Scie di fuoco infiammavano il cielo.

Scendevano da ovest incendiando la notte, e poco dopo si udiva il rombo del loro passare.

Si schiantavano al suolo travolgendo ed incendiando ogni cosa: persone, case,  alberi.

I grattacieli di Manhattan, colpiti a morte, tremavano di lunghi terribili brividi, poi collassavano su se stessi in nuvole di polvere mortale che soffocava anche il fuoco.

Più oltre, altri bolidi devastavano Brooklin, il Queens, Hyde Park, sempre scavando grandi crateri nei punti d’impatto, mentre la gente fuggiva per le strade in cerca di scampo finché, sconvolta da quell’ infinito bombardamento, si accasciava a terra contro un muro o un portone, attendendo supinamente che il destino scrivesse la sua fine.

Il cielo era un tripudio di luce, come se mille fuochi artificiali fossero esplosi insieme, o un terribile carnefice stesse sferzando con una frusta luminosa la schiena senza difesa di una città morente. Cadendo in acqua i proiettili celesti incandescenti sollevavano alti spruzzi e nuvole di vapore, e le onde interferivano una con l’altra creando un sobbollire muto che sembrava il preludio alle porte dell’Inferno.

Non si era spento ancora il frastuono di un impatto, che già un sibilo sordo annunciava il prossimo, e un altro ancora, mentre le fiamme ormai avvolgevano altissime quella che si era autodefinita la capitale del mondo.

Un mattino livido di cenere e fumo si era levato sulle macerie di quella che era stata New York e adesso era soltanto un cumulo di macerie e impalcature contorte. Qua e là figure incerte barcollavano nelle strade ingombre di automobili sventrate e cadaveri carbonizzati, incapaci di realizzare quanto era successo, mentre i meteoriti, seppure più radi, continuavano a cadere con grandi boati.

I sopravvissuti, terrorizzati, alzavano gli occhi al cielo incapaci di capire, ma lontano, oltre il lato nascosto della Luna, grandi ombre scure si avvicinavano lentamente al pianeta sconvolto.