A Pietro doleva assai la schiena e quella breve passeggiata nel compiere il tragitto dalla sua camera alla sala da pranzo era stato un continuo appoggiarsi al bastone badando di avere sempre un solido appiglio a portata di mano.

“Come va, Pietro? Fare due passi ti fa bene, dai.”

Era Martina, l’ inserviente più simpatica, quella che aveva sempre un sorriso da regalarti.

“Vuoi che ti aiuti a sedere? Mettiti vicino a Gilberto così potrete chiacchierare un po’ ”

Ma che! Quell’odioso d’un Gilberto che credeva d’essere Rodolfo Valentino e faceva lo scemo con tutte… non lo sopportava proprio.

Così si sedette da solo il più lontano possibile da lui, a guardare quelle nubi gravide di pioggia laggiù. L’inverno ormai incombeva e se lo sentiva dentro.

Quella mattina se n’era andato Giovanni dopo sei mesi di sofferenze a letto. I suoi lamenti echeggiavano ancora per i corridoi… e nelle sue orecchie.

Era stato un interminabile incubo di dolore e d’impotenza anche per lui che aveva la camera accanto ed ora si sentiva spossato, non sollevato come egoisticamente avrebbe forse voluto.

Erano le 17:45 e mancava un po’ all’ora di cena.

Così infatti segnava l’orologio a pendolo posto in fondo alla sala che, con il suo ipnotico oscillare, sembrava volesse invitare tutti a riflettere sull’inesorabilità del tempo che passa.

Ma il ticchettio del meccanismo non riusciva a coprire quell’eco, quel lamento che aveva ormai conficcato in testa.

“Perché”, si chiedeva, “il destino, o chi per lui, si accanisce in modo così crudele su esseri fragili ed indifesi? Non sarebbe stato meglio se pietosamente per tutti ci fosse stato un modo meno doloroso per andarsene via?”

Guardò di nuovo fuori cercando qualcosa che lo distraesse un po’ da quei cupi pensieri.

Ma niente da fare…

La zona era isolata e ‘Villa Quiete’ completamente immersa tra gli alberi e nel silenzio.

Solo l’ autostrada, laggiù lontano, carica di vita impazzita, percorsa da esistenze dirette chissà dove e perché, si snodava serpeggiando tra le macchie ocra, rosse, gialle degli alberi d’autunno.

Una zaffata di vento strappò alcune foglie dai rami e, con un imprevedibile mulinello, le sollevò su, su, su verso le nuvole.

“Sarebbe bello” pensò “andarsene così, imprevedibilmente, con eleganza e leggerezza, volarsene lassù.”

Ma ecco che un vocìo lo strappò ai suoi pensieri: era servita in tavola la cena.

Mangiò con gusto quelle polpette che sembravano proprio quelle che cucinava sua moglie ogni lunedì con gli avanzi della domenica.

Che brontolamenti da lui e figli e che noia erano, allora, quelle maledette, rituali e spartane polpette!

Eppure adesso, sull’onda dei ricordi, gli sembrarono così buone che ne riprese ancora e quel senso di grande sazietà che ne ebbe lo fece sentire almeno un po’ rappacificato col destino.

Fuori, il vento strappava e giocava ancora con le foglie.

Più tardi, a letto, Pietro sognò di essere foglia, di volare lontano lassù e sorrise .

E con quel sorriso lo ritrovarono al mattino.

 

 

Foto web  ( Magritte?)