Questo è mio figlio

Bianco.
È tutto bianco. E il nero?
Forza Juve!
Chiellini, Marchisio, Higuain… Buffon in porta…

-La porta… perchè chiudi la porta?
– Stai zitto stronzetto, non fiatare e dammi i soldi. Perché te li ha dati i soldi mammina… vero?

Simone. Mi chiamo Simone. E ho paura.
Non vado più in bagno nella ricreazione, rimango con il bidello… ma lui… lui mi aspetta fuori.

“Fallo su Dybala a pochi centimetri dalla porta, il giocatore avversario è entrato a gamba tesa…”

Fa male quando mi prende a calci, lui…
Ride mentre cerco di non piangere. Io sono Dybala, non piango io.
Mi chiudo. Mi chiudo. Divento invisibile.
Nessuno mi può trovare dentro il mio scudo magico. Neanche la mamma.

-Amore ti ho fatto la cotoletta, mangiala tutta e anche le verdurine che mi stai diventando uno scricciolino.
Che c’è, va tutto bene?
-Si mamma…

No, che non va bene mamma, ho paura!
Volevo dirtelo, giuro, ma lui, lui è più grande di me. Ha tredici anni.
Ha detto che se parlo mi taglia con il coltello.
Io l’ho visto il coltello…
Ma ora nessuno mi può trovare. Sono invisibile.

È tutto bianco qui.
Tranne le mattonelle. Verdi.
Le vedo da vicino. Sono fredde sotto la guancia.
Qualcuno urla: “ Presto! Tirategli fuori la lingua prima che soffochi!”

“Dybala batte il rigore e… GOAL!”
Io sono Dybala.
Peccato mamma che non mi puoi vedere. Sono invisibile.

Dov’ero io?
Me lo chiedo da giorni. Non riesco a darmi pace.
Qui seduta nella sala d’aspetto dell’ospedale stringo fra le mani il tuo giubbotto. Lo porto al naso, lo premo fino a sentirne le fibre entrarmi nelle narici. Quasi a voler assorbire quell’essenza di te che sto perdendo.
Non c’è un posto in questa stanza asettica dove posare lo sguardo.
Non c’è un posto dove il mio cuore possa trovare perdono.
Non c’è giudice che possa assolvere il mio errore.
Vorrei farti tornare nel mio utero, proteggerti da tutto, da tutti. Da lui.
Da quale ventre è uscito?
Come è possibile che un ragazzino sia capace di tanta cattiveria?
Vorrei riuscire a odiarlo. Ma non ci riesco. È me stessa che odio.
Come ho fatto ad essere così cieca, a non vedere?
Finirà la scuola, conoscerà l’amore, avrà una vita, lui. E dimenticherà.
Ma tu?
“Dissociazione da choc psicologico aggravato da crisi epilettiche”
Così lo hanno chiamato.
Non mi interessa, io ti rivoglio!
Voglio il mio bambino.
Questo penso da giorni. Questo penso ora mentre corro appresso a un medico che urla: “Presto, tirategli fuori la lingua prima che soffochi!”
Sono tutti intorno a te, non mi lasciano avvicinare.
Dall’alto vedo il tuo sguardo di bambino puntare lontano. Eppure giurerei che è quello stesso sguardo di quando al campetto facevi goal e venivi a raccogliere i miei complimenti dietro la rete. Ed io, io mi sbracciavo urlando a tutti “Questo è mio figlio!”.