Ottobre, le sei di mattina. Le prime luci dell’alba illuminano la nebbia che indugia sulle pendici dell’Appennino, quasi incerta se sollevarsi o sfidare i raggi del sole. Un falco compie ampi cerchi nel cielo ancora blu scuro, attento a spiare i movimenti pigri dei piccoli animali che si sono appena svegliati e fanno capolino alla ricerca del cibo.
Fra sale lo scosceso sentiero che lo porterà nel bosco, il suo bosco, quello dove quasi solo lui va a cercare i funghi. Perché su questi monti andare per funghi non è fare una passeggiata su terreni pianeggianti o lievi declivi, ma arrampicarsi su pendii scoscesi dove il bastone serve più spesso come incastro tra gli alberi, per sostenersi e appendersi, piuttosto che per scostare le frasche.
Qui i funghi si devono vedere da lontano, prima di decidere se affrontare la scalata di un profondo canalone che scende e sale ripido come le rughe sul volto di un vecchio. In questi posti bisogna crederci, altrimenti non ci provi neanche, ti compri il tesserino e vai in Piemonte. O al mercato.
Fra ci credeva, ci aveva sempre creduto da quando aveva cominciato a scarpinare su quei monti brulli, dove i castagni si accompagnavano al nocciolo e alla rovere, dove un’uscita si concludeva sempre con dei graffi di rovo, e infatti ci andavi con la maglia alla rovescia, per non tirare i fili, e gli scarponi con i calzettoni lunghi arrotolati sopra i jeans, alla montanara, perché sotto ogni pietra poteva esserci una vipera, e non era detto che tutte se la filassero silenziosamente in tempo, tanto più che Fra sapeva muoversi silenzioso come un’ombra, per non rivelare la sua posizione ad altri cercatori, ammesso che ce ne fossero.

Sorrise tra sé a quel pensiero: chi poteva essere tanto matto da inerpicarsi fin lì nella nebbia, in un giorno feriale, alle sei del mattino? Eppure era così che doveva fare, se voleva trovare qualcosa: i raggi del sole avrebbero trasformato il bosco in un caleidoscopio di luci ed ombre, e sarebbe stato impossibile avvistare i funghi a metri di distanza. Come al solito i fungaioli della domenica sarebbero partiti quando lui già rientrava, fresco e con il cestino pieno, o quasi, perché non era che i suoi sforzi venissero sempre ripagati.

Con questi pensieri arriva di fronte alla parete rocciosa che si alza quasi picco. Il sentiero continua costeggiandola su uno strapiombo di qualche decina di metri che ogni anno mieteva delle vittime, escursionisti disattenti. Poco a destra inizia una ferrata che percorre le vette di quei monti di nuda roccia. Più a destra ancora c’è il sentiero che porta al bosco e che ritornava indietro, intorno al monte, sulla pendice esposta a nord.
Fra ci si infila senza esitare, dopo aver dato un’occhiata intorno per accertarsi di non essere visto, e subito le foglie bagnate gli lasciano strisce d’acqua sulla cerata mimetica che indossava. Poco male, se la porta apposta. Continua a scendere per una decina di minuti, sdegnando il bosco più facile, dove il sentiero si manteneva percorribile anche ai bambini, finché non giunge ad una piccola spianata, dove la rada erba cerca di rubare spazio alla roccia. Lì si ferma un istante a guardare dell’altra parte della vallata, un monte ricoperto di bosco come quello su cui si trova l’antico castello parzialmente in rovina che una volta presidiava la via del sale. È quasi un omaggio a quei luoghi, e quella è la cosa più vicina ad una preghiera che Fra sa. fare.

