Il SOCCOMBENTE, DI THOMAS BERNHARD Non è facile essere Glenn Gould – tutto quel genio, quella carica di manie e perfezione – ma è ancora peggio NON essere Glenn Gould. Soprattutto se suoni il pianoforte, e pensi di valere qualcosa. Solo il “valore” dà un significato all’esistenza, e nel momento in cui decade, diventa difficile andare avanti. Il protagonista del Soccombente è proprio lui – l’uomo al di sopra della media, con qualche talento, che però ha la sfortuna di incontrare un fenomeno. Da quel giorno la sua sorte è segnata.

Leggendo questo libro mi è capitato di pensare a Zico, che giocava a calcio negli anni di Platini e Maradona. O a Max Biaggi, incappato nelle pieghe di Valentino Rossi. Ma potrei continuare all’infinito. Come diceva George Steiner – che significato ha essere un poeta, quando sei un contemporaneo di Dante? Di sicuro non ha un bel sapore. E nessuno meglio di Bernhard può catturare quel dolore, che presto sconfina nella follia.

Forse ognuno di noi ha il suo Glenn Gould. Quello che incarna il nostro senso di inferiorità, di inadeguatezza, come un demone che ci schiaccia al suolo. Vogliamo una donna, e lei cade ai piedi di un altro. Inseguiamo i soldi, e c’è chi ne ha per miliardi. Abbiamo un talento, eppure non basta, perché qualcuno è su un altro pianeta. Come ha scritto Calasso, il tema di questo libro è non riuscire a essere. Intuiamo l’esistenza di Dio, e soprattutto del Paradiso – è realmente questo, quello che ci interessa – ma purtroppo no, non è per noi. E allora stiamo male. Ecco la pena dei dannati: non tanto le fiamme o il garrote, ma il fatto di stare qui, sulla terra, e vedere lassù le anime dell’Empireo. Questo è molto peggio di qualsiasi Inferno. Solo Glenn Gould è nella luce di Dio.