La luna argentata, vincendo le nuvole, si specchiava nelle acque calme del lago. Lo sguardo di Emma era veloce e noncurante, non notava i dettagli, non percepiva l’incanto. Per lei era soltanto notte.
Camminava a passo veloce persa nei suoi pensieri, lasciava che il paesaggio le scorresse intorno. Era urtata per il compito che i suoi le avevano affidato: anziché andare a festeggiare la serata di Halloween con gli amici, doveva recarsi nella chiesetta subito fuori del paese, aprirla e prepararla per la messa di mezzanotte. Portava un grande fascio di crisantemi rossi con i quali avrebbe decorato l’altare.
Era la chiesetta dei Martiri del Lago. Emma doveva sbrigarsi e fare tutto prima dell’arrivo del sacerdote e dei fedeli. Pensava che una volta sbrigata l’incombenza se la sarebbe svignata: per lei, come per la cugina Pinuccia, quelle cerimonie erano lunghe e noiose. Pinuccia avrebbe dovuto accompagnarla ma come al solito aveva disertato, di lei non ci si poteva proprio fidare. Non aveva saputo rinunciare all’invito della sua nuova fiamma, un cretinetto tutto brufoli che le girava intorno da qualche tempo.
Emma aveva in tasca una torcia elettrica ma non serviva a causa della luce che regalava la luna. Mentre camminava pensava che le storie di Halloween, di streghe e di morti risorti, non fossero nulla in confronto ai racconti delle anziane del posto che si divertivano a mettere paura alle ragazzine. Le tornò in mente un loro racconto: proprio dove c’era la chiesa una volta viveva un tizio, un certo Angelotto, era un misto tra un folle e uno stregone che ammazzava gli incauti passanti avventuratisi intorno alle sue proprietà, e poi li seppelliva nel suo orto. Lo stregone finì con la testa tagliata e per “bonificare” la zona da tanto orrore i paesani costruirono la chiesa. Giravano anche delle voci, strane e forse ancora più assurde: sembrava che quella chiesa non fosse mai stata consacrata e che lo stregone si aggirava ancora nella zona durante le notti di luna piena. Ma Angelotto era morto da tantissimo tempo, a Emma non faceva paura quella leggenda, se aveva paura di qualcuno era soltanto dei vivi. Che assurdità poi era la festa di Halloween, come si potevano abbinare mostri e streghe alla festa di “Tutti i Santi”?
Camminava a passo veloce, lei alle streghe non ci aveva mai creduto ma quei pensieri, il buio e l’aria fredda iniziarono a turbarla. Notò il rumore delle sue scarpe sulla ghiaia del vialetto. Poi si accorse della luna, delle nuvole che volevano soffocarla e della nebbia che iniziava a salire dal lago.
Fuori della chiesa la statua dell’arcangelo in pietra si ergeva imponente, nell’atto di sfoderare la spada e pronto a colpire e, la sua ombra, sembrava ondeggiare con il passare delle nuvole. Non era la prima volta che apriva la chiesa, nella sua famiglia erano tutti sagrestani e le donne facevano la loro parte, eppure si sentiva stranamente inquieta. Estrasse dalla giacca la grande chiave di ferro e la rigirò nella serratura del portone: non si apriva.
Strano, non era mai successo. Posò a terra i crisantemi e andò a spostare un grosso vaso, a fianco del portone, sotto il quale era custodita una copia della chiave. Era buio, la luce della luna che andava e veniva non le permise di vedere e la torcia non si accese. Che diamine! Un po’ scocciata infilò una mano sotto il vaso. La chiave non c’era ma sentì sotto il palmo qualcosa di umido e caldo. La ritrasse subito schifata, era macchiata, la alzò verso il cielo per vedere meglio, colava del liquido rosso scuro e denso, sembrava sangue. Scese di corsa verso la sponda del lago per lavarsi e in quel momento la campana inizio a suonare, un suono lento e ritmato tipico delle messe funebri. Cosa stava succedendo, chi stava suonando, e per chi?
