomo che l’aveva violentata e resa schiava, fino a sfregiarle il volto dopo averla accusata ingiustamente di averlo tradito con un altro uomo. Ma non disse niente, non ce n’era stato bisogno, perché Marcus guardandola con dolcezza disse: “Lo so” – poi le consegnò lo stiletto:
“Tieni, è tutto ciò che ti serve”.
“Ma io non…”
“Non temere Magdalena, vai”.
“Come sa il mio nome?”
“Marcus conosce tutti”.
Magdalena non replicò, un po’ frastornata prese lo stiletto e lo mise nella tasca del cappotto, sistemò meglio il foulard sul viso e uscì dal negozio.
Tornò a casa ripensando per tutto il tragitto a quel Marcus, al disagio iniziale che aveva provato vedendo lui e la sua vetrina così disordinati, sciatti e scostanti entrambi. Ma il suo sguardo l’aveva colpita, c’era nei suoi occhi un misto di tenerezza e compassione, che l’aveva rasserenata. Lui aveva mormorato “Lo so”, e a Magdalena in quel momento era parso di avergli raccontato tutta la sua storia, lo aveva sentito presente e protettivo.
Aprì la porta di casa, nella piccola anticamera appese all’attaccapanni il cappotto e si tolse il foulard, appoggiò la borsetta sulla mensola. Una voce alle sue spalle le fece balzare il cuore in gola:
“Chi si rivede finalmente!”
Magdalena restò immobile, paralizzata dal terrore, incapace di voltarsi a guardare, anche se non ce n’era bisogno, quella voce cavernosa, minacciosa, non si poteva confondere con nessun’altra.
Riuscì solo a mormorare in un soffio: “Greg”.
Lui l’afferrò per i capelli e la girò verso di sé:
“Già, sono proprio io tesoro! Sono venuto a ringraziarti per avermi fatto passare un po’ di tempo in vacanza! E magari ti faccio un altro bel disegnino sulla faccia eh?” Le strinse il collo togliendole il respiro, e guardandola con occhi infuocati di odio sibilò:
“E’ ora di pagare!”
Magdalena respirava a fatica, agitava le braccia, cercava di liberarsi dalla stretta, ma ogni movimento rendeva più faticosa la respirazione, Greg rideva di quei suoi tentativi, aveva deciso di divertirsi ancora un po’. Non si accorse che Magdalena aveva infilato una mano nella tasca del cappotto appeso all’attaccapanni, non vide neppure il luccichio della lama dello stiletto, sentì solo una fitta acuta e sottile attraversargli il petto. Mollò la presa, guardò con gli occhi sgranati dallo stupore Magdalena che stringeva ancora l’arma nella mano. Stramazzò a terra morto senza poter dire una parola.
Dietro il bancone del suo negozio, Marcus sorrise. Giustizia era fatta.
THE KING (LA DISCARICA 2° parte)
Frank The King, come amava farsi chiamare, arricchitosi con lo spaccio di droga ed estorsioni a danno dei negozianti, stava girando per la città sulla sua Chevrolet rosso fiammante, uno scagnozzo alla guida e un altro seduto dietro accanto a lui.
“Ferma! – ordinò all’autista – Chi diavolo è quello?”
Un uomo magro e scapigliato, stava ammonticchiando nel suo piccolo negozio, sporco e disordinato, oggetti d’ogni sorta. Fece una smorfia leggendo l’insegna: <DA MARCUS> (tutto ciò che ti serve).
“Ma chi è questo imbecille!? – esclamò.
“Capo, vado dentro a controllare?” disse lo scagnozzo al suo fianco.
“No, restate qui, vado io”.
Marcus vide la Chevrolet fermarsi davanti al negozio, si mise dietro al banco e guardò The King avanzare lentamente. I loro sguardi si incontrarono per un lungo istante, King sentì un fremito nella schiena. Entrò lentamente e con fare minaccioso disse:
“Chi sei tu?”
“Mi chiamo Marcus” – rispose l’altro senza mostrare il minimo timore.
“Non ti ho mai visto, né te né questo lercio ammasso di cianfrusaglie. Chi lavora qui deve pagare la mia protezione, è chiaro?”
Senza scomporsi Marcus prese in mano una ‘boule a neige’ agitandola e facendo così apparire tanti piccoli fiocchi di neve. Sorridendo sornione la porse a King che lo afferrò per la camicia sibilando:
”Mi prendi in giro? Non mi provocare, c’è gente che è morta per molto meno”.
