(  IL COLLARE)  DESTINO CRUDELE

Non era nata sotto una buona stella la piccola Magdalene, concepita in una notte di pioggia battente da un padre ubriaco, tornato a casa a tarda notte bagnato fradicio e barcollante, che costrinse la povera moglie, donna fragile e sottomessa, ad un rapporto sessuale forzato e violento. Durante la gravidanza non le risparmiò botte e insulti, tanto che la povera donna partorì prematuramente. La piccola sopravvisse miracolosamente, crebbe terrorizzata dalle urla del padre e i pianti della madre. Passarono alcuni anni, un giorno la madre si accorse che il marito guardava fissamente la bambina che stava giocando con una bambola di pezza. Era uno sguardo lascivo, le fece paura. Domandò timidamente:
“Qualcosa non va caro?”
Lui girò il suo sguardo bieco verso di lei:
“Sai che ti dico? Questa inutile mocciosa ha un solo pregio; è bella!”
“Che intendi dire?” Chiese la moglie tremando.
“Non t’impicciare!” Rispose dandole una spintone che la mandò a sbattere contro il muro.
La donna tacque ma nella sua mente si aprirono scenari spaventosi, temeva che il marito volesse abusare di lei. In realtà non si avverò ciò che temeva, ma successe di peggio.
Un giorno Il marito disse alla bimba:
“Vieni facciamo una bella passeggiata”.
Magdalene a malincuore accettò, sapeva che il padre non accettava un no come risposta, l’avrebbe picchiata. Camminarono per un quarto d’ora, finché giunsero ad una piccola casa isolata. Lui suonò il campanello, venne ad aprire un uomo di mezza età che sorrise compiaciuto nel vederli.
“Dai entra” – disse alla figlia.
Riluttante, la bimba entrò in casa e restò immobile.
“Ecco qua – disse il padre all’altro uomo – volevi carne fresca? Eccoti servito! Io aspetto qui”.
L’altro uomo senza tanti complimenti afferrò la bambina e la trascinò in camera da letto chiudendo la porta. Il padre restò immobile ad aspettare, insensibile alle urla della figlia che lo chiamava, lo implorava di portarla via. Quando lo scempio fu compiuto, l’orco uscì dalla camera con un ghigno soddisfatto e diede al padre dei soldi, molti soldi! Magdalena tornò molte volte in quella casa, altri uomini fecero parte di quell’orribile mercato. Ormai lei non urlava più, non ne aveva più la forza, nessuno poteva aiutarla, il padre la minacciava di non dire niente a nessuno, nemmeno alla madre, altrimenti le avrebbe uccise tutte e due. La povera donna morì poco tempo dopo, non seppe mai nulla.

 

Questa fu l’infanzia di Magdalene e l’adolescenza non fu migliore. Un giorno vide il padre parlare a lungo con un uomo in apparenza mite e gentile. Quando finirono, la fecero salire in macchina e la portarono in una villetta immersa nel verde, il padre salutò l’uomo e se ne andò senza degnarla di uno sguardo. Con suo grande stupore non la portò in camera da letto ma in cantina, dove, senza dire una parola, la fece sedere a terra e le mise un collare attaccato a una catena a sua volta agganciata ad una sbarra di ferro. La povera ragazza cominciò a gridare e strattonare ma ciò le procurava un dolore fortissimo. L’uomo con un’espressione serafica disse:
“Ho sempre desiderato un cane, mia madre me lo ha sempre negato, ora che lei è morta  posso fare ciò che mi pare. Oh, non mi sono presentato, mi chiamo Oswald, tu per me sarai MAG. Mi sei costata un patrimonio sai? Ora sono il tuo padrone e mi devi obbedienza”.
Magdalene inorridì, un cane? Questo era per lui? Tremava come una foglia, era finita nelle mani di uno psicopatico! Il collo le faceva tanto male, quel collare sembrava le penetrasse le carni. Seguì un lungo periodo di orrori, quel pazzo, le metteva il cibo in una ciotola e la lasciava per terra, la chiamava Mag con tono perentorio e se non ubbidiva immediatamente ai suoi ordini la picchiava col bastone, poi, pentito, le accarezzava la testa. Magdalene desiderava morire, sparire dalla faccia della terra. Un giorno Oswald le si avvicinò sorridendo:

“Sai, ho deciso di vestirti con un abito da sposa e di sposarti su in soggiorno, non temere penso a tutto io, mia madre ne sarà felice”.
Sua madre? – pensò Magdalene – ma non è morta? Non osò chiedere nulla.
Il giorno dopo Oswald scese in cantina con una grande scatola. Era raggiante, l’aprì e ne estrasse un abito bianco tutto seta e trine:
“Ecco Mag, puoi indossarlo”.
Il collare e la catena impedivano l’operazione, quindi Oswald decise di staccarglielo temporaneamente. Per Magdalene fu liberatorio ma doloroso, il collo pulsava forte, le gambe erano anchilosate, faticava a muovere i passi.  Lui l’aiutò a salire le scale, la condusse in soggiorno:
“Ah dimenticavo, sai che anche tuo padre si risposerà? Fra pochi giorni”.
Questa fu una vera mazzata per lei… quell’uomo orribile, quello che le aveva rovinato l’esistenza, che l’aveva uccisa moralmente, che l’aveva venduta ad uno psicopatico, ridotta a vivere in una cantina trattata come un cane. No! Non poteva permetterlo, non doveva essere felice quel criminale. Sentì l’adrenalina salire e l’odio esplodere dentro di lei.
Intanto erano entrati nel soggiorno:
“Mag, mentre io vado a raccogliere fiori per il tuo bouquet, fai due chiacchiere con mia madre”.
Magdalene si accorse in quel momento che seduta al tavolo in mezzo alla stanza c’era una figura, con la schiena dritta e lo sguardo fisso. Si avvicinò piano e, come già temeva incontrò lo sguardo di una donna morta. Il dolore al collo le impedì di urlare, realizzò in un istante che quello era il solo momento utile per tentare la fuga, si guardò affannosamente in giro, sulla credenza c’era una carabina, la prese immediatamente. Pensò – l’avrà usata per uccidere la madre, o forse voleva uccidere me. Guardò dalla finestra, Oswald stava ancora raccogliendo i fiori, uscì senza far rumore, prese una pala appoggiata al muro e la calò con forza in testa a Oswald, che cadde a terra come un sacco vuoto, tramortito. Iniziò a correre a perdifiato, cadde più volte, poiché le gambe, ancora deboli, le cedevano. L’abito da sposa si lacerò in più parti, ignorò il dolore e la paura, scavalcò il cancello ed iniziò la lunga fuga verso la libertà e la vendetta.