SINGOLE ESPERIENZE
Nell’Hotel Zeta non c’erano computer e questo, all’inizio, aveva causato una specie di scompenso esistenziale in Amaranta, che non essendo una esteta della natura si era sentita confinata in uno spazio alieno, catapultata su un altro pianeta. Prigioniera dell’intrico amazzonico di quell’Eden primordiale, avrebbe trasformato, secondo la sua indole, in racconto drammatico questa sua sconcertante esperienza.
Eli Joe, anche lei di primo impatto aveva preso male la mancanza dei cavetti e delle connessioni, ma dopo una minuziosa esplorazione che l’aveva confermata nella certezza che la Rete in Nuevo Eldorado era ancora secoli a divenire, aveva in virtù della sua positività trasformato la tragedia in poesia. Fu durante la sua permanenza a Durango che compose i suoi versi più belli, quelli che le avrebbero dato la celebrità, e diede vita ad un appassionato carteggio privato con suo marito.
Lucy, invece, s’accingeva ad esplorare i misteri di Nuevo Eldorado con lo stesso entusiasmo con cui Leonìe D’Aunet aveva perlustrato le terre di Lapponia e il remoto Polo Nord. Dal materiale fotografico ne avrebbe ricavato un reportage i cui diritti erano già stati preventivamente acquisiti dal National Geographic, ignorando, però, che tutto quel materiale così puntigliosamente accumulato sarebbe tramutato in pellicola vuota una volta varcati i confini messicani.
Clara aveva ritrovato l’estro della pittura, ed ecco che dava vita, sulla sua tela, ad inedite e fantastiche costellazioni, come quella dei soli gemelli color melograno, che sorgevano dalla sabbia di un deserto metafisico; la luna cammellare, gibbosa e chiarissima, portatrice di piogge stellari; i paesaggi fiabeschi come i deserti cobalto, infinite distese di pietre azzurre dove crescevano gli alberi del sale, e i giardini di mare dove gli atolli solitari fiorivano di vegetazione promiscua ed inedita. Queste, ed altre meraviglie, scaturivano dal pennello di Clara, e tutto quello che dipingeva acquistava vita e tramutava i paesaggi di Nuevo Eldorado.


MEMORIE DI ELI JOE
Quello trascorso a Nuevo Eldorado è stato un periodo fantastico, se ci fosse stato anche mio marito sarebbe stato perfetto, poiché la sua assenza per me era tangibile, anche se ho avuto modo di sperimentare il romanticismo di un carteggio intimo. Imbucavo le lettere nella cassettina postale dell’Hotel Zeta e, l’attimo dopo, la missiva era già partita superando in velocità qualsiasi sistema di posta elettronica. Trovavo le sue lettere di risposta sul cuscino del mio letto, insieme ad una rosa rossa. La lontananza è una misura con cui si riesce a valutare la forza di un sentimento nella sua pienezza e nel suo ardore. Ho scritto molto in quel periodo attingendo non solo dallo sfolgorante panorama ma dalle sensazioni evocate dalla lontananza da quel mio mondo solido e conosciuto, e che mi hanno condotto ad una esplorazione e ad una conoscenza più profonda di me stessa. Di sicuro questo ha contribuito ad affinare la mia sensibilità intellettuale.

XIRA
Xira, quando non era al seguito di Edmundo Reyes, spariva per lunghe ore inoltrandosi, solitaria e circospetta, nel verde intrico amazzonico di Nuevo Eldorado. Ne emergeva al tramonto recando, sulla pelliccia arruffata, minuscole tracce di terra ed evidenti segni di lotta.

