Ascolta anche l’audio-racconto, intrepretato da Nora Godano:

DOMANI

Non riesco a chiudere occhio: domani tocca a noi. Abbiamo aspettato tanto, rinunciato a tutto, affrontato mille difficoltà e superato prove terribili. È in momenti come questi che vorrei tanto poter credere in un dio qualsiasi. Gli chiederei di starci vicino, di venire con noi almeno in quest’ultimo passo, quello definitivo, e di proteggerci. Pronta a perdonargli il fatto che sin qui non è che ci abbia poi dato una gran mano
Perché domani si parte, finalmente; è quello che inseguiamo da mesi. Gli chiederei allora, se credessi in lui, di aiutare me e mia figlia a superare l’ultimo balzo, l’unico che davvero conti: perché a poco servirebbe essere arrivati sin qui se domani si fallisse.
Mia figlia. Lei mi guarda sempre, coi suoi enormi occhi di bimba spalancati. Non capisce, è ovvio, si aggrappa a me con la cieca fiducia che ci unisce. Sa che per lei affronterei ogni belva feroce; sa che il cordone ombelicale che ci unisce e che la levatrice ha tagliato coi denti subito dopo il suo primo respiro, in realtà non s’è mai essiccato. Tutto quello che abbiamo affrontato e che affronteremo, sarà solo la conferma dell’amore enorme che ci lega. Prima che tu nascessi, tesoro mio, non sapevo che si potesse amare in modo così doloroso e prepotente qualcuno che nemmeno esisteva ancora… ma tu esistevi invece, in me e con me. E già ci scambiavamo quei lunghi silenzi che solo noi sappiamo comprendere.
Ora stai dormendo, serena come solo da bambini si può essere, nella tranquilla certezza che qui c’è tua madre a vegliare. Un giorno, se mai usciremo vive da questo incubo, quando ti racconterò tutto questo, tu cercherai nella tua memoria, forse inutilmente, di ritrovare la nostra storia. Chissà se sarò mai capace di trasmetterti tutta l’angoscia, le paure, le fatiche di questa nostra avventura. Chissà se potrai capire quello che abbiamo passato. E forse, sarà meglio così.
Nel buio della notte sento il rumore del mare. Non che riesca a capire bene di cosa si tratti. Me ne hanno parlato, ma non so immaginare cosa possa essere. Là dove sono nata e cresciuta c’era solo terra rossa, riarsa dal sole e poi bruciata del tutto dalla guerra. La sola acqua che conoscevo era quella del pozzo, quando non era secco. Poi, per arrivare sin qui, ho visto luoghi ignoti e strani, senza mai il tempo di fermarci, nascosti come animali inseguiti, braccati da una crudeltà che non riuscirò mai a capire. Tutti mi han detto che l’ultimo ostacolo da superare è questa grandissima distesa d’acqua che si chiama mare. Del suo rumore ne parlano gli altri che con me son pronti ad affrontarlo: qualcuno l’ha visto e lo nomina con paura e rispetto.
A me quel rumore sembra quasi una musica, un canto lontanissimo e confuso, una ninna nanna. Non mi riesce di crederlo pericoloso; ma io non so nulla. Più o meno come te figlia mia, non conosco il mondo verso cui stiamo andando. Dove ci aspetta tuo padre. È stato lui a precederci, partendo ancor prima della tua nascita. Di lui non ho saputo nulla per lungo tempo. Non ti ha mai visto, non sa quanto sei bella, ignora il tuo sorriso. So già, però, che solo a vederti piangerà. Perché ti ama così come ti amo io, ti ha nel cuore ed ha sentito la tua vocina al telefono. Quel prezioso telefono ch’è l’unica cosa che ho portato e che gli permetterà di ritrovarci quando arriveremo a destino. Abbiamo dovuto vendere tutto quello che avevamo, lasciare tutte le persone che amiamo, abbandonare i ricordi di tutta una vita, svuotare il nostro passato. Meno il nostro amore e questo telefono.
Domani attraverseremo questo minaccioso mare e poi, finalmente, figlia mia abbraccerai tuo padre. Voglio crederci. Voglio ignorare le paure ed i racconti terribili che inevitabilmente circolano tra di noi. Ce la dobbiamo fare, io e te. Perché indietro non possiamo tornare: hanno distrutto la speranza lì, nel posto da dove veniamo, hanno distrutto ogni dignità e tu hai diritto ad una possibilità di vita. Tra le maglie con cui t’ho coperto per scongiurare il freddo, sotto il giubbotto di salvataggio, ho messo il telefono, un documento che attesta le tue origini e gli indirizzi che tuo padre ci ha mandato; il tutto rinchiuso in una busta di plastica. Anche se io non dovessi farcela, voglio sperare che al di là di questo misterioso mare esistano persone cui sia rimasto un briciolo di umanità e che quindi ti accolgano e ti aiutino. Non parto per me, ma per te. E penso che non si può negare ad una creatura così piccola il diritto di vivere una speranza. Non dovrebbe essere possibile, se esistesse un dio, appunto. Ma almeno negli esseri umani, qualcosa dovrebbe essere rimasto di questo dio sfuggente.
Domani sarò con te e, se necessario, darò anche la mia vita per te. Perché le madri sono così, ovunque sulla faccia della terra, vivono per i figli. Domani partiremo, per superare il grande mare e ritrovare la vita.

(Pino Chisari, 2016)

L’interpretazione di Giulia Argentieri in occasione di “Letture d’estate”. Accompagnamento del maestro Giuliano Mottola.