Se ben ricordate all’inizio della storia vi avevo parlato della mia migliore amica che avevo un pò accantonato perché era subentrata Rinetta. In realtà ogni tanto tutte e tre ci frequentavamo. A me e Rinetta piaceva andare a casa sua.

Non eravamo abituate a quella famiglia ristretta e composta, differente dal marasma di fratelli, nipoti e cognate che dovevamo sopportare noi. Maria Vittoria era una ragazzona alta, dalla corporatura massiccia; assomigliava tanto a suo papà che faceva il carabiniere e che rispecchiava in pieno il prototipo delle barzellette. Sua mamma invece si era messa in testa che Maria Vittoria dovesse diventare perfetta e snella, per cui, aiutata da una vicina di casa che sembrava più una fattucchiera che un’estetista, sottoponeva quotidianamente la poverina a tutta una serie di torture estetiche con, a parer mio, scarsissimi risultati.

Maria Vittoria era tanto corpulenta quanto buona ed ingenua. Aveva un solo difetto…  la sua vicina di casa, appunto.

La perfida signora Bassi (alias l’estetista/fattucchiera) era tonda come una ciambella (facevi prima a saltarci sopra che a girarci intorno), con capelli tinti di un insulso color rosso carota e rossetto vagamente abbinato. Non so se con la “maturità” avesse sviluppato la sensibilità di un elefante o se, più semplicemente come sostiene il mitico De Andrè in una sua canzone, a causa della sua bassa statura il cuore era un po’ troppo vicino al buco del didietro per poter apprezzare la differenza tra l’uno e l’altro… ma qualunque fosse la ragione, si divertiva ad umiliare Rinetta, appallottolandone l’ autostima come se fosse carta straccia.

Con la flebile scusante di spronarla a curare di più la sua persona continuava a ripeterle che era brutta, che non avrebbe mai trovato un fidanzato, che io e Maria Vittoria eravamo belle e lei era brutta. Brutta all’infinito. Brutta senza speranza. Brutta per sempre.

Rinetta, ormai avvezza alle vessazioni, la guardava con un’espressione inebetita, lasciando che le parole le scivolassero addosso. Invece io ero furibonda. Avevo un unico desiderio: spegnerla,  semplicemente… con un gesto, come si fa con la radio. Ma non aveva né interruttori né prese elettriche la signora Bassi: per farla stare zitta avrei potuto solo sopprimerla.

In quel periodo Rinetta leggeva tantissimo. Nell’ingenuità dell’adolescenza era affascinata dalla teoria di Platone secondo la quale ognuno di noi è come una mela tagliata a metà. Da qualche parte nell’universo esiste la nostra metà della mela. Se la troviamo e ci ricongiungiamo ad essa, i bordi combaciano perfettamente come pezzi di un puzzle e noi, finalmente incastrati con la nostra unica metà, diventeremo completi e raggiungeremo un grado di felicità che niente e nessuno potrà scalfire.

Fu così che, per dare una lezione alla stupida signora Bassi, Rinetta decise di mettersi alla ricerca disperata della sua metà della mela.