Era stato un attore di successo Ernesto tempo addietro, ora però la memoria l’aveva un po’ abbandonato, faceva fatica a ricordare le battute, i registi si irritavano, e non lo chiamavano più. Ogni giorno il vecchio attore entrava in teatro durante le prove e stava lì, fermo, ad ascoltare altri attori recitare le parti che un tempo furono sue. Il palcoscenico era la sua vita, non riusciva a starne lontano. Inoltre, aveva bisogno di distrarsi per non pensare al figlio. Che delusione quel ragazzo, dopo la morte della madre se n’era andato sbattendo la porta, si faceva vedere saltuariamente solo per chiedere soldi.

Un giovane attore stava provando un  monologo quella mattina, il regista lo interrompeva continuamente, non gli piaceva la recitazione, era molto nervoso.

Ernesto restò folgorato da quel monologo, era suo, doveva essere suo! Si precipitò dal regista:

“Sergio, non vedi che quello è un ragazzo? Non può interpretare la parte di un anziano, ti prego dammi una chance, fallo recitare a me.”

Il regista per toglierselo dai piedi rispose di sì… restò imbambolato a guardare il vecchio Ernesto recitare il monologo con una naturalezza disarmante. Gli assegnò la parte.

Doveva interpretare un vecchio sulla sedia a rotelle, aveva pochissime battute da dire durante tutta la rappresentazione, il monologo era l’ultimo atto che chiudeva la trama.

La sera della prima, tutto stava andando alla perfezione, il dramma piaceva, stava riscuotendo molti applausi a scena aperta. Ecco, era giunto il momento del pezzo finale: il monologo.

Ernesto spinse la sedia a rotelle fino ad un tavolino posto in mezzo al palcoscenico, con gesti lenti prese dal cassetto carta e penna e iniziò il suo monologo:

“Quando leggerai questa lettera io sarò già morto. Mi resta poco tempo ed ho alcune cose da dirti. Hai sempre saputo di essere un figlio adottivo, sai anche che ti abbiamo amato con tutta l’anima, eri il nostro Angelo, infatti è il nome che ti abbiamo dato. Avevamo, io e la mia Giulia, tanti progetti per te. Ma… sei cresciuto, volevi conoscere la tua vera madre, noi ti dicevamo che era morta, tu non ci credevi, ci accusavi di essere bugiardi ed egoisti, sei arrivato ad odiarci. Hai cominciato a star fuori la notte, a frequentare cattive compagnie, poi la droga, l’alcool, qualche notte in prigione. 
Abbiamo sopportato tutto per amor tuo, tu ci hai ricambiati coi maltrattamenti.

Quante volte ti ho visto, ubriaco e strafatto, alzare le mani sulla mia Giulia, mentre io gridavo impotente, già costretto sulla sedia a rotelle.
La mia adorata moglie è morta di crepacuore a causa tua, non ti perdonerò mai! Sono certo che alla mia morte vorrai vedere cosa ti ho lasciato… bene, ho deciso: erediterai la verità!
La tua vera madre era viva, sì, ti amava così tanto che ti ha chiuso in un sacchetto di plastica e gettato nel cassonetto dei rifiuti! Come potevamo rivelarti una cosa simile? Ora lo capirai finalmente e spero che ti faccia tanto tanto male.
Sei stato, sei e sarai sempre un “rifiuto della società”.
Addio”.

Il pubblico in sala aveva ascoltato trattenendo il fiato, la tensione era palpabile.

A quel punto Ernesto completò la sua parte: si versò un bicchiere d’acqua e ingoiò un paio di pastiglie, come da copione.
Mentre si accasciava lentamente sul tavolo, il sipario si chiudeva.
Applausi scroscianti, “bravo” “bis”, il sipario si riapre ma…
Ernesto è ancora lì, con le braccia e la testa appoggiate al tavolo, si è addormentato per sempre e l’ha fatto da grande attore quale era: sul palcoscenico!