Vi è mai capitato di camminare con la testa nelle nuvole, pensando ai fatti vostri e senza badare a quello che avviene intorno a voi? No? Beh, a me invece accade spesso, e sono i miei momenti migliori perché invece di badare a quello che fa la gente mi metto ad osservare le mille piccole meraviglie che incontro ad ogni passo e… wow! Credetemi, ne vale davvero la pena!
L’altro giorno, per esempio, camminavo lungo l’argine del canale, quello che attraversa la nostra città da una parte all’altra come la spina di un pesce, ed osservavo le libellule danzare sull’acqua stagnante come minuscole fate ballerine, vestite di meravigliosi abiti iridescenti.
Ero perso in quella visione, quando mi sono imbattuto nel vecchio pittore. Non è che lo conoscessi, ma ogni angolo di questo mondo meraviglioso ha un vecchio pittore che lo dipinge, con il suo cavalletto di legno e la scatola dei colori aperta per terra, un po’ disordinata. Sulle sue tele c’è sempre un paesaggio, e non importa se è rassomigliante o meno, se il tratto è sicuro o incerto: il paesaggio è proprio quello raffigurato.
Mi avvicinai in silenzio per non disturbare, ed h osservai a lungo le case sul lungo fiume prendere forma una dopo l’altra, le nuvole riempire il cielo fino a farsi minacciose, la piccola barca ancorata più avanti, immobile.
Quando finalmente il pittore posò il pennello e decise di concedersi qualche momento di riposo, sedendosi su un muretto lì vicino per completare la sua opera, mi permisi di farmi avanti.
«Bel quadro» osservai.
Lui si voltò verso di me, cosicchè potei vedere i suoi limpidi occhi azzurri, un riflesso di cielo.
«Le piace?» mi chiese.
«Sì» risposi onestamente «è proprio come deve essere».
«I quadri sono sempre come devono essere, perché rappresentano la realtà».
«Certo» acconsentii «i quadri sono la realtà».
«Vedo che lei mi capisce» disse il vecchio con un sorriso.
«Credo di sì».
Restammo a lungo a contemplare il paesaggio, quello sul quadro e quello reale, e sempre di più l’uno compenetrava l’altro.
«Beh, adesso è tempo di continuare» disse il pittore alzandosi «desidera che aggiunga qualcosa?».
«In effetti» ammisi « mi piacerebbe che là in fondo, oltre quella casa rossa, ci fosse un piccolo giardino con delle panchine e una fontanella. E magari dei bambini che giocano, mi piacciono le grida dei bambini».
«Presto fatto» disse lui, e con poche sapienti pennellate tracciò sulla tela quello che gli avevo chiesto. Guardai il quadro e nello stesso tempo il giardino che ora era apparso.
«Grazie» dissi.
«Non c’è di che» rispose «creare la realtà è il mio lavoro, e non esiste realtà se nessuno la vede».
Concordai con lui con un cenno del capo, e subito mi venne il desiderio di andare a sedermi su quella panchina. Feci per muovermi, poi ci ripensai e mi voltai verso di lui.
«Sì?» mi chiese, capendo che volevo chiedergli ancora qualcosa.
«Mi perdoni» dissi «ma quelle nuvole così scure… non è che tra poco verrà a piovere?».
Lui guardò il dipinto, il cielo, e accennò vigorosamente di sì».
«Ha proprio riagone!» fece «tra l’altro vedo che mi tolgono troppa luce!» e cancellò buona parte delle nubi dal cielo, che ritornò quasi tutto azzurro.
«Quelle là in fondo le lascio per dare profondità alla scena» spiegò.
«Naturalmente» risposi «grazie».
E mi incamminai per la mia strada.
Il vecchio intanto aveva ripreso a dipingere per completare il suo quadro, e camminando vidi comparire davanti a me alberi e case che non erano state ancora aggiunte alla sua tela. Notai tutto questo perché avevo potuto confrontare quello che c’era prima con quello che vedevo ora, ovviamente, perché altrimenti non averei notato il divenire della natura, ma era proprio questo che dicevo all’inizio: se non camminate con la testa nelle nuvole ma sempre guardando per terra, come fate a vedere quello che è oltre il vostro naso?