Provò a risalire ma inspiegabilmente le scarpe scivolavano verso l’acqua. Cercò di gridare ma la voce non voleva uscire, e poi chi l’avrebbe sentita? Era in preda al panico, qualcosa la spinse giù verso le acque del lago, con le mani cercava di afferrare il terreno per arrampicarsi, ma quelle affondavano nel fango e le sue dita tracciavano delle lunghe strisce nere. Si sentiva tirare per le gambe, iniziò a bagnarsi. Il contatto dell’acqua fredda la fece trasalire e più affondava le dita nel fango più sentiva l’acqua densa e gelida avvolgerla, in un’onda di terrore. Emma cercava aiuto anche con lo sguardo e, quando la luce della luna illuminò il volto dell’angelo con la spada, si accorse che lui la guardava sorridendo, sorrideva mentre lei affogava.
Intanto Pinuccia alla festa era a disagio, si sentiva in colpa per aver lasciato la cugina da sola così decise di raggiungerla per aiutarla a ripulire la chiesetta. Intorno a lei ragazzi e ragazze ballavano lanciando coriandoli che a lei sembravano fuori luogo, non essendo Carnevale. Ce n’erano mascherati da streghe, da morti viventi con profonde occhiaie nere, altri con denti posticci da vampiro. La chiesa non era lontana dalla balera, mollò gli amici, inforcò la bicicletta del fratello e pedalò verso le sponde del lago; sarebbero tornate insieme alla festa.
Pedalò tra i vicoli e scese fino al vialetto di ghiaia. Non sapeva perché, ma aveva la bocca dello stomaco chiusa come in una morsa, e la gola secca. Quella sera la luna sembrava immensa, splendeva più del solito e le nuvole che la sfioravano erano tinte di una strana sfumatura rossastra. Arrivò di fronte alla piazzola, dove la statua incombeva con la sua aria di sfida, pronta a sconfiggere la cattiveria e il peccato. La chiesetta non era ancora illuminata e Pinuccia iniziò a preoccuparsi.
Fermò la bici davanti al portone e chinando lo sguardo notò un grosso crisantemo che doveva essere caduto alla cugina. La porta della cappella era socchiusa e la chiave era ancora infilata nella serratura.
Si avvicino e chiamò Emma. Intorno e sopra all’altare le candele, sugli esili candelabri, erano accese e illuminavano l’immagine dei santi martiri, dipinti su una splendida pala che faceva da sfondo alla parete. Era un dipinto antico quanto la chiesetta, forse di più, erano tante le persone raffigurate e nessuno ne conosceva i nomi. Si staccò da quell’immagine per tuffare lo sguardo nel rosso dei crisantemi che trionfava in un grande vaso.
Chiamò ancora ma nessuno rispose, lì dentro soltanto il silenzio. Si avvicinò di più all’altare e si ritrovò ancora attratta da quel dipinto: i santi alla luce delle candele sembravano muoversi e sorridere. Pinuccia ebbe paura, per la prima volta paura in una chiesa. Improvvisamente sentì di non essere da sola – Emma dove sei, vieni fuori, lo scherzo è finito. – Incredibilmente dai crisantemi colava un liquido rosso e denso. Lanciò un grido di orrore che riecheggiò e ritornò nelle sue stesse orecchie, aumentando il suo panico. Il sangue gelato nelle vene le diede soltanto la forza di fuggire fuori, la bicicletta non c’era più e l’angelo la fissava ridendo.
Forse successe in un altro tempo, in un’altra dimensione: il sacerdote arrivò alla chiesa con un leggero ritardo, era tutto pronto, i fedeli lo stavano aspettavano seduti nei banchi davanti all’altare illuminato da tante candele rosse. La pace di quella cerimonia riempì il cuore di tutti, anche se qualcuno si chiedeva che fine avessero fatto Emma e Pinuccia. Non c’era neanche la loro bicicletta, di sicuro avevano disertato la messa per andare ad amoreggiare con qualcuno a quella stupida festa.
Alla fine della cerimonia, il sacerdote, come d’abitudine, iniziò a spegnere le candele cerimoniali. Quando arrivò al candelabro di fronte l’altare, dove ardevano le ultime rimaste che emanavano un’incerta luce, l’uomo di chiesa guardò il dipinto dei martiri, com’era solito fare prima di spegnerle. Poco prima di soffiare via le flebili fiammelle gli sembrò di scorgere fissi su di lui gli sguardi evanescenti e pieni di orrore di due fanciulle. Soffiò. Dissolte le piccole lingue di fuoco, si soffermò a pensare alle due figure familiari. Non capiva proprio dove poteva averle viste prima…
– Ma certo che mi sono familiari, sono sempre state lì, è un quadro!-
S’incamminò a passo sicuro verso il portone, uscì, infilò la grossa chiave nella serratura, e chiuse.
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