Si infila quindi con decisione nel sottobosco alla sua destra, abbandonando il sentiero che scendeverso il fondovalle. In questo modo si trova ad affrontare di traverso i ripidi canaloni che scendono dalla cima. Adesso si muove con meno cautela, sa che nessuno l’avrebbe seguito fin lì e preferisce mettere sull’avviso i cinghiali prima di finire su qualche famigliola. Le femmine potevano essere irascibili se spaventate, lo sa bene, ma se ne vanno silenziosamente con i piccoli se solo ne hanno il tempo. È tutta questione di conoscere le rispettive esigenze, si dice, almeno fino all’apertura della caccia.
Ormai è giunto nel proprio terreno di caccia, o meglio, di ricerca, visto che lui non ha mai preso in mano un fucile in vita sua. Adesso si tratta di scendere su di un versante del canalone e risalire dall’altro, stando attento ad intravedere i funghi che possono crescere sui bordi scoscesi. Lui li conosce bene: neri, duri come una pietra, quasi mai mangiati dalle lumache.
Di negativo in quei posti c’era che difficilmente le fungaie si mantenevano da un anno all’altro, ma comunque il modo di crescere, di spuntare tra le foglie secche, era caratteristico, e una volta che uno sapeva riconoscerlo non ci metteva molto ad individuare i preziosi porcini, a volte anche da un cumulo di foglie che si alzava in modo innaturale.

Esperto della zona ed abituato a distinguere i funghi dalle foglie, Fra comincia quasi subito ad avere quella sensazione di benessere imminente che di solito si accompagna ad una buona giornata, perché a lui i funghi piace più raccoglierli che mangiarli.
Ma ecco: dall’altra parte del canalone che ha appena iniziato a scendere si vede nitidamente un grosso fungo con la cappella completamente aperta. Non è giovane, ma sembra in buono stato e di solito vicino a quel genere di funghi se ne trovano altri più piccoli, buoni da mettere sott’olio.
Con l’emozione del ragazzino, che in certi momenti tutti si ritorna ragazzi, Fra scende la costa del canalone, aiutandosi con il bastone che incastra orizzontalmente tra i rami. Pochi passi ancora ed è arrivato in fondo, poi la risalita sarebbe stata più facile.

CRAC!

Con un rumore secco il bastone si spezza in due, lasciandolo improvvisamente senza appoggio. D’istinto Fra cerca di aggrapparsi ad uno dei rami dei giovani castani che crescono sul bordo, ma nessuno è abbastanza vicino o  robusto da sostenerlo, e si trova a ruzzolare verso il fondo del canalone e poi a valle.
D’istinto si rannicchia e portò le mani a protezione della testa, aspettando di fermarsi, ma in quel punto la discesa è ripida e costante. Dopo alcuni interminabili secondi Fra alzs il viso per cercare di capire dove si trova, ma si vede venire incontro una grossa roccia a tutta velocità, o forse è lui che gli precipita addosso, poi il buio.