L’IMPERATORE GIAGUARO VS XIRA

Clara, in ansia per il comportamento di Xira, l’aveva seguita in una delle sue solitarie escursioni fin dentro il cuore della foresta di Nuevo Eldorado, e ciò che vide la lasciò sbalordita.
All’interno di uno slargo bivaccava una grande ed eterogenea colonia di felini, razze a lei note ed altre esotiche, raggruppati intorno ad un tronco mozzo su cui era assiso, in posa imperiale, uno splendido giaguaro nero, ai piedi del quale i felini di tutte le specie rendevano omaggio con una sorta d’inchino, flettendo le zampe anteriori e tenendo la coda bassa, in segno di sottomissione.
L’Imperatore Giaguaro chinava leggermente, e con regale condiscendenza, la testa, o scudisciava con violenza la coda, secondo se a riverirlo era un grande felide o uno di piccola taglia.
Yaguar, questo il nome dell’Imperatore, accolse Xira con un ruggito imperiosamente aggressivo e un rabbioso staffilare di coda, perché lei non solo non s’era inchinata ma la sua coda svettava fieramente dritta su quel panorama di code basse
Per nulla intimidita da questa scortese accoglienza, Xira s’era aggregata al gruppo dei gatti che, attratti dal suo carisma e dal suo coraggio l’avevano accolta con caotico entusiasmo: i più spericolati piroettando in stravaganti salti mortali; i più temerari sguainando gli unghioli, pronti a ritrarli, però, al suo minimo movimento; i più timidi si limitavano a starle accanto, rassicurati e protetti dalla sua presenza
…mentre dall’alto del suo scranno di legno l’Imperatore Giaguaro non la perdeva di vista.
L’immensa coda del felide frustava l’aria sommovendo un vento accecante di polvere scura, quando, ergendosi in tutta la sua imponenza, d’improvviso balzò al centro dello slargo per sfidare Xira.
La sua ombra enorme incombeva sul piccolo felino con l’inesorabilità di un destino tracciato.
Perfino gli uccelli s’erano fermati in volo, sospesi in aria, timorosi che un frusciar di fronda potesse scatenare la sua collera mortale.
Ma la gattina impavida, però, con un’agile balzo era scartata di lato dove, con grande sangue freddo, s’accingeva a soppesare il giaguaro nella sua interezza: la grossa testa, le zampe possenti, i denti aguzzi, le fauci crudeli.
Sarebbe stata una lotta impari, come quella tra una farfalla ed un’aquila.
E allora, Xira, per avere una qualche chance di vittoria, decise di puntare tutto sull’agilità dei suoi muscoli e sull’istantaneità dei suoi riflessi, sperimentati nella sua dura vita di randagia, valutando che il massiccio corpo di Yaguar, scattante nei lunghi percorsi, si sarebbe rivelato, all’interno di un perimetro circoscritto, pesante e voluminoso.
Dal canto suo si sarebbe imposta d’ignorare le fauci mastodontiche ed i ruggiti intimidatori di cui l’Imperatore Giaguaro stava dando spavalda esibizione.

IPOTESI E SPERANZE

Clara, dalla sua postazione, aveva seguito col batticuore il succedersi degli eventi, temendo per la vita della sua adorata Xira, ma altresì conscia della sua impossibilità ad intervenire.
Nulla avrebbe potuto, a mani nude, contro il colossale giaguaro supportato da centinaia di altri della sua specie.
Tornare indietro e chiedere aiuto… ma quanto tempo avrebbe impiegato a ripercorrere la strada a ritroso fino all’Hotel Zeta, sperando di non perdersi?
Non c’era tempo per progettare nulla, le restava solo di confidare nell’intelligenza intuitiva di Xira, grazie alla quale, più volte, era uscita illesa da situazioni estremamente pericolose.

