Rinetta aveva un unico desiderio comune a tutte noi adolescenti: una parola regalata per potersi ubriacare d’amore. Ma, mentre tutte le sue coetanee (me compresa) si fidanzavano e discutevano dei loro primi amori, lei era l’unica che non aveva niente da dire e niente da raccontare. I mesi passavano inesorabilmente e Rinetta si sentiva sempre più scialba e sempre più sola. L’unico che sembrava interessarsi a lei era un nanetto buffo (come quelli del circo) che gironzolava nel quartiere e le tendeva delle sordide imboscate nel tentativo alquanto goffo di sedurla, il che non era affatto gratificante, e di certo non contribuiva a farla di sentire una femme fatale. In quella fase di infruttuosa ricerca incontrò colui che sarebbe diventato l’orco.
Era un ragazzo più grande di noi, esteticamente era… brutto, ma sembrava simpatico e gentile, un’altra anima fragile, un’altra nota stonata nell’orchestra. Avvicinò Rinetta con garbo e delicatezza, ma solo per studiarla come una cavia da laboratorio; aveva capito che aveva del potenziale la sua fragile bellezza interiore: un connubio di dolcezza e vulnerabilità, con la solitudine come chiave di volta. Le disse che aveva assoluto bisogno della sua amicizia, per uscire dal tunnel. Si faceva di eroina. Lei, con la vocazione da crocerossina, provava pena per quel ragazzo sbagliato. Le sembrava un soldato ribelle, senza patria e senza gloria, in cerca di una guerra da combattere. Spesso quando andavamo a trovarlo a casa sua trovava il tipico scenario che riproduce chi si è appena fatto una “pera”; l’orco lasciava volontariamente in bella mostra tutte le sue inquietanti attrezzature (siringa, cucchiaio) e veniva ad aprire la porta, non in piedi come fanno le persone normali, ma strisciando come un verme. Con un gioco perverso misto di viltà e prepotenza lavorava per scatenare in lei, forte, un attaccamento basato sul pietismo, facendo leva sui buoni princìpi da cui quella tenera ragazza non poteva né voleva sottrarsi; sapeva che per altruismo e senso di responsabilità non avrebbe mai potuto lasciare una persona che reputava sfortunata in quello stato di abbandono. Io l’ho capito dopo, purtroppo troppo tardi… era una precisa sceneggiatura.
Dopo un po’ infatti disse a Rinetta che l’amicizia non gli bastava più. L’orco elemosinava amore e lei, stupida, meravigliosa altruista, pur sapendo che non non trovarsi al cospetto della sua metà della mela, e con quel pizzico di riluttanza dettato dal sesto senso che aveva fiutato l’inganno, accettò, forse solo per prova. D’altronde non aveva mai avuto un ragazzo… cosa sarebbe potuto succederle!!
E fu allora che quel ragazzo fragile e bisognoso di aiuto, in poco più di un istante, si trasformò nell’orco. La mise in catene, le tarpò le ali, le chiuse la bocca, le offuscò i pensieri, impedendole uscite e amicizie. Era prigioniera di quel cupo amore non amore, che le dava dolore, umiliazioni, amplessi violenti e non voluti. La ragazza già fragile e insicura, vittima degli sberleffi dei compagni, era ormai diventata un fantoccio di pezza, violato nel corpo e nella mente. Il suo viso era spento, i suoi occhi prima avidi di sapere, adesso erano velati e inespressivi, specchio inequivocabile di stralci di una vita triste; sembravano solo implorare di essere lasciati da soli mentre, indisturbati, contemplavano il vuoto. Io ero sicura che Rinetta si vergognasse di ciò che era lei, di ciò che era lui, di quel rapporto insano, della sua esistenza. Di sicuro non era così che avrebbe voluto la sua vita, di sicuro non era così che avrebbe voluto perdere la verginità, senza un briciolo di dolcezza e di amore.
L’orco, che come per incanto aveva smesso di strisciare e di drogarsi, le diceva che era frigida, che non valeva niente, che era l’unico ragazzo al mondo che sopportava di stare con lei. Non la lasciava stare mai, neanche per un attimo, la seguiva dappertutto, alle riunioni a scuola, durante i compiti, persino nei bagni pubblici. Era una schiava sognatrice, prigioniera per colpa di quel desiderio d’amore che non si era mai avverato. Egli esercitava su di lei violenza fisica e psicologica; quando la vedevo con i lividi al collo, sulle braccia, o con un occhio nero io piangevo, in tutte le maniere cercavo di scuoterla, ma i suoi occhi continuavano a guardare il vuoto. E’ facile prevaricare una ragazzina ingenua di 17 anni, buona, remissiva, arrendevole. Talvolta ho desiderato che l’orco morisse, così, all’improvviso, di morte naturale, una fine insipida, nulla, come lo era stata tutta la sua esistenza. Rinetta avrebbe recitato la parte della giovane fidanzatina, vedova inconsolabile, ma in realtà, tra le pareti della sua anima, sarebbe stata felice perché quello sarebbe stato l’unico modo per liberarsi da quella morsa infernale.
L’ultimo giorno di scuola lei ovviamente non si trattenne per la festa; l’ho seguita e prima che uscisse da scuola per l’ultima volta, di forza, l’ho abbracciata stretta sotto gli occhi attenti del suo carceriere aguzzino, tronfio grazie al potere di quel possesso che mascherava da amore malato. L’ho implorata di volersi bene, di aver cura di se stessa… mi sarei aspettata uno sguardo perso e una risposta da fantoccio invece mi guardò dritta negli occhi con una luce che non le vedevo da tempo e mi sussurrò di non preoccuparti, che un giorno un cavaliere col cavallo bianco l’avrebbe salvata… togliendola da quel martirio.
La scuola è finita da tanti anni ed io non ho più avuto notizie di lei, nonostante l’abbia cercata più e più volte… sino a poco tempo fa, quando ho ricevuto quell’assurda telefonata.