Lo studio del mio psichiatra si trovava in via degli Scipioni 135. In quella tarda mattinata di fine luglio del 1985 avevo il mio primo appuntamento con lui. Percorsi il viale alberato e fiorito in preda all’ansia perché non sapevo proprio da che parte cominciare a parlare di me. Quando giunsi al numero civico del palazzo ottocentesco mi resi conto che il portoncino era socchiuso, così lo spinsi ed entrai nell’ingresso dove quasi inciampai in un uomo alto, slanciato, con folti capelli completamente bianchi nonostante l’evidente giovane età. Gli domandai:
“Può dirmi dove posso trovare il dott. Messina?”
“Sono io, può attendere al primo piano”
Così raggiunsi lo studio dove ad accogliermi trovai una segretaria molto eccentrica. Bionda, alta, slanciata, vestita di un tubino bianco che risaltava sull’abbronzatura. Mi disse:
“Buongiorno signora, ha un appuntamento?”
“Si, con il dottor. Messina”
“Si accomodi pure nel suo studio. Il dottore la raggiungerà presto”
Entrai e rimasi colpita dall’ambiente ampio ma molto accogliente. In un angolo, illuminato dalla finestra, c’era una grande scrivania piena di oggetti, libri, quaderni. L’ altro lato era arredato con un divano beige in pelle, uno specchio e tanti quadri di Schile alle pareti. La vetrata dava luce alla poltrona del medico, situata di spalle, e a tutta la stanza. Mi sedetti un po’ a disagio, ma passarono pochi minuti e arrivò il dottore che si accomodò davanti a me. E iniziò senza preamboli :
“Come mai, signora, è qui?”
“Perché non so più chi sono”
“Intanto, come si chiama?”
“Arianna”
“E cosa fa, nella vita?”
“Il problema è proprio questo. Mi sono sposata da qualche anno con Davide che ho conosciuto in famiglia perché è il figlio dei più cari amici di mia madre e mio padre, Gino e Rosa. Frequentandoci ci siamo innamorati e siamo stati insieme per circa dieci anni. Prima di sposarmi ero laureanda in Storia dell’arte alla facoltà di lettere e filosofia di Roma e contavo di laurearmi durante i primi anni del mio matrimonio”.
“E invece?”
“Invece non faccio altro che occuparmi della casa: spolvero, spazzo, lavo, preparo da mangiare. Mi sono calata nel ruolo della casalinga con il risultato che, quando apro un libro non riesco neanche a leggere. Sto male, dottore.”
“Che sintomi ha?”
“Dopo aver lavorato tutto il giorno per casa, mi accascio sulla poltrona del soggiorno e mi sento terribilmente frustrata. Mi viene l’ansia, l’angoscia e tanti brutti pensieri. Non riesco ad uscire da questo ruolo, mi sento come in un labirinto. E’ una sensazione bruttissima. Mi aiuti
“E Davide, che dice?”
“Lui è contento di quello che faccio”
“Lo credo, signora. Comunque io a parte un ansiolitico, non le do altri farmaci. Questo è un problema esistenziale e per guarire deve fare qualcosa per lei. Adesso la saluto. Ci vediamo la prossima settimana”
Il dottore, anche se di poche parole, mi ispirò fiducia. Così uscendo dallo studio pensai a cosa potevo fare per me. Un corso di nuoto? Ma non ero particolarmente sportiva. Un corso di ballo? Ma non mi attirava più di tanto. Così decisi di guardare tra i miei libri, appunti e dispense dell’università. Trovai una tesina su le Muse del Tempio di Rimini. La lessi, mi piacque ancora, e decisi di pubblicarla. Volevo tentare la strada della carta stampata. Così quando andavo a fare la spesa guardavo tutte le edicole alla ricerca di un giornale che facesse per me. Tra i tanti, trovai una rivista che si occupava del tempo libero. Mi misi in contatto con la redazione che mi fissò un appuntamento. Andai al colloquio molto emozionata ma tutto andò bene e poco dopo mi pubblicarono il pezzo. Iniziai così un rapporto di collaborazione con questo giornale e presi a sentirmi più sicura, più capace e più soddisfatta perché ero finalmente fuori dalle mura domestiche e potevo permettermi di socializzare. Alla seduta seguente, con il mio dottore, comunicai queste mie belle sensazioni e lui mi disse:
“E’ solo il primo passo, vada avanti”
Seguii il suo consiglio e presi a collaborare con il giornale a tempo pieno. Il lavoro mi divertiva, mi appassionava e mi consentiva di sentirmi diversa, con una nuova identità. Adesso non avevo proprio più tempo di sprofondare in poltrona a farmi del male. Ma a Davide il mio cambiamento non piacque. Mi teneva il broncio e io ci stavo molto male. Mi dispiaceva che lui non riconoscesse la mia fatica per realizzarmi. Questa situazione di stallo durò circa tre anni. Non sapevo cosa fare, avevo mille dubbi, ma alla fine mi decisi. Andai da un avvocato e chiesi la separazione e la stessa sera consegnai la lettera a Davide. La lesse ed esplose dicendo:
“La separazione? Ma sei impazzita?”
“Credi che io voglia continuare a stare con te, in queste condizioni?”
“E’ colpa tua, ti sei messa troppi grilli per la testa”
“Se avere voglia di lavorare, lo chiami grilli per la testa…”
“Potevi scegliere un occupazione più modesta. Un impegno, cioè, meno gravoso. ”
“Sei forse invidioso, dei miei successi?”
“Ti ha plagiata ben bene il tuo dottorino. Che potevi aspettarti da uno strizzacervelli”
“Io dal dottore sono andata perché stavo male. E voglio guarire. Tu, adesso, non mi sei di nessun aiuto”
“Non ti preoccupare che me ne vado.
Quella sera Davide dormì sul divano e la mattina dopo lo sentii trafficare con le valige per fare ritorno alla casa dei suoi genitori. L’avvocato affidò la casa a me, ma da Davide non volli nulla perché ce la volevo fare con le mie gambe. Ritornai dal dottore e gli dissi della mia scelta. Lui mi rispose:
“Lo sapevo che sarebbe accaduto. Di solito in una coppia quando uno dei due cresce e l’altro resta indietro, il rapporto non regge. Ma adesso lei pensi a realizzarsi con il suo lavoro”
Arrrivò l’autunno del 1988 e per me si aprirono le porte di una redazione femminista. Mi assumevano come redattrice capo. Non stavo nella pelle dalla gioia. Ogni mattina andavo in viale Giulio Cesare dove si trovava il giornale e qui svolgevo il mio lavoro. Si trattava di dare i titoli agli articoli, di scrivere i sommari, le didascalie e di passare poi all’impaginazione collaborando anche con il grafico. Il mio primo lavoro fu un dossier sulle Sante che ebbe molto successo. Mi sentivo molto gratificata. Ero una nuova donna, più forte e più positiva. Naturalmente non mancavano i momenti di crisi in cui mi scoraggiavo. Avevo pur sempre un matrimonio fallito alle spalle e tanti altri problemi, soprattutto di carattere economico. Ma le mie colleghe mi erano sempre vicine. Con loro frequentavo vari gruppi di autocoscienza in via del Governo Vecchio e partecipavo a tutte le manifestazioni femministe del periodo. Così ritrovai piano piano me stessa al grido di: “Io sono mia”