LA SFIDA

L’imperatore Giaguaro e Xira erano rimasti, per un lungo momento, immobili a fronteggiarsi soppesando le rispettive potenzialità, cosicché Clara, in seguito, avrebbe giurato di aver captato l’ombra di un sorriso sul muso del grosso felide, a pregustare l’imminenza di una vittoria già scritta.
Il piccolo cuore di Xira batteva all’impazzata, ma lei non dava mostra di paura, non fuggiva dall’ombra gigante che la soverchiava con le nere fauci spalancate, e il collerico ruggito così potente da frantumare la roccia. Yaguar fletteva il suo corpo, flessibile e sinuoso, come quello di un grosso rettile che s’appresta, fulmineo, allo scatto mortale, ma che consapevolmente lo ritarda per godersi fino in fondo la paura dell’avversario. Il piacere sadico di concedere ancora un ultimo minuto di vita, sapendo che sarà consumato nel terrore della morte imminente. Xira, perfettamente immobile, sembrava rassegnata alla zampata mortale, quella che le avrebbe dilaniato la schiena, lasciandola paralizzata alla mercé di Yaguar. In più s’era sventatamente posizionata all’ingresso di una strettoia, un imbuto senza uscita, che le avrebbe irrimediabilmente precluso ogni via di fuga. Una trappola.
Ai miagolii sommessi dei gatti, più simili ad una mesta preghiera che ad un incitamento, si contrapponevano i ruggiti di scherno dei grandi felidi, sicuri della vittoria del loro campione.
E, subito dopo, ecco Yaguar prodursi in quel fantastico, inimitabile balzo, che lo aveva innalzato ai fasti della leggenda, proprio mentre Xira, indietreggiando, andava sempre più incuneandosi nell’angolo cieco, in quell’utero provvidenziale che l’avrebbe messa al sicuro, resa inviolabile alla brama mortale di Yaguar che, puntando sullo scatto e sulla potenza, non aveva però calcolato le incongruenze di quell’area ristretta in cui il suo corpo massiccio si sarebbe andato ad  incastrare.
Un cozzo tremendo e il grande, invincibile giaguaro giaceva ai piedi di Xira con le zampe spezzate e i denti frantumati. Davide aveva di nuovo sconfitto Golia.
Per un lungo momento sulla foresta stordita era calato il minaccioso silenzio d’ombra che precede le eclissi, squarciato dal ruggito rabbioso di un vento che andava oscurando il cielo di foglie e di piume, ma a cui s’oppose, con un miagolio da latte, un temerario cucciolino di gatto, bianco e rosa, ancora traballante sulle zampe che ripeteva, spavaldo, la mimica di Xira nella sfida al giaguaro. Artigli sguainati e orecchie tirate indietro, il minuscolo felino era ben deciso a non cedere di un passo alla prepotenza del vento, sebbene ad ogni folata ruzzolasse a terra, ma sempre però si rialzava indomito, soffiando e mostrando gli unghioli sguainati a quel nemico inafferrabile, temibile forse più di Yaguar.
Ma ecco avventarsi sul cucciolo una tigre enorme, la bocca spalancata e gli occhi di fiamma, planare implacabile su di lui, afferrarlo per la collottola e…deporlo, incolume, sul trono dell’Imperatore.
E’ quello l’atto della pacificazione che decreta la fine di quella secolare guerra fratricida, ristabilendo così gli equilibri della ragione e della meteorologia, cosicché il vento smette di soffiare e diradando le nubi in uno squarcio di turchino appaiono i due soli gemelli color melograno, quelli dipinti da Clara.
E nell’unità finalmente ritrovata del popolo dei grandi e dei piccoli felidi esplode la festa in un’inestricabile sarabanda di code e di vibrisse, ruggiti e miagolii, le armoniose voci di un’intesa finalmente ritrovata, mentre Xira, osannata dai decani delle due tribù, pudicamente schernendosi rifiuta il tripudio e in disparte si ritempra dalle fatiche del combattimento. L’istinto di Clara sarebbe quello di correre da Xira, accertarsi che non sia ferita, stringerla tra le braccia e condividere con lei quel momento di gloria, così come è loro abitudine dividersi felicità e tristezza, ma pure teme che la sua presenza possa risultare inopportuna, perfino imbarazzante in quello specifico momento, come la disdicevole presenza dell’estraneo in una festa di famiglia
Su questa riflessione, a malincuore Clara s’allontana, dopo aver gettato un ultimo sguardo a Xira per avere un’ulteriore conferma della sua incolumità
“E forse non vorrà più ripartire, rimarrà qui, regina amata dal suo popolo, quando a casa, invece, è considerata solo un’intrusa. La mia piccola Xira, grande, orgogliosa guerriera”  Questo immagina Clara, riprendendo mesta la strada solitaria del ritorno.
… e come rispondendo a quell’accorato richiamo, Xira, emergendo da un punto dell’orizzonte si è silenziosamente materializzata al suo fianco.
Ha annusato nel vento l’odore di Clara, e così l’ha rincorsa e ritrovata.
Xira ha fatto la sua scelta.