“Lo so” – rispose Marcus guardandolo fisso negli occhi, la boule a neige ancora tesa verso di lui.
King allentò la presa, come inebetito prese la palla di vetro, avrebbe voluto spaccarla sulla testa di quell’insolente, ma era come se le forze lo avessero abbandonato, senza dire nulla, lentamente uscì e risalì sulla Chevrolet. “Capo, ti senti bene?”
“Sì, andiamo via!”
“Ma… capo, cos’è quello?” – indicando la boule a neige
“Cosa? Oh, uno dei tanti stupidi oggetti di quell’idiota. A proposito, domani gli farete visita per riscuotere… con le buone o con le cattive, intesi?”
“Sì Capo, sarà fatto”.
*** |
Quella notte Frank the King non riusciva a dormire, fumava una sigaretta dopo l’altra e beveva come una spugna. La boule a neige era appoggiata sul tavolino della veranda. La prese sogghignando al ricordo di quell’uomo…Marcus si chiamava, che coraggioso bastardo! Proprio non si capacitava di avergliela fatta passare liscia. Ma i suoi uomini gli avrebbero dato una bella lezione l’indomani.
Capovolse la palla di vetro e guardò i fiocchetti di neve scendere vorticosamente fino ad adagiarsi sul fondo. Ripetè il gesto e…”Ma che diav…!” Capovolse di nuovo la boule e restò impietrito: insieme alla neve vedeva roteare dei volti, deformati ma riconoscibili. Erano persone che aveva ucciso perché non avevano pagato la sua “protezione”. Ecco tra i tanti, Sam, l’uomo che gli chiese inutilmente pietà, ecco il piccolo Louis, colpevole solo di aver visto ciò che non doveva.
- Ma cos’è questa, un’allucinazione? Un maledetto scherzo?
Ripetè il gesto, ancora quei volti tra i fiocchi di neve. Doveva liberarsi di quella stregoneria. Prese la palla di vetro, imprecando salì in macchina dirigendosi verso il quartiere povero. Giunto alla discarica, si avvicinò al bordo, turandosi il naso. Il puzzo era insopportabile. Stava per lanciare la palla tra i rifiuti quando un blocco di terra infangata e resa franosa dalle abbondanti piogge si staccò, facendolo cadere nella discarica. Cercò di rialzarsi ma una gamba si era incastrata tra alcuni elettrodomestici arrugginiti.
“Ehi! C’è qualcuno?” Nessuna risposta
“No no no maledizione! Aiuto! Aiuto!”
Folle di rabbia girava lo sguardo tutt’intorno… nessuno! A un tratto si fermò, il sangue gli si gelò nelle vene. La boule a neige era caduta accanto a lui, orbite vuote in volti a brandelli lo fissavano roteando continuamente tra i fiocchi di neve, gli pareva che si avvicinassero per vendicarsi della sua crudeltà.
“Via, andate via! Aiuto! Aiuto!”
Frank terrorizzato urlava come un pazzo, con orrore indicibile vide delle ombre muoversi nella discarica, avanzavano verso di lui, era troppo buio per capire cosa fossero, quando riconobbe i grossi ratti era troppo tardi, gli erano già addosso. Ormai le urla di Frank non avevano più nulla di umano, agitava inutilmente le braccia per difendersi dai roditori, ma subito arrivarono i corvi che si avventarono sul suo viso per rubargli gli occhi… ***
Il mattino seguente gli scagnozzi trovarono il loro capo Frank The King accasciato sulla veranda, in mano la boule a neige, gli occhi e la bocca spalancati in un orrore infinito.
Si guardarono l’un l’altro esterrefatti:
“Ma… è morto!”
“Che gli sarà successo, sembra che abbia visto un fantasma!”
“Guardate, ha in mano quella stupida palla che gli ha rifilato quel… come diavolo si chiama… Marcus”. La tolse dalle mani di Frank e la capovolse:
“E’ una semplice palla di neve di vetro, mah! Non ci capisco niente”
“Avrà avuto un infarto, ultimamente mangiava e beveva troppo”.
“Non mi convince, da quando ha visto quel Marcus non è stato più lui”
“Già, è vero, è come se l’avesse stregato. Andiamo a fargli una visitina”.
Giunti sul posto non trovarono né Marcus né il suo negozio.