«Ehi, ehi! Sveglia!».
«Lina, lascialo perdere, deve avere battuto la testa, forse è morto».
«Non mi sembra, non ha segni di fratture, vedi? È una ferita superficiale!».
«Va bene, ma non sappiamo neanche chi è!».
«È un uomo svenuto, Louis, dobbiamo soccorrerlo!».
L’uomo che ha parlato si avvicina a Fra, lo volta e lo perquisisce sommariamente.
«Non è armato» osserva.
«Vedi? Se fosse stato un militare almeno una pistola l’avrebbe avuta».
«Potrebbe averla persa nella caduta…».
La donna lo guarda con aria scettica, come a dire: E quando mai?
«Va bene, va bene, non è armato» concede l’uomo «ma questi vestiti? Hai mai visto un abbigliamento del genere?».
«Potrebbe essere un infiltrato americano» dice un altro componente del gruppo, un ragazzo che dimostra si è no diciott’anni.
«In questi boschi? E cosa c’è venuto a fare?»-
In quel momento Fra apre gli occhi e si guarda intorno, spaesato.
«Cosa… Dove sono?».
«Visto?» ride l’uomo chiamato Louis, «il vostro americano ha una bella cadenza!».
Ma Lina si è già chinata su di lui e lo fa bere dalla borraccia che ha tirato fuori dal borsone che porta a tracolla.
Fra ne trangugia alcuni sorsi, riconoscente, poi la vista gli si schiarisce e guarda sbalordito le persone che lo stanno aiutando.
Si tratta di un gruppo di una decina di persone, quasi tutti uomini, vestiti con giacconi pesanti e calzoni di velluto. Molti calzano un passamontagna, avvolto sulla testa a mo’ di cappello. Tutti sono armati, chi con dei mitra, chi semplicemente di moschetto o pistola.
Si tira a sedere e prova ad alzarsi in piedi, ma un violento capogiro lo ricaccia giù.
«Buono, buono, hai battuto la testa. Per dura che sia hai bisogno di tempo per riprenderti».
È stata la donna a parlare.
«Ma io… ma voi… chi siete?» chiede lui, sgomento.
«Benvenuto nella terza brigata Garibaldi!» esclama il ragazzo, con aria seria.
«Terza Brigata? Ma io…».
«Si, vabbè» taglia corto Louis «siamo solo un gruppetto che si è staccato per via di uno scontro con i tedeschi e ora cerchiamo di raggiungere gli altri».
«I tedeschi?».
«Sì, in questa zona c’è un contingente nazista, oltre ai repubblichini. Per questo dobbiamo sbrigarci a togliere le tende! Ma tu non sei un militare, vero?».
Fra scuote la testa: «No, io non…».
«Lo immaginavo: troppo vecchio per essere un militare, e non sei neanche uno dei nostri… Cosa ci facevi nel bosco?».
«Io… cercavo dei funghi…».
«Funghi?» Louis ripete la parola ad alta voce, ridendo, e il resto del gruppo si unisce a lui. Si vede che è il leader.
«Devi essere proprio matto per venire a cercare funghi di questi tempi!».
Fra non sa cosa rispondere e resta in silenzio. Per lui risponde la donna che l’ha soccorso per prima.
«Louis… la fame…».
L’uomo rimase un attimo interdetto, poi accenna di sì con il capo.
«Già, deve essere duro vivere su questi monti… Ragazzi, abbiamo qualcosa da lasciargli?».
Un uomo con una incolta barba rossa si fa avanti e porge un involucro di stracci.
«Un pezzo di formaggio, capo».
Louis lo prende e lo offre al ferito.
«Tieni, non è molto ma è meglio di niente. Vai per la tua strada, non seguirci, conciato come sei ci saresti solo di peso».
E detto questo si mette il fucile in spalla e fa cenno al gruppo di rimettersi in movimento.
Fra li guarda allontanarsi e sparire rapidamente nella nebbia. Tra le mani gli è rimasto il fagotto di stracci. Lo aprìe e vide che contiene una mezza formaggetta. Ne sbocconcella alcuni pezzetti e se li mette in bocca: hanno un sapore forte, quasi di muffa, ma è buona.
D’improvviso il silenzio del bosco è rotto da crepitio di colpi di arma da fuoco, dapprima isolati, seguiti poi da raffiche di mitra, in un crescendo d’inferno. Poi di nuovo il silenzio, assoluto. Si possono sentire strisciare i piccoli animali del bosco.
Passano minuti, forse ore. Fra ha perso la cognizione del tempo. Il cellulare si è scaricato, ma il sole non è riuscito a vincere la nebbia, che adesso si èdiffusa a strati nel bosco, ovattando ancora di più i suoni. Deve alzarsi, ne è cosciente, ma come prova a tirarsi su dei violenti capogiri uniti a conati di vomito lo costringono nuovamente a sedere. Ha battuto la testa, forse ha una commozione cerebrale, forse…
La stanchezza alla fine ha il sopravvento, e si lascia andare ad un sonno agitato.

Si risveglia che è ancora chiaro. Adesso sta meglio. Quanto ha dormito? Difficile dirlo, ma ormai deve essere pomeriggio. Si rialza con cautela, ma a parte un forte mal di testa la nausea sembra sparita. Taci che forse me la cavo anche stavolta, pensa, sollevato. Come è in piedi si guarda intorno: quella parte del bosco non la conosce, ma sa che in quei monti si può sparire (non è difficile: basta cadere in un canalone come ha fatto lui e rimanere coperto dalle foglie) ma è impossibile perdersi: basta scendere fino a valle e si sarebbe arrivati sulla strada provinciale, magari con il torrente da attraversare, ma non sarebbe stato un problema. Oppure risalire fino all’inizio della pendice rocciosa e poi proseguire orizzontalmente sino a ritrovare uno dei tanti sentieri che portano fuori. Decide per la seconda alternativa: sarebbe stato più faticoso ma avrebbe abbreviato di molto il percorso per tornare a casa, e poi da fondovalle come avrebbe raggiunto il paese? A quell’ora l’ultima corriera doveva già essere passata, e avrebbe dovuto ricorrere all’autostop o fare dieci chilometri di salita a piedi. Non se la sentiva proprio, non quel giorno.

