Ascolta l’audio-racconto, interpretato da Andrea Di Vincenzo:
DIO DEL MARE
Era una notte d’estate. Il silenzio assoluto veniva rotto soltanto dal lieve sciabordio delle onde sugli scogli, mentre l’oscurità era turbata dalla luce di poche lampare, quasi piccole stelle, pallido riflesso delle loro cugine celesti ben più numerose e splendenti. Impossibile individuare la linea dell’orizzonte, cielo e mare si fondevano perfettamente in un nero intenso ed ovattato e una mezza luna, alta all’orizzonte, sembrava ritrarsi in un angolo per non spezzare l’incantesimo.
Si poteva solo immaginare il contorno delle poche case dormienti, e così il profilo di quella costa che, appena qualche giorno prima, era stata vittima della forza di un mare burrascoso che l’aveva aggredita con violenza, stuprata … lo stesso mare che oggi la blandiva carezzevole, quasi a lenire il dolore delle ferite inferte.
Com’era cambiato il litorale in pochi anni sotto l’impeto di quel mare bizzarro, tranquillo ed accogliente un minuto, inquieto e minaccioso un attimo dopo. La spiaggia si era andata gradualmente riducendo, fino a diventare una sottile lingua di terra a ridosso delle abitazioni, o scomparire del tutto. A nulla erano valsi i tentativi di arginare quella forza della natura e proteggere l’arenile, ormai sommerso con i ricordi di intere generazioni.
La casa sulla scogliera resisteva ancora, per quanto profonde crepe sui muri fossero vivide testimonianze degli attacchi subiti. Come una roccaforte, si stagliava all’orizzonte con il suo profilo austero, popolando di sogni l’immaginario di chi si era soffermato a guardarla, seppure una sola volta. Di lassù si godeva di una vista incantevole, senza essere travolti dalle onde gigantesche che di tanto in tanto si frangevano sullo sperone di roccia su cui era stata costruita, quasi ne fosse un naturale prolungamento. Dominava una piccola insenatura delimitata da un anfiteatro di alte scogliere a strapiombo e da un’ampia spiaggia, che si era andata trasformando in piccole calette, destinate forse nel tempo a scomparire del tutto.
Da lì aveva visto per la prima volta la sua sagoma stagliarsi all’orizzonte, all’ora del tramonto, quando il suo sguardo era stato catturato da una barca – un gozzo di legno – che scivolava silenziosa sull’acqua ad una velocità sorprendente; sopra, una figura massiccia con una montagna di capelli crespi remava con naturale energia. Quell’ombra scura, metà uomo e metà barca, si fondeva perfettamente con il paesaggio circostante – scena degna del regista più geniale – ne era parte integrante. Ne era rimasta profondamente colpita.
Così aveva conosciuto Angelo, un pescatore che per nessuna ragione si sarebbe mai allontanato da quell’angolo di mondo sconosciuto ai più. Col volto intagliato nel legno e la sua timidezza, la folta chioma e il fisico possente, la pelle bruciata dal sole e l’indole riservata, evocava uno di quei personaggi mitologici che da adolescente avevano tanto stimolato la sua fantasia: un Odisseo dei tempi moderni, che navigava senza tregua … tornando però ogni giorno al suo lido.
Icona di quel piccolo villaggio dimenticato, si era conquistato – non a caso – il nomignolo di “Dio del Mare”, anche se di Poseidone aveva forse ereditato la forza, non certo l’indole cupa e litigiosa. Bastava comunque vederlo tra quelle onde imprevedibili per capire che l’acqua era il suo ambiente naturale; apparteneva a quel mare, che sembrava dominare pienamente. La sua passione lo aveva spinto ad immergervisi fin da piccolo, indomito ed incurante delle stagioni. Amava inoltrarsi tra le onde e tuffarsi, anche in pieno inverno, nell’acqua gelida e cristallina.
Ed anche quando la sua chioma s’era leggermente imbiancata, le abitudini erano rimaste le stesse. Quante volte Nadia avrebbe visto ancora la sua immagine solitaria solcare il mare.
Così, quella fredda mattina di gennaio aveva preso il largo con la sua inseparabile compagna di avventure, ma qualcosa non era andato come al solito. Improvvisamente si era levato un vento fortissimo, mentre il cielo andava facendosi sempre più cupo e l’immensa distesa – calma e benevola solo qualche attimo prima – aveva iniziato ad incresparsi, mostrando una miriade di piccole creste biancastre. Pochi secondi erano bastati perché una minacciosa colonna grigia si formasse all’orizzonte dal nulla, creando un inquietante legame tra cielo e terra… un enorme fungo, visto da lontano. Miliardi di goccioline avevano iniziato a roteare all’unisono, risucchiate verso l’etere o dalle viscere della terra in un vortice devastante, pronto ad inghiottire qualunque cosa gli si parasse dinanzi in una follia assassina. Dall’altro lato, verso la costa, in una manciata di attimi interminabili, la furia del mare aveva inondato l’arenile, il lungomare, la strada, insinuandosi violentemente nelle umili case dai colori pastello, portando distruzione, insieme a fango e detriti.
La tempesta aveva colto Angelo di sorpresa e a nulla erano valsi i tentativi di sfuggirle. Non era la prima volta che accadeva ed inizialmente aveva sperato di poterne uscire senza danni irreparabili, come sempre era stato. Poi, d’un tratto, quel fragile guscio era stato travolto da un’onda, come fosse una piuma. Catapultato in acqua, il “Dio del Mare” aveva perso la vita, nel tentativo di salvare la sua barca e tornarsene a riva. C’era riuscito, ma era arrivato esanime, dopo aver esalato l’ultimo respiro in quel mare profondamente amato. Sul volto, la traccia di un sorriso…
A vederlo ora, quel mare, sembrava impossibile potesse essere capace di un tale furore.
Era giunta l’alba, un’alba dolce come la notte appena trascorsa, risvegliata dal verso delle cicale e dal motore lento di un peschereccio che faceva ritorno a casa, lasciando una scia netta nella distesa immobile, come d’olio. Il chiarore del mattino annunciava una giornata magnifica; tra poco il sole sarebbe stato alto nel cielo ed il mare avrebbe assunto le sfumature dall’azzurro intenso al verde cristallino.
Nadia conosceva bene quel mare, vi si era immersa con la mente e con il corpo infinite volte, apprezzandone l’aspetto benevolo e temendo quello più insidioso… senza aver mai saputo scegliere tra i due. Anche lei lo amava ed era ancora capace di commuoversi quando al tramonto l’immenso sole rosso si inabissava, lasciando a lungo traccia di sé.
A volte, in quei tramonti striati di fuoco, le sembrava ancora di scorgere all’orizzonte un’ombra scura tagliare di netto il mare di piombo.