MEMORIE DI EDMUNDO REYES

Ricordo perfettamente il periodo della permanenza a Nuevo Eldorado delle quattro signore di cui qui si narra. Periodo movimentato, ma piacevole. Tutti i nostri ospiti sono persone speciali ma alcuni lo sono un po’ di più. Sono quelli che lasciano significative tracce del loro passaggio. Le quattro signore erano assolutamente diverse tra loro eppure, in strano modo, assolutamente compatibili. Nel gruppo regnava un bell’accordo tranne per qualche scintilla caratteriale tra Amaranta ed Eli Joe. Mai visto due temperamenti consanguinei così opposti, una fiammella rossa ed una nuvola scura in perenne contrasto, seppur molte baruffe venivano stemperate, sul nascere, dall’ironia di Lucy Hollywood e dalla dolcezza di Clara. Ed ecco ancora altri due esempi di caratteri agli estremi, lo zenit e il  nadir, la testa e i piedi dell’universo. Clara, evanescente e dolce quanto Lucy è, invece, carnale ed abbagliante
Las damas…le signore, dunque, erano adorabili ognuna alla propria maniera. Adorabili,  ma  non sempre facili da trattare. Amaranta intavolava estenuanti discussioni con le ombre dei vivi e quelle dei morti, dibattiti che la sfinivano e, alla fine, la rendevano democraticamente intrattabile con tutti. Eli Joe passava moltissimo tempo a  scrivere lettere a suo marito, confesso di non aver mai visto nessun’altro scrivere con così tanta foga, ed  era evidente che soffriva della sua assenza. Lucy Hollywood…ammetto il mio debole per lei, per i suoi abiti floreali, i capelli selvaggi e per quella sua falcata da pioniera quando, impavida s’avventurava nei recessi di Nuevo Eldorado tornandone con trofei fotografici assolutamente di gran pregio. Per questo mi è mancato il cuore di avvertirla che, una volta varcati i confini di Durango, nulla di ciò che lei avrebbe fotografato sarebbe rimasto impresso sulla pellicola. Clara, invece, la definirei un’ospite speciale, di quelli che in virtù di una loro profondissima capacità empatia con quello che viene definito “L’Universo Sensibile”, lasciano tracce indelebili del loro passaggio. La sua pittura ha sostanzialmente modificato la natura astrologica e paesaggistica di questi posti, per cui qui ora l’alba sorge con due soli gemelli e le notti, dense di stelle, sono rischiarate da una fantastica luna cammellare,  ed inoltre, sempre al suo talento, dobbiamo l’immaginifico panorama dei deserti cobalto dove nascono gli alberi del sale, e i giardini di mare dove fioriscono atolli con una strana vegetazione azzurra, ocra e arancio: le meravigliose tracce del soggiorno di Clara a Nuevo Eldorado.