Memore della caduta. Fra comincia ad affrontare il canalone con prudenza. Risalendo in verticale la salita a volte prendeva l’aspetto di una vera e propria scalata, ma reggendosi ai numerosi alberi non è poi così difficile, e i muscoli scaldandosi gli danno una piacevole sensazione di attività.
Probabilmente è questo che significa sentirsi vivo, pensa, e gli scappa un mezzo sorriso, che in quelle circostanze è più del massimo a cui è abituato. Presto comincia a vedere rettangoli di cielo, segno che la nebbia staziona più in basso, e questo contribusce ulteriormente a tirarlo su di morale. Se magari anche il falco che aveva visto la mattina fosse venuto a fargli compagnia, si dice, in una scommessa con se stesso.

Il senso di leggerezza che l’ha pervaso per poco non è la causa di un’altra caduta: il ramo d’albero a cui si è aggrappato senza saggiarne la consistenza comincia a cedere, ma stavolta lui è pronto e si lancia ad abbracciare il tronco di un vecchio castagno, lasciandosi poi scivolare a terra per riprendere fiato. Maledizione, deve stare più attento! Ma cosa gli succedeva? Non era mai caduto due volte in un giorno!
Qualcosa di duro su cui è appoggiato gli fa male alla coscia. Fra cerca di spostarsi, ma lo spazio è poco, così tenta di tirare via da sotto di sè il ramo che lo punge.
Non era un ramo: sotto le dita Fra sente il freddo del metallo. Tira con forza e vede apparire tra le foglie la canna brunita di un fucile, poi il legno del manico.
Spaventato si alza in piedi e si aiuta con le gambe per estrarre del tutto l’arma. Qualcosa sembra trattenerla, come se fosse incastrata. Si appoggia al tronco e tira con tutte le sue forze, e finalmente la resistenza cede: il fucile viene fuori di colpo, seguito da un cinghia di cuoio a cui è attaccato un braccio, in parte mummificato e in parte ridotto a scheletro.

Al funerale non sono presenti molte persone. È giovedì, e poi sono passati tanti anni, troppi. C’è il prete, naturalmente, alcuni parenti che non li hanno mai conosciuti, il sindaco del paese con la fascia tricolore, due anziani rappresentanti dell’ANPI con la bandiera dell’associazione che reca in cima all’asta un nastro nero. Fra osserva tutto senza parlare, in parte ancora sotto shock dal ritrovamento e in parte stupito di trovarsi al centro dell’attenzione.
«Luigi Bernardeschi, detto Louis, Angelina Velletri detta Lina, Roberto Murri…».
Il prete snocciola l’elenco dei cadaveri ritrovati nel canalone. Erano stati sepolti affrettatamente, sotto pochi centimetri di terra, ma qualche frana doveva averli preservati in parte degli attacchi degli animali, così i corpi avevano mantenuto una parvenza di consistenza ed era stato possibile identificarli con un certa sicurezza.
«Preghiamo per questi confratelli che facevano parte della terza Brigata Garibaldi e che la violenza della guerra ha portato via nel fiore degli anni…».
, pensa Fra, e se non fossero caduti nell’imboscata dei nazisti si sarebbero congiunti al resto della Brigata e sarebbero morti fucilati alla Benedicta con le mitragliatrici, come i loro compagni.

Quanta ipocrisia! Un pensiero gli attraversa la mente, mentre torna a casa: forse avevano incontrato i tedeschi proprio perché si erano fermati per aiutarlo! Ricaccia indietro quell’idea assurda: ha battuto la testa e si è sognato tutto, ecco cos’era successo. Come poteva essere altrimenti? E il ritrovamento,,, quello non aveva risposta, ma in fin dei conti poteva succedere, era solo una coincidenza, doveva esserlo.
Aprì la porta e il gatto gli viene incontro, protestando per la sua assenza. Fra lo accarezza ed apre il frigo per dargli una scatoletta che era in parte avanzata e un poco di latte.
Fu allora che nota l’involto. È una specie di fagotto di stracci sporchi. Lo prende in mano, ignorando i miagolii e l’avvicina al volto. Puzza di muffa e di terra. Lo apre con mani tremanti e lo posa sul tavolo, fissando inebetito la mezza formaggetta confezionata a mano.