Luminita la vecchia zingara ottantenne, ormai erano trent’anni che viveva nel campo rom vicino al fiume in  questa città italiana. Non viveva più nella vecchia roulotte ma in un campo allestito dal comune, con baracche e anche con qualche servizio, ma la sporcizia regnava sovrana. La sua vita scorreva sempre con i soliti ideali zingareschi. Si aggirava nel campo con la sua ampia e lunga gonna scura, uno scialle sulle spalle, e nascondeva il sudiciume dei capelli raccogliendoli sulla nuca. Aveva avuto ben otto figli, che ormai vagavano in altre città. Con lei viveva il piccolo nipote Ioan. Sua figlia appena partorito scappò in Francia col suo ragazzo, abbandonando il piccolo, e Luminita dovette occuparsene.

Ioan ormai ha sei anni ed inizia a frequentare la scuola, comincia ad uscire dal campo per intraprendere un’impresa a lui sconosciuta. Un inizio di disagio nell’integrazione​, capisce poco l’italiano, arriva sempre a scuola sporco e in ritardo. I bambini piccoli come lui non badano molto a questo ma le mamme sì, e cominciano  a denunciare il fatto alle autorità competenti. Ci arrivò la segnalazione e iniziammo tutte le ricerche burocratiche, ma quel bimbo non era iscritto in nessuna anagrafe. Venne il momento di intervenire. Quel giorno Ioan non era presente a scuola, era una nebbiosa mattina di novembre e nel campo arrivai scortata da una pattuglia di carabinieri. Tutti gli occupanti del posto si fecero avanti in gruppo, diffidenti e irritati. Mi presentai: “Sono la signora Arianna, assistente sociale del comune”. Ci fu un gran bisbiglio. Nella mia testa intanto balenava la solita cosa, sapevo bene come le mie colleghe di non essere ben vista: avevamo la nomea di portare via i bimbi, ma non è così, noi tuteliamo i bimbi che non hanno colpe di nascere in situazioni di disagio, di sfruttamento e via dicendo. Continuai: “Cerco la famiglia del piccolo Ioan!”, pensavo di trovarmi di fronte una giovane donna, invece si fece avanti la vecchia zingara nera. Mi disse con mille scuse che era lei che se ne occupava. Con insistenza da parte nostra finalmente la vecchia ci condusse nella sua baracca. Lo spettacolo che si presentò ai nostri occhi era disumano, Ioan giaceva febbricitante su una specie di giaciglio in mezzo alla sporcizia totale.
Sotto gli occhi di tutti e di Liminata, che si ribellava urlando, lo portammo via.

Fu affidato in una casa famiglia gestita da suore.
Erano passati diversi mesi, io mi recavo lì spesso per verificare la situazione, Ioan ormai mi conosceva bene,
e piano piano stava recuperando un po’ di dignità. Quel giorno mi accolse Suor Carmela, mi disse: “dopo molte visite mediche è servito mettergli gli occhiali, ora dovremo affrontare le cure dentistiche, ha i dentini in condizioni terribili, quella vecchia zingara che ha il permesso di visita ancora insiste nel portare in regalo dolciumi e arancini di riso!”
Mi fece accomodare nella salettina di attesa, dopo un po’ tornò con Ioan. Ioan mi corse incontro con quegli occhialetti e i capelli corti tutti dritti, sembrava un altro. Uscimmo in giardino giocammo un po’ a pallone, poi stanchi ci sedemmo e gli chiesi: “Ioan sei stato mai al mare, ti piacerebbe andarci ?” Lui mi rispose: “Si ci sono stato, è vicino dalla nonna e facevamo anche i tuffi”, mi resi conto che si riferiva al fiume vicino il campo rom, dove andavano tutti ad inzupparsi. Replicai: “Cosa ti piacerebbe allora come regalo ?” “Una mamma e un papà” mi rispose. Io rimasi un attimo smarrita e gli dissi:”Vedrai che fra pochi giorni arriverà il tuo regalo”. Tra mille difficoltà, cause in tribunale con la nonna e colloqui con il bambino   finalmente eravamo riusciti a dare Ioan in un affido ad una coppia senza figli.

Il giorno dell’incontro arrivammo con la signora Giulia e suo marito Fausto. Suor Carmela ci fece accomodare e poco dopo tornò con Ioan. Gli dissi: “Ioan questo è il tuo regalo”, lui mi abbracciò, in silenzio guardava la coppia e due lacrime gli rigavano il volto sorridente. Seguirono molti incontri con i genitori affidatari e giunse il gran giorno di varcare la soglia della nuova casa, che lo avrebbe ospitato. Le mie visite ormai si fecero sempre meno assidue, sembrava che tutto filasse per il meglio. Un giorno decisi di telefonare alla famiglia che ospitava Ioan per avere notizie. Dopo pochi squilli rispose quella vocina che oramai conoscevo bene: “Pronto!” “Ciao Ioan sono Arianna dove sei?” domanda stupida direte voi, mi rispose: “Sono a casa”, io replicai: “mi passi la signora Giulia?” Sentii la vocina che urlava: “Mamma, mamma c’è Arianna!”

Nel mio cuore un’altra battaglia era stata vinta.