PERCORSO A RITROSO

Una volta salite sul vecchio Wolkswagen, Edmundo Reyes percorse, tutto in retromarcia, il tragitto verso l’aeroporto. Esattamente come era stato per l’arrivo, solo che ora nessuna delle sue ospiti aveva troppa voglia di parlare. Gli innumerevoli ohhhhh di meraviglia che avevano costellato la conversazione all’arrivo ora erano tramutati in silenzio.
Ognuna, a modo suo, stava dicendo addio a quel posto meraviglioso dove mai più sarebbe stato possibile ritornare.
Amaranta Dell’Antro, trincerata dietro grandi occhiali neri, man mano che il paesaggio scorreva, andava tramutando le lacrime del distacco in scintille di ricordi, facendo bene attenzione che neppure un piccolo particolare scivolasse via dalle maglie di quella sua memoria bucherellata.
Eli Joe, forse era quella meno triste, consapevole che al suo ritorno avrebbe trovato un uomo innamorato ad attenderla sulla soglia di casa, con una rosa rossa tra le mani. E sulle labbra frasi d’amore. Le stesse di quella lettera non spedita, poiché lei era già sulla via del ritorno, ma che pure le aveva scritto.
Lucy Hollywood, accarezzava un lembo del suo vestito e un rosso papavero, stampato sulla stoffa, aveva aperto all’unisono tutti i suoi petali per meglio accogliere quella coccola, mentre un ramo di glicine, in piena fioritura, s’andava allungando sull’ampia gonna per giungere alla portata delle sue dita ed omaggiarla della delicatezza dei suoi fiori viola.
Clara, da sotto la frangia piratesca, continuava a scrutare il mondo dalle sue due visuali, opposte ma non contrastanti, perché la consapevolezza non esclude la fantasia, e benissimo possono convivere, che in caso di necessità l’una potrà essere di supporto all’altra. Due visuali opposte che pure costituivano un’unica. Base da cui sarebbe partita per ricostituire l’interezza di sé stessa.
Xira, cullata dal ritmo strambo del Wolkswagen, sonnecchiava tranquilla sulle ginocchia di Clara, beandosi del contatto delle sue dita, innocentemente senza nutrire rimpianti o tristezze per le meraviglie che lasciava, che per lei il paradiso era ovunque fosse Clara, e nessuno avrebbe potuto convincerla del contrario. Nessuno.

 

MEMORIE DI CLARA
Il mio viaggio a Nuevo Eldorado è nato da una mia esigenza di fuga, un tentativo di rompere le catene da quell’esasperante costrizione, psicologica e sentimentale, che sta alla radice del difficile rapporto con mia madre, ma in realtà, come oggi sto scoprendo, solo l’alibi dietro il quale mi sono da sempre trincerata a giustificare quella mia volontaria mancanza di azione e reazione che mi ha trasformato in carceriera di me stessa. Il mio ritorno a casa, invece, è determinato dall’esigenza, ora preponderante, di un chiarimento con me stessa, prima ancora che con mia madre: se voglio scoprire chi è lei devo prima sapere chi sono io. Solo così potremmo trovare le motivazioni per un dialogo finalmente costruttivo. Una scelta sofferta, perché Edmundo Reyes, non so in ragione di quali particolari miei meriti, mi ha generosamente offerto la cittadinanza di questo luogo unico ed incantevole, che è Nuevo Eldorado. Un privilegio raramente concesso, perché scaduto il tempo del soggiorno si è obbligati a partire, e senza la possibilità di ritornarvi. Se mi fosse stato proposto ieri avrei, senza alcun tentennamento, accettato, perché non si rinuncia così facilmente all’offerta di cittadinanza del Paradiso. Solo qualche ora fa sarei rimasta, ma poi ho seguito Xira nella foresta, l’ho vista battersi contro un nemico grande e crudele, che aveva artigli affilati, fauci assassine e sete di vendetta, mentre lei, armata solo della sua determinazione, non ha mai indietreggiato né mostrato paura, che pur doveva averne. E tanta, Ma alla fine ha vinto. La mia piccola, grande guerriera, che mi ha indicato la strada del mio riscatto. Seppure è qui che lascio il mio cuore. 


UNA RIVELAZIONE PRIMA DELLA PARTENZA

Edmundo Reyes, consapevole che sarebbe stato fuori luogo salutare le sue ospiti con un arrivederci, perché quello era a tutti gli effetti un addio, aveva optato per la formula del baciamano. Ma quando era stata la volta di salutare Clara, quel bacio glielo aveva dato sulla guancia, e poi le aveva detto all’orecchio:  – a due sole persone è stata data l’opportunità di rimanere, una sei tu e l’altro è Vincent Van Gogh. Siamo estremamente selettivi a Nuevo Eldorado. Sii fiera di te, Clara. Sempre. –
 Solo quando il piccolo aereo era decollato, Clara si era resa conto che Edmundo Reyes non le aveva però detto se Van Gogh era alla fine rimasto. Ma poi aveva guardato fuori dal finestrino: sotto il soffitto di nuvole bianche andavano fiorendo, in tempo reale, distese sconfinate di campi di girasole.
Vincent era rimasto.